Quale governo inaugurerà i giochi olimpici che inizieranno a Parigi il 26 luglio prossimo con una sfilata sulla Senna di battelli con a bordo le squadre nazionali? Probabilmente un governo dimissionario, quello di Gabriel Attal, mentre l’incaricato da Emmanuel Macron di formare il nuovo governo proseguirà gli incontri ed i negoziati alla luce dei risultati del secondo turno delle elezioni legislative del 7 luglio. Una cosa è certa, Giove, come Macron si è autodefinito nel suo ruolo di presidente, dovrà scendere dall’Olimpo e fare i conti con la Francia reale che gli ha voltato le spalle. “Ora e sempre … desistenza!”, questa è stata la parola d’ordine di un composito “front républicain” che ha dato i suoi frutti ma che certo non ha delineato un vero progetto politico. A sorpresa il Nouveau Front Populaire (Nfp) è risultato primo con 195 deputati, conteggiando anche gli eletti indipendenti di sinistra, di fronte al campo macroniano che passa dai 250 parlamentari del 2022 ai 168 attuali (erano 351 nel 2017). La coalizione centrista deve comunque un centinaio di eletti alle desistenze dei candidati della sinistra. Il Rassemblement national (Rn) pur crescendo da 89 a 143 deputati, non raggiunge né la maggioranza assoluta (289 seggi) né quella relativa. I Républicains (Lr), malgrado la scissione da destra di Éric Ciotti, salvano il mobilio con 56 eletti mentre ne avevano 61 prima della dissoluzione dell’Assemblea. Tutto merito delle desistenze, della disciplina repubblicana delle forze di sinistra, molto meno della coerenza dei macroniani e dei gollisti. Nessun schieramento ha la maggioranza assoluta. Ritorna centrale il ruolo dell’Assemblea nazionale ancor più legittimata da una partecipazione record alle elezioni del 66,7%, mezzo punto in più rispetto al primo turno ed una ventina rispetto al 2022. Adesso comincia il difficile avendo presente due tappe: una possibile, per nuove elezioni legislative che si potranno tenere solo fra un anno, l’altra sicura, la madre di tutte le battaglie, l’elezione presidenziale del 2027. Queste scadenze spiegano in larga misura tutte le mosse sullo scacchiere politico. Il Rn si lecca le ferite ma rimane molto forte, punta tutto sull’instabilità politica e sul bersaglio grosso: Marine Le Pen all’Eliseo. Il suo risultato ha patito decine di candidature improponibili, apertamente razziste, islamofobiche, antisemite, le dichiarazioni contro i bi-nazionali (3,5 milioni in Francia) e l’impreparazione palese dei suoi quadri dirigenti dietro la bella presenza del suo candidato a premier, il ventottenne Jordan Bardella. Denunciando il “patto indegno” e “il partito unico dai gollisti ai trotskisti” (si, anche quest’ultimi hanno aderito al Nfp) che ha scippato loro la vittoria, continueranno a dare voce, se la sinistra non riuscirà a tornare tra questi ceti popolari, alla Francia degli invisibili, degli impoveriti, dei dimenticati dalla globalizzazione che si sentono da decenni disprezzati, marginalizzati e che odiano i “parigini”: deindustrializzazione, crisi del piccolo commercio e dell’artigianato, agricoltori in rivolta contro le politiche green declinate con modalità antisociali, aumento delle tasse sui carburanti fossili mentre si toglie l’imposta sui patrimoni finanziari. Sono gli eredi dei gilets jaunes ai quali non sono state date vere risposte, mentre i servizi pubblici a partire dalla sanità hanno abbandonato i territori rurali e la Francia minore delle piccole città dove vivono milioni di persone. Chi la dura la vince, si potrebbe dire guardando alla situazione nei due blocchi arrivati per primi. Il tentativo palese dei macronisti è quello di raggrumare una maggioranza sia pure relativa intorno ad Ensemble!, la coalizione che elesse Macron all’Eliseo. Ma nel campo presidenziale tutti prendono le distanze dal Presidente e si dividono attorno ad un quesito: occorre proporre o meno alla sinistra una coalizione? Edouard Philippe, ex primo ministro e leader di Horizons, uno dei partiti macroniani, che vorrebbe presentarsi candidato alle elezioni presidenziali, propone un’alleanza di destra con i repubblicani (insieme sulla carta si tratterebbe di circa 235 deputati) guidata dall’ex-ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ma sconterebbe una spaccatura del suo campo e probabilmente anche tra i gollisti. Gabriel Attal, ex primo ministro ed ex socialista, vuole invece negoziare con la sinistra non insoumise un accordo di governo che faccia della lotta al cambiamento climatico una priorità assoluta, una maniera per evitare di parlare di altri scottanti dossier a partire da quello riguardante la riforma delle pensioni. La gauche soddisfatta di questo risultato inatteso per ora tiene; da Jean-Luc Mélenchon à François Hollande passando per Olivier Faure, segretario del Partito socialista (Ps) e Marine Tondelier, presidente dei verdi, tutti ribadiscono il grande valore dell’unità raggiunta e mettono in primo piano il programma del Nfp. Mélenchon ha chiesto a Macron di affidare l’incarico di costituire il governo ad un esponente del Fronte per formare un esecutivo che attui i punti principali delle loro proposte: da subito pensione di nuovo a 62 anni, aumento del salario minimo a 1.600 euro netti al mese, blocco di alcuni prezzi di beni di consumo e delle tariffe di gas e luce, ampia riforma per ovviare ai deserti sanitari della Francia rurale e periurbana, ripristino della tassazione sulle ricchezze finanziarie, rispetto dei diritti delle donne e degli immigranti e così via. Tra le righe si percepisce la volontà da parte di qualcuno di confrontarsi, pur partendo dai punti programmatici della sinistra, con alcuni esponenti macroniani. Impresa particolarmente difficile visto che si chiede loro di rinnegare alcune delle riforme faro dei loro governi. Come che sia il Front populaire si è impegnato ad indicare in settimana un nome per l’incarico da primo ministro. È vero, il Nfp ha incrementato i suoi voti passando dai 138 seggi della Nupes (Nouvelle union populaire écologique et sociale) ai 182 eletti del Nfp ai quali vanno aggiunti altri 13 deputati orientati a sinistra. Ma i rapporti di forza si sono riequilibrati perché Lfi rimane sostanzialmente stabile, i socialisti eleggono 59 parlamentari (il doppio anche a causa della desistenza selettiva dei candidati di centro e di destra che ha penalizzato Lfi), i verdi 28 e i comunisti solo 9. Lfi conosce anche il distacco di cinque suoi esponenti di primo piano guidati da François Ruffin e Clémentine Autain che contestano la guida di Mélenchon. Si tratta di un disaccordo che riguarda la mancanza di democrazia interna, la messa in disparte dei dissidenti e la non sufficiente attenzione alla Francia che vive fuori dalle grandi città e dalle periferie urbane. Sarebbe un grave errore per la sinistra, sostengono, mettere i ceti popolari delle banlieue contro i perdenti della globalizzazione. Come dice Ruffin: “dobbiamo unire gli abitanti dei borghi e quelli delle torri” (le case di edilizia popolare delle banlieue). Va decostruito il blocco sociale del Rn per costruire una nuova maggioranza di sinistra stabile che superi anche alcuni aspetti di alleanza solo elettorale del Nfp. C’è comunque da considerare che dopo il fallimento dei socialisti ed in particolare della presidenza di François Hollande, la sinistra sarebbe sparita nelle elezioni del 2022 se Mélenchon non l’avesse salvata proponendo la Nupes che consentì a tutti i partiti della gauche di ottenere una rappresentanza parlamentare. Ora ha ripetuto l’operazione salvataggio con la proposta del Front populaire. La visione di Mélenchon è quella di una “Nuova Francia” creola e multietnica, “il cui cuore siano i quartieri popolari dove vive la maggioranza dei suoi giovani che sono la parte più importante della società. Gli altri vogliono dividere i francesi, noi vogliamo unirli”. Mentre Parigi viene addobbata per celebrare in pompa magna la festa dello sport, difficilmente la sola fiamma olimpica darà conforto ad un paese così lacerato.
Mentre festeggiamo per i risultati delle elezioni francesi, mostrando una certa invidia per i nostri cugini d’oltralpe, molti di noi si chiedono ma come è stato possibile? Come è stato possibile sconfiggere le destre? Come è stato possibile costruire un Fronte Popolare non fondato sulla politica del meno peggio ma al contrario con una posizione politica molto radicale? Come è stato possibile che un candidato di sinistra come Jean-Luc Melenchon fosse alla guida dello schieramento? Senza voler analizzare in questa sede cosa succederà in Francia nei prossimi giorni o fare i pronostici sulle grandi manovre in corso per impedire alla sinistra di governare, qui di seguito cercherò di rispondere ad alcune di queste domande, aiutato da una lunga frequentazione nel corso degli anni con Melenchon.
Partiamo innanzitutto da Melenchon, un leader di sinistra, popolare, antiliberista e contrario ad ogni logica del “meno peggio”. Melenchon, oltre 15 anni fa ha rotto con il partito Socialista ed ha dato vita al Partì de Gauche, al Front de Gauche – col PCF – e poi a France Insoumise. In tutti questi anni, prima di arrivare alla costruzione della NUPES (2022) e poi del Nouveau Front Populaire (2024), ha lavorato a costruire una sinistra di classe e antiliberista in Francia, in polemica frontale con l’indirizzo politico del Partito Socialista. In questo contesto, anche in autonomia dal PCF, si è sovente rifiutato di sostenere i socialisti nelle elezioni amministrative, comprese quelle delle capitale.
Melenchon ha quindi perseguito in questi 15 anni la crescita della sinistra di alternativa, sottolineando la necessità di battere la sinistra liberista quale condizione per poter unire la sinistra e sconfiggere le destre sottraendogli il consenso popolare. Il Nostro si è quindi sempre rifiutato di convergere su programmi e candidati imposti dal Partito socialista in quanto forza più grande, ponendosi l’obiettivo di rovesciare i rapporti di forza all’interno della sinistra, facendo in modo che la sinistra radicale diventasse più grande della sinistra moderata. Questo rovesciamento di rapporti di forza e quindi di linea politica è stata la condizione per l’alleanza della sinistra. Sempre in questa direzione di marcia il Partì de Gauche di Melenchon chiese addirittura l’espulsione di Syriza dal Partito della Sinistra Europea dopo che questa aveva accettato di governare sul programma imposto dall’Unione Europea. Parlare quindi di Melenchon come espressione del centro sinistra come se fosse Elly Schlein è una pura fesseria: i punti di riferimento di Melenchon sono Chavez ed Evo Morales, non certo i socialisti europei e non a caso nel 2022 venne in Italia a sostenere le liste di Unione Popolare.
Il fatto che in Francia sia esistita in questi 15 anni una sinistra degna di questo nome, di cui Melenchon e il PCF, con il Fronte de Gauche, sono stati protagonisti, insieme alla determinazione della CGT guidata dai comunisti, ha favorito un significativo conflitto sociale che noi in Italia ci siamo sognati. La forza politica e sindacale della sinistra di alternativa è cresciuta nello sviluppo di un conflitto sociale e lo ha a sua volta favorito. Questo ha determinato un punto decisivo di maturazione della realtà sociale francese fondato sulla consapevolezza della propria forza e della propria dignità, il contrario del senso di impotenza e di fatalismo che caratterizza la situazione italiana. Non a caso addirittura nel movimento di lotta francese contro la precarizzazione si sono ritrovati riferimenti al fatto che non bisognava fare come in Italia. La costruzione della sinistra di alternativa sul piano politico e sindacale ha quindi favorito ed è stata a sua volta favorita dalle lotte e dal protagonismo sociale di un popolo che ha sempre operato per prendere nelle proprie mani il proprio destino e non certo per delegarlo a qualche uomo della provvidenza.
Su questa base si è arrivati ad aggregare la NUPES nelle legislative del 2022 e le Nouveau Front Populaire oggi: non una aggregazione di ceto politico di centro sinistra ma una aggregazione popolare di sinistra in cui le forze di centro sinistra non hanno l’egemonia. In questo contesto è nato il programma di cui Melenchon rivendica la realizzazione: non una serie generica di promesse da disattendere alla prima occasione ma l’impegno a realizzare nei primi 15 giorni di governo l’aumento del salario minimo a 1.600 euro netti, l’abolizione della riforma pensionistica di Macron e l’imposizione di un prezzo calmierato per i beni di prima necessità.
Il risultato francese – che in ogni caso segna positivamente la situazione transalpina – non è quindi frutto del caso o di un miracolo, ma l’esito ricercato di un lungo scontro politico in cui la prospettiva della sinistra di alternativa si è imposta sulla sinistra liberista. Comprendere questo può essere utile per cercare, anche a casa nostra, di individuare dopo decenni di sconfitte, una strada solida su cui procedere, evitando illusioni e presunte scorciatoie.
L’occupazione intensifica la sua aggressione contro Gaza City e bombarda i civili utilizzando armi americane proibite a livello internazionale, e non raccoglierà altro che vergogna e sconfitta.
Gaza City è testimone di una serie di continui attacchi aerei e cinture di fuoco “israeliani”, i più intensi degli ultimi mesi. Questi attacchi mirano a spianare la strada ai veicoli “israeliani” per tentare di entrare nelle aree della città, in particolare nei quartieri di Al-Daraj e Al-Tuffah, che non erano riusciti a prendere d’assalto nelle precedenti invasioni.
L’obiettivo principale dell’occupazione è continuare la distruzione sistematica e uccidere il maggior numero possibile di civili disarmati, creando ulteriori crisi umanitarie dopo aver chiesto a migliaia di civili di evacuare le loro case e fuggire sotto il fuoco dell’artiglieria pesante, dovendo dormire per terra e per strada senza poter portare via nulla dalle loro case.
L’occupazione continua ad assediare le aree di Tal Al-Hawa e Al-Rimal, mentre le famiglie sono intrappolate attorno alle università e alle rotonde industriali, utilizzando tutti i tipi di armi di fabbricazione americana proibite a livello internazionale contro il nostro popolo nella Striscia nel disperato tentativo di imporre la sua volontà e raggiungere i suoi obiettivi aggressivi.
L’unica cosa rimasta a questo nemico fascista è usare armi nucleari, rivelando la portata della sua brutalità e disponibilità a oltrepassare tutte le linee rosse e a violare tutte le leggi e norme internazionali senza responsabilità.
Questa escalation sionista mira anche a fare pressione sulla resistenza affinché ammorbidisca la sua posizione nei negoziati. È un metodo vile e codardo che si basa sul prendere di mira e uccidere i civili e distruggere le loro case come mezzo di ricatto; tuttavia, la resistenza è pienamente consapevole di questi tentativi sionisti, determinata a soddisfare tutte le sue richieste, ad affrontare la nuova escalation sionista e a contrastare i suoi obiettivi dannosi, avendo in mano le carte della pressione e della forza per raggiungere questo obiettivo.
Da questi crimini il nemico sionista non raccoglierà altro che vergogna e sconfitta; il nostro popolo e la resistenza hanno dimostrato la loro capacità di resistere e sfidare un’aggressione brutale e codarda, e questa nuova aggressione a Gaza City senza dubbio fallirà, con l’occupazione che uscirà sconfitta e umiliata dopo aver ricevuto colpi significativi dalla resistenza.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento centrale dei media 8 luglio 2024
Il Fronte Popolare ha salvato la Francia e fermato i fascisti. Grazie alle nostre compagne e ai nostri compagni della France Insoumise e del Partito Comunista Francese che, con i sindacati e i movimenti sociali, hanno ricostruito una forza e credibilità della sinistra con anni di lotte durissime contro le politiche neoliberiste e antipopolari di Macron e anche precedentemente di Hollande. Senza questa opposizione non ci sarebbe stato il successo del Fronte Popolare con un programma economico sociale radicale e proposte come l’abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni e il salario minimo a 1600 euro. Con determinazione antifascista il Fronte Popolare ha praticato unilateralmente la desistenza che ha fermato l’estrema destra, mentre i macroniani e i media del grande capitale hanno con una campagna infame con l’accusa assurda di antisemitismo contro Melenchon hanno di fatto indotto elettorato centrista a non sostenere nei ballottaggi i candidati della France Insoumise. Stasera festeggiamo ma non dimentichiamo che l’autostrada ai fascisti in Francia l’hanno aperta i governi neoliberisti di Macron, beniamino per anni della classe dirigente del PD e del centrosinistra. Ora il grande capitale cercherà di dividere il Fronte Popolare per impedire il cambiamento.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Martedì 9 luglio ore 21:00 Proiezione del Film “La Banda” di Eran Kolirin
Mercoledì 10 luglio ore 21:00 Smantellamento della democrazia e nuovi reati – Le minacce e le azioni del Governo Meloni Con Sauro Poli (avvocato), Stefania Valbonesi (giornalista), Massimo Lensi (Associazione Progetto Firenze) e Antonella Bundu (Sinistra Progetto Comune)
Giovedì 11 luglio ore 21:00 Spettacolo di cabaret a cura di “La Divina Toscana” Varietà di Cabaret con sketch, stornelli e cortometraggi comici
Venerdì 12 luglio ore 21:00 Quarto Podere in Trio acustico
Sabato 13 luglio ore 21:00 Duo Varyo “Oltre l’immaginazione” Concerto per duo sax di Susanna Crociani e Andrea Coppini
Domenica 14 luglio ore 21:00 La sinistra alternativa alla luce delle amministrative in Provincia di Firenze Con Sabrina Ciolli (Consigliera Comunale a Empoli), Paola Coppini (Assessora di Borgo San Lorenzo), Jadi Marinai (Consigliere Comunale a San Casciano Val di Pesa), Dmitrij Palagi (Consigliere Comunale a Firenze), Federica Petti (Assessora di Campi Bisenzio), Sonia Redini (Consigliera Comunale a Bagno a Ripoli) coordina Enrico Carpini (Consigliere Comunale di Barberino di Mugello).
TUTTI i giorni sarà attivo il Ristorante- Pizzeria con apertura al pubblico dalle 19.30 alle 22.00 e il Bar fino alle 23.30
I becchini della Carta Costituzionale non si trovano solo nella pessima destra italiana. Una sinistra ubriaca di federalismo non potrà opporsi all’autonomia differenziata e al premierato della Meloni.
Federalismo e presidenzialismo sono patrimonio del padronato italiano – Federico Giusti
Ci pare evidente che esista una autentica sudditanza delle forze politiche rispetto al sistema padronale e al grande capitale economico e finanziario, prova ne sia la totale dimenticanza dei diritti sociali, la privatizzazione della sanità e dell’istruzione e le sirene assordanti della previdenza e della sanità integrative che ormai hanno guadagnato consensi anche nel sindacato italiano.
La Cgil ha raccolto le firme per un Referendum contro il jobs act ma non una parola ha speso sulla perdita del potere di acquisto e di contrattazione risultato di quei modelli contrattuali affermatisi con la concertazione sindacale.
Se limitiamo il nostro ragionamento alla riforma presidenzialista non possiamo che menzionare due fatti incontrovertibili, la nascita della seconda Repubblica con l’avvento della elezione diretta dei Sindaci e il sistema maggioritario e oggi a autonomia differenziata senza dimenticare lo smantellamento dell’industria statale attuato da Romano Prodi.
Prima si è fatta strada l’idea del sistema forte e della governabilità e oggi si mira direttamente a costruire un modello che pone fine anche all’idea di sovranità affermatasi con la cacciata del fascismo e della Monarchia.
Ironia della sorte ormai metà degli aventi diritto non vanno alle urne a conferma che il sistema maggioritario è l’esatto contrario di quella partecipazione attiva che si diceva di volere favorire.
I becchini della Carta Costituzionale non si trovano solo a destra, prova ne sia il sostegno alla autonomia differenziata proveniente da ampi settori del centro sinistra, quelli tradizionalmente vicini, o emanazione, delle imprese che poi sono gli stessi artefici delle privatizzazioni e della precarizzazione del lavoro.
L’attacco finale è arrivato in questi giorni con il presidenzialismo del “Capo del Governo” che attribuisce pieni poteri all’Esecutivo e al presidente del Consiglio, il potere del popolo in ambito democratico si riconosceva nella forma del governo Parlamentare elaborato a suo tempo dalla assemblea Costituente, diventa quindi realtà il disegno strategico sostenuto tradizionalmente dalle destre e da ampi settori del padronato.
Qualche analogia con quanto accadde con l’avvento del Fascismo sarebbe probabilmente tacciabile con i peggiori epiteti, eppure a pensar male talvolta ci si indovina.
Quanto non era riuscito a Renzi e a Berlusconi, bocciati sonoramente ai Referendum nel 2008 e nel 2016 è stato possibile con il Governo Meloni.
Le mire presidenzialiste hanno sempre mosso i disegni delle destre tanto che all’indomani della cacciata del fascismo tanto il presidenzialismo quanto il federalismo erano stati esclusi come emblemi di un potere autoritario, con Mani Pulite e i disegni strategici del padronato sono tornati invece di moda guadagnando consensi anche nelle forze di centro sinistra che in teoria dovrebbero difendere la Carta Costituzionale.
La difesa astratta della Costituzione, come anche dell’antifascismo, restano quindi un bagaglio ideologico inutilizzabile in presenza dello stravolgimento della stessa Carta e per tutti quei processi di rafforzamento dell’esecutivo e delle associazioni datoriali avvenuti da 40 anni ad oggi.
Meloni raccoglie solo i frutti di politiche servili al grande capitale e non sarà certo la riconquista di qualche Ente locale ad invertire la tendenza in atto.
Uscire dal tatticismo, rilanciare Rifondazione Comunista come protagonista dell’alternativa al sistema di guerra e austerità. La tornata elettorale europea si è conclusa con uno spostamento a destra del quadro politico. In questo contesto si delinea il profilo politico della maggioranza di Popolari e Socialdemocratici, che in accordo con i Liberali, eleggono Ursula von der Leyen Presidente della Commissione Europea per il secondo mandato. Questo accordo fra centrosinistra e centrodestra europeo ha grande compattezza sui temi della austerità, della sicurezza e del sostegno economico e militare alla guerra contro la Russia, e una prospettiva stabile, anche perché ha a disposizione, avendole già preparate, alleanze variabili a destra e con i verdi, con chi insomma condivide fedeltà alla Nato e appoggio all’Ucraina fino alla vittoria. Questo scenario preannuncia oltre che la continuazione della guerra nel cuore dell’Europa, con possibile allargamento e coinvolgimento di altri paesi, un aumento vertiginoso delle spese militari, una politica di austerità più severa a discapito dello stato sociale in una economia europea devastata dalla rottura dei rapporti economici con la Russia, a partire dalla recessione in Germania. Saranno sacrifici e miseria per i popoli europei e possibile guerra. In questo contesto occorre registrare con preoccupazione due elementi. A) In primo luogo, l’incapacità delle forze di sinistra di proporre un orizzonte complessivamente alternativo alla situazione attuale, a partire da una chiara strategia contro la guerra, che si prospetta essere, per i prossimi anni, il criterio di divisione tra forze progressiste alternative al liberismo e all’espansionismo della NATO e le forze che in Europa come in Italia ripropongono le stesse politiche antipopolari e guerrafondaie. E ’illusorio e mistificante dire di essere alternativi e contemporaneamente partecipare ad alleanze elettorali con il PD. B) In secondo luogo, la preoccupante crescita di forze di destra – tutte connotate da una proposta politica con tendenze autoritarie ed a volte esplicitamente fasciste – talvolta portatrici di posizioni critiche verso la guerra. Ed è proprio questo regime bipolare che governa l’Europa, con le sue politiche guerrafondaie e di austerità, ad avere aperto la strada e la crescita delle destre estreme. Per questo Rifondazione deve rigenerarsi politicamente ed organizzativamente, abbandonare il tatticismo esasperato, che ne ha caratterizzato il percorso politico degli ultimi anni, e rimettere a tema la costruzione di un polo alternativo e di classe al partito della guerra e dell’austerità in Italia come in Europa. In assenza della costruzione di questo polo, che disegni una proposta di alternativa concreta, comprensibile a livello popolare, la dialettica politica in Europa come in Italia rimarrà imprigionata tra il partito unico del sistema bipolare e le destre estreme fasciste: un disastro. Grande è quindi la responsabilità che abbiamo di fronte, per sconfiggere questa ennesima offensiva nei confronti dei diritti delle classi popolari a vantaggio dei ricchi e dell’industria bellica, a cui ha spianato la strada il centrosinistra, con le sue riforme regressive, allargando il consenso alla destra guerrafondaia e repressiva. Pace, terra, dignità non raggiunge lo scopo per la quale era nata Pace, terra e dignità, in quanto lista di scopo volta a creare un movimento largo e non necessariamente delineato a sinistra, per stessa ammissione del suo fondatore e leader indiscusso Michele Santoro, non raggiunge lo scopo prefissato del 4% fermandosi a un 2,19%, che non è paragonabile a liste del passato chiaramente delineate a sinistra e con programmi ben più avanzati. Una lista per la quale il partito ha compiuto grandi sacrifici e forzature, abdicando ai propri processi democratici, in favore di linee e candidati calati dall’alto di Servizio Pubblico. Dopo aver presentato la lista PTD come il possibile veicolo per tornare nelle istituzioni, oggi si sentono disquisizioni sul risultato comunque positivo della lista, come se nulla fosse. La lista non è mai decollata e il dato impietoso del voto giovanile e dei settori popolari, segnala il suo totale distacco dalle lotte sociali e dai movimenti, soprattutto giovanili, che si sono sviluppati in questi mesi a sostegno della Palestina. Le principali ragioni della sconfitta In primo luogo, la lista non ha mai perseguito un profilo unitario, plurale, aperto e inclusivo verso soggettività politiche, movimenti e comitati locali contro la guerra e il liberismo. Lo stesso mancato coinvolgimento di UP nella costruzione della lista, frutto in primo luogo di una interlocuzione discontinua e dilazionata e del tutto inadeguata per costruire un percorso unitario, ha rafforzato questo tratto chiuso e autoreferenziale della lista: una lista che nasce da una rottura e non da una azione unitaria. I ritardi e la gestione fortemente personalistica della lista hanno contribuito a rafforzare un connotato ristretto della lista, senza la capacità di presentarsi come uno strumento a disposizione di vasti strati di opposizione alla guerra e al liberismo. In secondo luogo, la lista ha affrontato il tema della guerra staccato dalle drammatiche questioni economiche e sociali, non riuscendo a interagire con i ceti popolari spinti dalle politiche neoliberiste verso l’astensione, peggio, a votare le forze della destra più estrema. Le questioni del salario minimo – – su cui abbiamo raccolto 70.000 firme – della precarietà, delle pensioni, dell’occupazione, sono rimaste completamente sullo sfondo nella comunicazione pubblica della lista. Invece di coniugare i bisogni materiali degli strati popolari con la necessità di combattere la guerra e l’economia di guerra, la lista si è mossa su un terreno etico che non ha colto per nulla la sofferenza degli strati popolari e il disagio e la voglia di cambiamento dei giovani. In terzo luogo la lista non ha interloquito significativamente nemmeno con i movimenti sociali e per la pace presenti sul territorio. L’offerta di una candidatura non corrisponde alla proposta di costruire insieme una lista. Le stesse affermazioni sulla NATO non hanno certo dato alla lista quel mordente che era necessario per suscitare passione e celta all’interno dello stesso mondo che si oppone alla guerra a partire dalle giovani generazioni. Il contesto attuale non deve però spingerci a soluzioni facili e di comodo, abbiamo di fronte un grande terreno su cui lavorare, ad oggi non rappresentato da alcun partito, caratterizzato dall’astensionismo e della mancanza di credibilità, per molte persone, dei due poli dominanti. A questo terreno dobbiamo avanzare una proposta credibile, che metta al centro la pace e la difesa dei diritti sociali a partire dal lavoro, con la messa in discussione di un sistema che vive dello sfruttamento dei nostri corpi, delle nostre vite e del pianeta stesso. Rifondazione Comunista può rafforzarsi e tornare ad essere percepita come forza politica credibile solo se collocata nello spazio politico dell’alternativa, come motore che porta alla riaggregazione di classe, dei movimenti e di chi non si sente rappresentato. Tale scopo è la natura fondante della stessa Rifondazione Comunista, altre opzioni comporterebbero il suo scioglimento di fatto, per il venir meno della natura del partito stesso e la chiusura definitiva, per molti anni, di qualsiasi opzione alternativa alle sinistre subalterne alla NATO e al fascioleghismo. Da questa prospettiva va letta la necessità di non rompere con l’esperienza di Unione Popolare, che con tutti i suoi limiti politici e organizzativi, ha rappresentato un elemento per la ricostruzione di uno spazio politico dell’alternativa. Il congresso per ridare senso e ruolo a Rifondazione Comunista Il congresso deve definire in modo chiaro dove vogliamo andare, ridefinendo il progetto politico di Rifondazione, al di là del tatticismo che ci ha caratterizzato negli ultimi anni. Un congresso che abbia uno spazio reale per la discussione dei circoli, in modo che il corpo del partito, troppo spesso interloquito solo per raccogliere le firme, possa dire la sua e decidere comunemente del nostro futuro. E’ indispensabile rimettere all’ordine del giorno i compiti difficilissimi che ci attendono: la tenuta e il rilancio del Prc a partire dal massimo impegno per il tesseramento 2024, della sua credibilità messa gravemente in crisi, del suo insediamento politico e sociale e la necessità della riaggregazione di classe e sociale. Si tratta di un compito politico ed organizzativo su cui concentrare le nostre energie da subito, curando il radicamento sociale, le relazioni con i movimenti sociali, evitando adesioni a progetti di altra natura, che lederebbero l’autonomia politica del partito. Il Congresso deve essere posto nella possibilità di decidere sul futuro, evitando di essere posto dinnanzi a fatti compiuti: dallo scioglimento o congelamento di UP all’adesione a nuovi quanto indefiniti progetti politici. Riteniamo pertanto che il prossimo congresso debba intrecciarsi con un rilancio dell’iniziativa politica del partito e pertanto il CPN impegna tutto il partito:
A contribuire a rafforzare e allargare lo schieramento democratico che si oppone alla autonomia differenziata e alla introduzione del premierato, a partire dalla nostra posizione politica contro ogni autonomia differenziata, contro il maggioritario e il presidenzialismo, per la difesa della Costituzione. Essere unitari non significa essere sussunti nel centrosinistra. Il modo con cui il Tavolo contro ogni autonomia differenziata ha saputo lavorare e unire posizioni diverse, non rinunciando a chiarire le responsabilità del centro sinistra nella modifica dell’art. V della Costituzione o nel tentativo di dar vita concretamente al percorso dell’autonomia differenziata, è il metodo con cui dobbiamo affrontare questi percorsi unitari contro le destre, a cui saremo chiamati a livello nazionale e nei territori. Lotta comune nella chiarezza dei contenuti e delle prospettive politiche non coincidenti.
A costruire lotte, vertenze, relazioni sociali e politiche e proposte sugli elementi materiali crescenti di sofferenza sociale (pensioni, salari, sanità, casa) e giovanile, come i movimenti per il clima e i diritti civili, oggi fortemente sotto attacco come per esempio il diritto all’aborto, con l’obiettivo di intersecare queste lotte e rivendicazioni, come l’esperienza della GKN ci ha insegnato. Il centro sinistra costruisce un’opposizione parziale, che di fatto marginalizza questi obiettivi, che invece sono decisivi per la costruzione dell’alternativa, per il radicamento sociale e per il superamento della passività e del disincanto. Costruire la connessione tra uscita dalle politiche di austerità e lotta contro le spese militari, la NATO e le politiche di guerra è un punto decisivo di questa iniziativa che ponga al centro la difesa delle condizioni di vita e di lavoro degli strati popolari.
A intrecciare in tutti territori la costruzione del conflitto sociale, della lotta per la democrazia e la partecipazione, con la proiezione nelle istituzioni di una proposta politica alternativa ai poli politici esistenti.
Al rilancio e allo sviluppo della campagna per il salario minimo garantito sviluppata nell’ambito di Unione Popolare col nostro decisivo contributo, da continuare a portare avanti come Partito, così come delle campagne referendarie della CGIL.
A riprendere la costruzione di un ampio movimento popolare per la pace, che tenga insieme la lotta contro la guerra con quella alle sue conseguenze economiche sui ceti popolari mettendo a valore e connettendo tutte le soggettività politiche e di movimento, a partire dagli studenti, che nelle università lottano per la fine del genocidio in Palestina e per la rottura della collaborazione con le Università Israeliane, da chi fa la campagna per il boicottaggio dei prodotti palestinesi, a quanti si spendono per il disarmo, la tregua in Ucraina, la lotta per l’uscita dalla NATO, le associazioni di volontariato . Per questo vogliamo far vivere e costruire la parola d’ordine della mobilitazione e dello sciopero generale contro la guerra.
A contrastare il DDL Nordio sulla sicurezza che criminalizza le azioni di lotta dei movimenti sociali. La lotta contro il tratto fascistoide ed autoritario del governo non può essere confinata negli ambiti scelti dal centro sinistra: la nostra lotta per la democrazia deve essere a tutto campo.
Il CPN impegna in particolare la Direzione Nazionale a predisporre un piano concreto ed operativo di ristrutturazione della comunicazione del partito. La nostra capacità comunicativa è infatti del tutto inadeguata rispetto ai compiti che abbiamo e questo nodo non può essere ulteriormente dilazionato. Giovanna Capelli Mara Ghidorzi Nando Mainardi Riccardo Gandini
Il Comitato Politico Nazionale ringrazia tutte le/i militanti del partito che hanno dato il loro contributo nella campagna elettorale europea con la consapevolezza che la lotta per la pace per le/i comunisti è il terreno prioritario nel momento in cui un capitalismo sempre più finanziarizzato affronta le sue contraddizioni con una “guerra mondiale a pezzi” in continua escalation che ci pone di fronte al rischio sempre più concreto di conflitto nucleare.
PACE TERRA DIGNITA’ Il risultato della lista PACE TERRA DIGNITA’ è certo insoddisfacente dato che non è stato raggiunto il quorum e anche per le aspettative che la lista per la pace aveva suscitato. Va però sottolineato che PTD ha ottenuto il nostro risultato migliore dell’ultimo decennio. L’elemento essenziale di bilancio è politico: rivendichiamo di avere fatto la giusta lotta, quella per mettere al centro della discussione pubblica in Italia e in Europa la questione della guerra. È stata una grande campagna pacifista, la più grande da molti anni a questa parte. È stata una grande campagna contro la propaganda di guerra in tutti gli spazi mediatici disponibili e in centinaia di piazze, teatri, incontri. La lista ha portato dentro la competizione elettorale un punto di vista contro la guerra chiaro, senza sconti per chi porta la responsabilità della scelta della subalternità alla NATO e agli USA. Abbiamo invitato a disertare e rifiutare di farsi arruolare da un Occidente suprematista, neocolonialista e neoimperialista, in aperto scontro con le altre potenze. Abbiamo dato voce alla richiesta di cessate il fuoco in Ucraina, come condizione per rilanciare un programma di giustizia sociale e ambientale. Abbiamo cercato di dare voce – anche attraverso le candidature di esponenti della comunità palestinese – all’indignazione per la complicità italiana e europea con il genocidio che il governo Netanyahu sta commettendo a Gaza. Abbiamo posto le questioni cruciali di questo momento storico di scontro sempre più diretto tra Stati Uniti/NATO e Russia, Cina e resto del pianeta mentre tutto il sistema politico-mediatico ha evitato di far emergere la drammaticità della situazione. Ci ha penalizzato il fatto che nell’ultimo decisivo mese di campagna elettorale lo schieramento trasversale a favore del proseguimento del conflitto ucraino ha preferito evitare lo scontro e la polemica con chi come noi è contro la guerra per non entrare in conflitto con il sentimento popolare. La proposta di una lista unitaria per la pace poteva essere una grande occasione per lanciare dall’Italia un messaggio forte a tutta l’Europa. Purtroppo la resistenza delle altre formazioni politiche della sinistra alla convergenza in un’aggregazione che mettesse “la pace al primo posto” ha determinato molti mesi di stallo durante il quale il progetto avrebbe potuto crescere nel paese coinvolgendo i territori. Il rifiuto di AVS si è accompagnato alla speculare chiusura settaria di PAP che ha portato alla crisi e al blocco del progetto di Unione Popolare di cui va preso atto l’oggettivo esaurimento. Continueremo come sempre a lavorare e cooperare con tutte le formazioni della sinistra anticapitalista e antiliberista, ma è evidente che non vi sono le condizioni politiche per proseguire nella costruzione di una soggettività unitaria essendo stato manifestamente negato l’impegno per l’unità del fronte pacifista che era alla base del progetto originario di UP. E’ giusto affidare al dibattito congressuale il tema delle forme e delle modalità di relazione e dell’aggregazione della sinistra popolare, anticapitalista, antiliberista, pacifista, femminista e ambientalista. Con Michele Santoro e Raniero La Valle, e tutte le personalità e i gruppi che hanno condiviso l’esperienza della lista, intendiamo verificare la possibilità e le modalità per proseguire le iniziative di Pace Terra Dignità come movimento contro la guerra con la convinzione che nel nostro paese e in Europa ci sia bisogno di un pacifismo che sfidi la politica irresponsabile delle classi dirigenti. La costruzione di un largo fronte contro la guerra rimane per noi impegno prioritario in questa fase storica e continueremo a lavorare in questa direzione. Ne dimostrano la necessità la riunione del G7 che ha confermato la linea guerrafondaia dell’Occidente sull’Ucraina, contro la Cina e il sostegno a Israele. Le stesse nomine proposte dal Consiglio Europeo portano questo segno. La conferma di Ursula Von Der Leyen è la conferma del sostegno alla guerra, del riarmo come scelta strategica, della austerità e della subalternità alle multinazionali. Kallas alla autorità per la politica estera non è una scelta solo anti Putin ma anti russa, densa di revisionismo storico e di revanscismo. L’accordo tra Popolari, Socialisti e Liberali è in continuità con le pessime scelte di tutti questi anni. E la ricerca di voti in Parlamento Europeo verte già su dossier condivisi con le destre come quelli contro i migranti e i richiedenti asilo, come può contare dall’altro lato su un possibile sostegno dei Verdi che hanno esplicitato la loro disponibilità a un ingresso formale in maggioranza. Il modello intergovernativista guarda sempre più a quella Europa delle Nazioni cara alle estreme destre che possono andare al governo se proseguono l’impegno bellico, come accaduto nell’Olanda del nuovo segretario generale della NATO Rutte.
IL RISULTATO ELETTORALE Il dato politico inquietante delle elezioni europee è che nel nostro paese la guerra per ora non mette in crisi i partiti che la sostengono e anzi esce penalizzata una formazione come il M5S che, pur tra grandi contraddizioni e dopo aver votato per l’invio di armi, ha assunto una posizione per la pace. È evidente che persino nella sinistra e nei movimenti più radicali, in Italia come in Europa, la guerra non si afferma come discriminante prioritaria. È prevalso anche dentro una competizione come quella europea lo schema della contrapposizione bipolare anche se nel parlamento europeo PD e FdI, entrambi rafforzati, voteranno di nuovo insieme per la prosecuzione del conflitto con la Russia e per l’economia di guerra come “pilastro” dell’UE. È già accaduto e continua a accadere lo stesso per le scelte neoliberiste condivise per decenni a Bruxelles dai due poli come alla vigilia delle elezioni per il nuovo Patto di Stabilità. L’elettorato continua a essere diviso in maniera bipolare con spostamenti all’interno delle stesse ma senza grandi spostamenti. Il governo di destra ha portato a una crescita, in cifra assoluta oltre che percentuale, di tutte le formazioni dell’area “progressista”, tranne il M5S che ha perso 2 milioni di voti, e a un’avanzata del PD e ancor più notevole di AVS. Si tratta di un dato politico con cui non possiamo non confrontarci perché c’è una domanda popolare di unità contro la prepotenza della destra e AVS si va affermando come il soggetto politico a sinistra che elegge e che per questa ragione viene ritenuto credibile nello spazio della rappresentanza. Il risultato clamoroso non porta purtroppo il segno politico del no alla guerra ma quello del rafforzamento della linea di Bonelli e Fratoianni che mai hanno aperto un minuto di scontro col PD sul tema. Il fatto che questo successo sia stato ottenuto soprattutto grazie al consenso raccolto da due candidature dal profilo radicale come quelle di Mimmo Lucano e Ilaria Salis non modifica il fatto che il risultato rafforza la linea di quella formazione e la sua scelta di mettere al primo posto sempre e comunque l’alleanza subalterna col PD. Ben altro sarebbe stato il segno dei risultati se ci fosse stata una lista unitaria per la pace. Potevamo avere una lista contro la guerra al 10% e non c’è stata, non certo per responsabilità nostra che l’abbiamo proposta per mesi accogliendo l’appello di Santoro e La Valle che non implicava la scomparsa o l’invisibilità delle formazioni politiche esistenti ma semplicemente l’assunzione di un comune impegno contro la guerra. L’astensione altissima continua a testimoniare una crisi democratica profonda e il crescente distacco delle classi popolari dalla politica. Si tratta, almeno per la sinistra che non rinuncia a costruire un progetto di trasformazione sociale, della principale emergenza perché proprio i soggetti più penalizzati dalle politiche neoliberiste tendono alla passivizzazione, alla spoliticizzazione e alla non partecipazione. Non è possibile ricostruire una sinistra di classe di massa senza la ripoliticizzazione delle classi popolari, la ricostruzione di una cultura conflittuale e solidale, la ripresa delle lotte e dell’azione collettiva. Senza una rottura esplicita con l’agenda dei governi neoliberisti degli ultimi decenni non si riconquista la credibilità necessaria presso le classi popolari e tra lavoratrici e lavoratori. Nelle elezioni amministrative si è confermata una ripresa del centrosinistra e anche una fisiologica maggiore affluenza al voto che comunque è molto al di sotto del passato. Il rarefarsi della nostra presenza organizzata ha fatto sì che in molti comuni non fossimo presenti come accade ormai da anni. Alcune esperienze molto positive però segnalano che una linea radicale ma non settaria e un’articolazione delle scelte nei differenti territori hanno prodotto risultati significativi. Le coalizioni con il M5S (a cui PAP ha opposto sempre in UP una contrarietà di principio e che anche nel nostro partito erano state contrastate) hanno condotto alla vittoria in tre comuni toscani (Borgo San Lorenzo, Rosignano Marittima, Calenzano) e a San Giovanni Rotondo (Fg). Sono da registrarsi anche affermazioni delle liste del partito con il nostro simbolo in comuni delle regioni un tempo rosse, da Poggibonsi a Granarolo. A Firenze la nostra coalizione alternativa ai poli ha eletto un consigliere che potrà proseguire l’opposizione al sistema di potere del PD. A Giulianova (Te) una lista unitaria della sinistra in alternativa ai poli è riuscita a eleggere due nostri compagni superando il 10%. A Rapallo una lista di UP ha ottenuto un grande risultato. A Bari pur non eleggendo abbiamo contribuito al primo turno a una coalizione che ha superato il 20% mantenendo la connessione sentimentale con un’area larga di sinistra. A Perugia la candidata sindaca proposta da Rifondazione ha guidato tutte le forze del centrosinistra alla vittoria contro la destra. Il quadro che emerge dal voto evidenzia che non è possibile calare uno schema identico su tutto il territorio nazionale senza lasciare alle compagne/i dei territori la possibilità di valutare le modalità più efficaci di presentazione elettorale per incidere nella vita delle proprie comunità. Si indica comunque, la priorità alla ricerca di una coerenza credibile, a livello locale, con la nostra alternatività oggi rafforzata e ancora più necessaria al blocco unico della guerra che, anche nei territori, ripropone l’impianto neoliberista. Nel prossimo congresso dovremo discutere e approfondire la nostra posizione sugli enti locali che è unica in Europa tra i partiti del gruppo The Left e nel partito della Sinistra Europea. Ribadiamo la nostra critica della linea di AVS di internità subalterna al centrosinistra a prescindere, come si vede a Napoli con la trasformazione in spa dell’unica azienda dell’acqua effettivamente pubblica in Italia, a Roma con l’inceneritore, a Milano con l’immobiliarismo di Sala. Non possiamo però contrapporre la semplice reiterazione di una posizione di alternatività di principio che non tenga conto dei contesti locali e che spesso ci pone nelle condizioni di non essere nemmeno in grado di presentarci. Dobbiamo maggiormente recuperare quel carattere corsaro che all’autonomia e alterità rispetto al centrosinistra univa anche la capacità di incalzarlo e contendergli l’egemonia almeno su una parte della società e della sinistra.
UN’ESTATE DI MOBILITAZIONE DEMOCRATICA E ANTIFASCISTA La possibile vittoria del RN di Marine Le Pen in Francia suscita la preoccupazione di tutte le antifasciste e gli antifascisti in Europa. Non pare però preoccupare settori del capitale che la sostengono e parte dell’establishment neoliberista che apertamente indica nel programma economico-sociale del Nuovo Fronte Popolare il pericolo principale. Nel ribadire il nostro impegno nella lotta contro le destre ribadiamo che a fomentare il risorgere del fascismo sono le politiche neoliberiste e di guerra dentro il quadro della crisi della globalizzazione capitalista. Solo un antifascismo popolare, in netta rottura con le politiche antipopolari che le hanno favorite, può contrastare efficacemente le destre. Senza una rottura con il neoliberismo non si fermano le destre in Europa come dimostra l’ascesa di Le Pen grazie alle politiche antipopolari di Macron, per tanti anni punto di riferimento della classe dirigente del PD e centrista. La lotta contro le destre e l’opposizione al governo Meloni richiede il massimo di unità ma senza perdere il nostro punto di vista critico, la nostra autonomia, la nostra linea di alternativa. Dobbiamo in primo luogo ribadire che un fronte popolare antifascista e per la Costituzione non può accantonare l’articolo 11 e il ripudio della guerra. E’ la logica della guerra che sta sdoganando l’estrema destra in Europa, come l’Ucraina, il governo Meloni e quello Rutte dimostrano. Il governo Meloni e la coalizione di destra non solo hanno un’agenda antipopolare, classista, neoliberista, razzista, xenofoba, omofoba, sessista, conservatrice e reazionaria oltre che una matrice fascista che continuamente emerge. Il governo Meloni sta portando avanti un attacco che profila il definitivo stravolgimento della Costituzione, lo smantellamento dello Stato sociale, la fine dell’unitarietà della repubblica, la messa in discussione dell’indipendenza della magistratura. Un partito come il nostro – che si autodefinisce come “il partito della Costituzione” – non può assolutamente tenere un atteggiamento di sottovalutazione della necessità della costruzione del più largo fronte unitario contro l’autonomia differenziata, il premierato, la separazione delle carriere, le leggi repressive contro lotte sociali e in generale nell’opposizione al governo delle destre. Ribadiamo la contrarietà alla separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante e della conseguente separazione dei CSM, dunque, condurrà fin dall’ approdo del ddl in Parlamento una campagna massimamente unitaria. Un partito garantista non può tollerare che chi svolge le indagini e sostiene l’accusa sia, nei fatti, diretto dalla polizia giudiziaria dunque dall’esecutivo. La nostra opposizione al premierato è nettissima perché rappresenta il colpo definitivo e di segno autoritario a quel che rimane della democrazia costituzionale. Sappiamo che sarà davvero difficile vincere il referendum confermativo perché tre decenni di pessime riforme istituzionali e leggi maggioritarie, di elezioni dirette dei sindaci e dei presidenti di regione, di delegittimazione del ruolo del parlamento, di mediatizzazione e americanizzazione della politica hanno preparato il terreno al colpo di grazia alla democrazia costituzionale. Su questi terreni dobbiamo lavorare al fronte più largo possibile, con la Cgil, l’ANPI, l’ARCI, le associazioni, le reti e i movimenti e anche con i partiti del centrosinistra come con le formazioni della sinistra anticapitalista e i sindacati di base. Senza uno schieramento di questo genere non sarebbe neanche possibile raccogliere le firme in due mesi estivi per il referendum contro l’autonomia differenziata. La nostra partecipazione al comitato promotore del referendum abrogativo della legge Calderoli rappresenta la naturale continuazione del lavoro che abbiamo condotto per anni promuovendo i comitati contro l’autonomia differenziata e il tavolo no AD con una approccio assai radicale nei contenuti ma aperto al necessario dialogo e alla cooperazione con forze assai diverse da noi. Una pratica non settaria ma rigorosa sui contenuti che ha fatto crescere dal basso e dall’esterno del parlamento la critica delle proposte di regionalismo differenziato e la consapevolezza delle conseguenze. Si tratta di una esperienza esemplare di costruzione di movimento in un contesto in cui il movimento di massa non c’era per determinarne le condizioni. Nel paese è fortissima a sinistra e nei movimenti una legittima domanda di unità contro la destra al governo che noi dobbiamo saper cogliere senza rinunciare alle nostre discriminanti. La più larga unità è necessaria non solo per raccogliere le centinaia di migliaia di firme indispensabili per presentare il quesito abrogativo ma anche per tentare di vincere il referendum. Non dimentichiamo che la legittimazione e il via libera all’autonomia differenziata lo hanno dato dal 2001 il centrosinistra con la modifica del titolo V della Costituzione a cui solo noi ci opponemmo e poi il PD con il si ai referendum per l’autonomia e le intese di Gentiloni con le regioni del nordest a cui si è associata anche l’Emilia-Romagna. E dentro questa campagna dobbiamo imprimere un segno antiliberista forte e anche la nettezza del no a ogni autonomia differeniata rispetto ai messaggi ambigui degli esponenti del PD come Bonaccini. Il doppio appuntamento referendario l’anno prossimo con i quesiti contro il jobs act e quello contro l’autonomia differenziata sarà nel segno non solo dell’opposizione alla destra ma anche una palese dimostrazione del fallimento delle politiche del centrosinistra neoliberista dato che i quesiti riguardano provvedimenti legislativi che hanno origine diretta o indiretta dai loro governi. I referendum possono e debbono essere occasione per una mobilitazione politica di massa sulla via maestra della difesa e dell’attuazione della Costituzione. Il Partito della Rifondazione Comunista lavora all’apertura di una fase nuova di movimento e lotta, per dare un orientamento di sinistra, antiliberista, anticapitalista e pacifista all’opposizione al governo Meloni. La manifestazione nazionale di sabato prossimo indetta dalla Cgil a Latina rappresenta un momento fondamentale di lotta. La parola d’ordine dell’abrogazione della Bossi è oggi finalmente condivisa da uno schieramento largo. L’abbiamo sempre considerata essenziale dal punto di vista di una qualificazione di classe della stessa lotta antirazzista. L’omicidio di Satman Singh ha fatto riemergere la realtà della creazione di un’enorme sottoclasse di forza lavoro schiavizzata perché ricattabile attraverso norme prodotte nel clima creato dalle campagne xenofobe e razziste delle destre. La nostra partecipazione ai Pride ieri, con lo slogan #noprideingenocide sullo striscione e le bandiere palestinesi, è tesa a respingere la strumentalizzazione dei diritti lgbtqi+ per legittimare la nuova versione della “missione civilizzatrice dell’Occidente” che viene usata per giustificare la complicità con il genocidio a Gaza. Lavoriamo per la convergenza delle lotte.
️VERSO IL CONGRESSO L’apertura del percorso congressuale non è semplicemente una scadenza statutaria ma corrisponde a una necessità di riflessione collettiva per affrontare le difficoltà che il nostro partito vive da più di un quindicennio e il quadro nuovo che si è determinato nell’ultimo triennio sul piano internazionale, in Europa e anche nel nostro paese. E’ necessaria una riflessione strategica e un confronto costruttivo che coinvolga l’insieme del nostro corpo militante. Il percorso verso il congresso nazionale, da svolgersi entro la metà di gennaio 2025, dovrà essere accompagnato da momenti di analisi, approfondimento e autoformazione. Il rafforzamento organizzativo, l’iniziativa politica e sociale, l’autonomia del partito hanno come condizione una cultura e una pratica unitaria al suo interno e la capacità di funzionare come intellettuale collettivo superando il correntismo che cristallizza le posizioni e impedisce un dibattito aperto sugli enormi problemi che deve affrontare una formazione anticapitalista e antimperialista in questa fase storica. Questo CPN apre la fase congressuale e nella prossima riunione, da convocarsi entro il 20 luglio, procederà alla costituzione delle commissioni. Il CPN impegna il partito al massimo impegno nel rilancio della campagna di tesseramento e nelle mobilitazioni che ci attendono a partire dalla manifestazione di Latina di sabato 6 luglio e nella campagna di raccolta delle firme contro l’autonomia differenziata. (Il documento politico proposto dal segretario nazionale Maurizio Acerbo è stato approvato con 82 voti, 71 al doc. alternativo, 1 astenuto)
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