Ben Casu
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Lavoro PUBBLICO! Proposte per un nuovo pubblico
Pubblico Impiego e Reinternalizzazione
La pandemia ha rivelato, col suo carico di sofferenze e lutti, oltre al fallimento del mercato, gli effetti devastanti dell’arretramento del pubblico sulla vita delle persone e sul sistema paese.
Se si è evitato un disastro peggiore lo si deve a ciò che di pubblico è rimasto e alle/ai sue/suoi lavoratrici e lavoratori, che con il loro impegno hanno sopperito alle grandi carenze in termini di strutture e di personale prodotte da trent’anni di politiche neoliberiste e/o di austerità e ai giganteschi tagli giustificati con i vincoli europei e il peso del debito.
Certamente si è operato, purtroppo con successo per ridurre la spesa, facendo del pubblico impiego un capro espiatorio si è proceduto alla privatizzazione di interi settori e servizi, accompagnandolo alla progressiva aziendalizzazione attraverso continue riduzioni di organico, delegittimazione di funzioni e impoverimendolo di professionalità, svalorizzandone il suo ruolo sociale insieme alla decurtazione di salari e stipendi perseguita con il blocco dei contratti.
Così mentre si approvavano controriforme su pensioni, collocamento, scuola, sanità, urbanistica e territorio, privatizzazione dei beni comuni tutti i settori pubblici subivano un attacco teso ad eliminare quanto di positivo era stato prodotto dalle lotte degli anni 70.
….E i vizi che l’hanno favorita
Non possiamo però sottacere che l’attacco neoliberista è stato favorito dal fatto che nel pubblico si erano sedimentate situazioni negative, malfunzionamenti, arretratezze, inutili rigidità burocratiche, incurie, sprechi e corruzione connessa a forme di gestione clientelare alimentati dalla gran parte dei partiti che per decenni hanno utilizzato il pubblico per coltivare le proprie clientele e accrescere il proprio bacino elettorale.
I media hanno potuto amplificare a dismisura questi fenomeni perché avevano una base reale che ha prestato il fianco all’indicazione del Pubblico come luogo di tutte le inefficienze a favore delle virtù salvifiche del privato, del mercato, della concorrenza e della competitività tra lavoratori travestita da merito. Ciò ha permesso di fare di ogni erba un fascio collegando la narrazione dei fannulloni all’enfasi sui privilegi utilizzata ripetutamente per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri e livellare verso il basso salari tutele e diritti.
Col governo Draghi, nonostante l’accantonamento dei tagli necessario per fronteggiare l’emergenza, si rafforza l’ispirazione neoliberista e con essa l’intenzione di utilizzare le insufficienti risorse del recovery plan per portare a termine quella trasformazione neoliberista del pubblico rimasta incompiuta per le persistenti resistenze sociali e delle lavoratrici e dei lavoratori.
E’ il capitale che scende in campo per gestire direttamente a proprio vantaggio i soldi che l’Europa mette a disposizione. L’obiettivo annunciato anche dalla composizione del governo è quello di modernizzare il sistema deregolamentando ulteriormente vincoli sociali e ambientali sugli investimenti, subordinando la scuola e l’università alle imprese, privatizzando i beni comuni.
In questo senso guardando oltre gli slogan enunciati negli incontri tra le parti sociali possiamo affermare che le riforme in realtà punteranno a rimuovere quel che resta di tutele della cosa pubblica per arrivare ad un mercato senza o con poche regole a vantaggio di lobby e/o poteri forti.
Più pubblico, ma quale
Per noi è fondamentale definire una diversa idea di Pubblico, che corrisponda al nostro più generale modello alternativo di Società ed esprima una nozione più avanzata di riproduzione sociale, non funzionale alle esigenze del profitto, ma al benessere di tutta la popolazione, all’allargamento della sfera dei diritti, alla tutela dei beni comuni.
Un pubblico nuovo, sottratto ai vizi su cui aveva fatto leva l’attacco neoliberista, un pubblico accogliente, in cui la ripresa di protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori si sposi con la partecipazione dei cittadini, in cui l’allargamento della democrazia nella gestione si intrecci con il miglioramento della qualità dei servizi.
Proposte per un nuovo pubblico
Le nostre proposte, anche in relazione all’uso delle risorse dei fondi europei, prevedono il rilancio del Pubblico nel campo della riproduzione, della cura e della produzione. Ma pensiamo ad un Pubblico completamente rinnovato, che si metta alle spalle le degenerazioni e gli illeciti prodotti da rapporti clientelari con la politica e tramite il sistema degli appalti con le imprese amiche, in cui l’innovazione tecnologica e dei processi, le assunzioni, un grande piano di formazione e valorizzazione del personale siano finalizzati ad aumentare le competenze, migliorare l’organizzazione del lavoro e l’erogazione dei servizi. In ultima analisi ridare centralità al Pubblico come paradigma anticapitalista
Occorre un grande piano in cui un consistente aumento degli organici con una sostanziosa leva di giovani, dove stipendi dignitosi e nuova formazione concorrano a rimotivare un personale invecchiato, malpagato e insufficiente, inoltre un generale potenziamento e ammodernamento delle strutture in grado di garantire una diffusa presenza sul territorio e servizi di qualità
Negli Enti Locali sono necessarie la riappropriazione del territorio e una pianificazione democratica, la ricostituzione dei beni comuni, l’estensione e la riqualificazione dei servizi, che devono procedere con quelle per la ricostruzione dei processi partecipativi e democratici, restituendo ai Consigli comunali ovvero alle assemblee elettive i poteri sottratti a favore di quelli esecutivi.
Così come nella scuola bisogna porsi l’obiettivo della rivalutazione delle funzioni degli Organi Collegiali, della partecipazione dei territori, del personale e degli studenti, cancellando l’idea stessa del “dirigente manager”
Proponiamo all’interno di un più generale Piano Nazionale per il Lavoro, un piano di assunzioni stabili nella P.A., adeguato alle necessità reali della popolazione (identificando quindi bisogni fondamentali e servizi corrispondenti), abbandonando i criteri di mero “risparmio economico” che hanno dominato in questi anni; che siano attribuiti a lavoratrici e lavoratori pubblici (a fronte di un blocco salariale decennale) consistenti aumenti salariali; che siano riconosciute, valorizzate e promosse le competenze, che siano reinternalizzati i servizi che in questi anni sono stati conferiti all’esterno, con l’obbiettivo di ricondurre tutti i servizi pubblici al perimetro pubblico, con piena parità di trattamento contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti.
Riassumendo:
- Assunzione di 500 mila lavoratrici e lavoratori stabili e consistenti aumenti salariali in tutti i settori della pubblica amministrazione per avvicinare l’Italia agli standard europei.
- Reinternalizzazione dei servizi esternalizzati e ritorno nel Pubblico dei servizi dati in appalto con riassorbimento del Personale coinvolto, nell’ottica di garantire la piena parità di trattamento di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici che concorrono all’erogazione del servizio pubblico.
- Cancellazione di tutte le forme di precarietà e ripristino del contratto a tempo pieno e indeterminato come norma in tutti i comparti della P.A.
- Rigetto dei tentativi di rendere strutturale la “lavoro a distanza” con la sua assimilazione allo smart working e al tele-lavoro.
- Eliminazione nella P. A. di tutti gli ostacoli occupazionali, professionali e salariali alla piena parità di genere.
- Partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici all’organizzazione di uffici e servizi, prevedendo forme certe di partecipazione degli utenti.
Infine essendo assolutamente prioritario sostenere il valore universale del servizio pubblico, non possiamo che ribadire la nostra ferma opposizione verso le varie ipotesi di “autonomia regionale differenziata” - Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
Bekaert ovvero ennesima cronaca di una morte annunciata
La vertenza della Bekaert di Figline Valdarno non meritava di finire come è finita, non meritava di finire così sopratutto per l’impegno che i lavoratori, ci hanno messo in questi tre anni.
Non c’è stato alcun passo indietro della Bekaert al tavolo convocato dal Ministero dello Sviluppo Economico: l’azienda non si è detta disponibile a prolungare la cassa integrazione. E la data di oggi 4 maggio è l’ultima per i circa 120 lavoratori rimasti in vertenza, per i quali ora scattano i licenziamenti.
Si consuma per l’ennesima volta un dramma sociale causato da aziende predatorie che carpiscono il saper fare dei lavoratori e se ne vanno lasciandosi alle spalle drammi umani e territori feriti.
Questa amara conclusione chiama in causa responsabilità non solo dell’impresa ma anche politiche ed istituzionali; se l’azienda ha avuto un atteggiamento inaccettabile, anche la Fim, Uilm e Regione Toscana firmando il 24 febbraio i licenziamenti non hanno saputo svolgere un ruolo politico in questa vertenza.
Anche i governi che in questi anni si sono succeduti non hanno mai esercitato un ruolo reale facendo anzi fallire l’unico vero piano industriale presentato, quello della cooperativa.
La Bekaert stata usata soprattutto come passerella per politici in cerca di consensi piuttosto che come reale impegno per la salvaguardia dei posti di lavoro; Tante le bufale dei politici ammannite ai lavoratori in questi anni, da Di Maio ai Presidenti della Regione Rossi e Giani.
Come Partito della Rifondazione Comunista troppe volte abbiamo sostenuto che è impensabile che in Italia non ci siano leggi e normative contro le speculazioni selvagge a scapito dei lavoratori e si abbandonino le sorti dell’occupazione e dell’economia del paese alle logiche del mercato e del profitto.
Per questo contrastiamo il recovery plan di Draghi che prosegue sulla stessa linea neoliberiste erogando cifre enormi alle imprese, ma non prevedendo politiche industriali e un piano per l’occupazione all’altezza della drammatica crisi economica e sociale in atto;
Antonello Patta (responsabile lavoro PRC)
Roberto Travagli (responsabile lavoro Federazione di Firenze)
Manifestazione per la Palestina
Manifestazione per la Palestina – Manifestazione a Firenze
“Piombo fuso”: con questo nome venne chiamata l’operazione militare dell’esercito israeliano che, tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, invase la Striscia di Gaza, il territorio palestinese che è diventato una enorme prigione per le migliaia di abitanti che vi sono rinchiusi.
L’invasione militare, coperta da pesanti bombardamenti terrestri, aerei e navali, ha causato circa 1500 morti, prevalentemente civili, migliaia di feriti e distruzioni sistematiche di abitazioni e immobili pubblici.
Una delle periodiche, sanguinarie incursioni militari che le forze armate di Israele compiono contro chi non si rassegna alla ragione della forza, protetta da USA e Europa, ma anche dagli Emiri del Golfo, contro il Diritto internazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite, per l’indipendenza e l’auto-determinazione del popolo palestinese.
Ricordando che il Diritto dei popoli è da anteporre alle ragioni geopolitiche e alle logiche degli affari, in questo caso militari, che i nostri Governi, teorici esportatori di democrazia praticano, saremo al fianco dei rappresentanti del popolo palestinese nelle iniziative che ricorderanno al mondo questa nefasta ricorrenza.
Per questo sabato 9 gennaio ci troveremo alle 15:00 in piazza della Repubblica insieme all’ Associazione di Amicizia Italo-Palestinese.
La Segreteria Provinciale
Blocco degli sfratti e piano straordinario casa per evitare una catastrofe sociale
Monica Sgherri*
Mostrando elementi di grave irresponsabilità sociale il Governo, nel suo ultimo Dpcm e in altri suoi provvedimenti, si era “scordato” di rinnovare la proroga del blocco delle esecuzioni degli sfratti. “Dimenticanza” poi recuperata prorogando tale blocco fino a giugno, ma che già in quei pochi giorni aveva provocato grande apprensione se non disperazione. E relative forti proteste.
Alla perdita del lavoro e del reddito, da gennaio si sarebbe avverata anche quella, tragica, dell’alloggio. Quello che noi abbiamo definito proprio uno tsunami sociale, l’automatismo dell’equazione perdi il lavoro = perdi la casa, quindi per ora è rimandato a giugno.
Ma è solo la punta dell’iceberg che è stata tamponata. Ciò che è ancora infatti più grave è che in questi mesi, e dunque neanche nell’ultimo dpcm e nei provvedimenti di dicembre, nessuna misura sia stata presa per risolvere a monte il bisogno casa. Centinaia di migliaia di famiglie che non possono e non potranno accedere al mercato immobiliare privato per trovare un alloggio. Un bisogno casa destinato a crescere in questi anni proprio per gli effetti della crisi economica determinata dalla pandemia. Non ci stancheremo mai di ricordare che ormai oltre il 90% degli sfratti concessi è per morosità incolpevole, ossia per famiglie che non sono più riuscite a sostenere il canone locatorio per la perdita del lavoro di un loro componente. Una conferma indiretta ci arriva anche dal fatto che gli sfratti per fine locazione sono ormai in via di esaurimento e questo conferma che il mercato della locazione si era spostato su affitti a breve brevissimo tempo.
Vediamo quindi il corpus nel suo complesso: Blocco dell’esecuzione degli sfratti, fondo per il contributo affitti e fondo per contrastare la morosità incolpevole le abbiamo sempre definite come misure tampone. Misure certo necessari per contrastare la crisi ma che da sole non possono, ne dicono di poterlo fare, risolvere il bisogno di casa a costi più che calmierati. Siamo quindi a una per nulla ingenua istant Policy, quando va bene, che oggi vista la crisi non può essere più nemmeno sufficiente a “nascondere sotto il tappeto ciò che non va”.
Se infatti in questi mesi si è visto crescere esponenzialmente il numero delle famiglie in difficoltà per la perdita, o ridimensionamento del reddito da lavoro, da parte della proprietà immobiliare nella maggioranza dei casi, non si è manifestata nessuna volontà di fare i conti con la crisi stessa, non adottando, come richiesto da parte di molte amministrazioni locali, un ridimensionamento provvisorio e limitato nel tempo dei canoni di locazione. Sia per le abitazioni che per gli esercizi commerciali. Una proprietà immobiliare parassitaria, sempre più caratterizzata da appetiti finanziari e speculativi, completamente indifferente e distaccata dalla realtà sociale in cui opera. Una ottusità che ad esempio non mette al riparo piccoli e medi proprietari da un fenomeno che viene avanzando nelle città d’arte: compratori “stranieri” che cercano di lucrare ulteriormente sulla crisi e sulla mancanza di liquidità per accaparrarsi a minor prezzo pezzi consistenti di città.
La lettera pubblica su “Il Giornale” del 5 gennaio di Matteo Salvini volutamente paventa come pericolo conseguente al blocco degli sfratti, quello che invece è già avvenuto, ossia lo spostamento del mercato privato delle locazioni su affitti giornalieri, week-end, o tempi comunque brevissimi.
Volutamente nella lettera si ignora che gli sfratti concessi sono al 90% per morosità incolpevole, aprendo la caccia al “cattivo” locatario per denunciare l’effetto nefasto sul proprietario “innocente” il quale invece, nella realtà effettiva, va avanti nella causa pur avendo quasi sempre davanti a se un inquilino incolpevolmente moroso. Proprietario che spesso rifiuta di accettare la corresponsione di tutto l’importo dovuto (avviene quando interviene l’amministrazione comunale) alla sola condizione di annullare la causa giudiziaria. Come dire non importano i soldi che si perdono, non importa se si caccia una famiglia in mezzo alla strada, l’importante è rientrare nella disponibilità dell’alloggio per poter speculare. Perché questo è quasi sempre l’esito.
Vale forse anche ricordare che si è voluto negli anni cancellare il dover comprovare la “necessità” del proprietario dell’alloggio che chiedeva lo sfratto, e questo proprio per agevolare quel proprietario che necessità non ne aveva se non quella di speculare|
La questione centrale però rimane: per le famiglie sotto sfratto è una tortura dipendere mese dopo mese da rinvii senza che si apra una strada per trovare una soluzione abitativa stabile. Il blocco della esecuzione degli sfratti non blocca l’iter giudiziario per la concessione dello sfratto per cui si prepara comunque un futuro dove il numero di sfratti concessi sarà cresciuto in maniera più che allarmante, e se non vi saranno risposte nuove ed aggiuntive in termini di patrimonio abitativo disponibile, sarà una situazione insostenibile per le famiglie private di un tetto. Ma anche per le amministrazioni che non sapranno come agire!
Quindi torniamo a dirlo: è necessario utilizzare il primo passo del blocco dell’esecuzione degli sfratti per adottare e realizzare un piano straordinario casa:
Un piano casa dimensionato sul numero delle famiglie che da anni sono in graduatoria (650.000) alle quali aggiungere le famiglie che sotto sfratto esecutivo, prevedendo alloggi per giovani single e giovani famiglie che vogliono avviare una vita autonoma e con dignità.
Un piano straordinario casa da finanziare con una quota del Recovery found, a consumo di suolo zero perché incentrato sul recupero a fini residenziali dell’immenso patrimonio pubblico, e privato, dismesso e inutilizzato da anni (spesso nella speranza di una sua valorizzazione immobiliare speculativa). Non è più tempo, se mai lo fosse stato, di sogni immobiliari e turistici, il patrimonio compatibile con la residenza deve essere riconvertito ad alloggi di Edilizia Economica e Popolare e parte a social housing.
Un piano straordinario che chieda ai Comuni di cessare di attendere la soluzione dal Governo e di lamentarsi se questa non arriva, e invece contribuire con risorse proprie, appunto con la messa a disposizione del patrimonio dismesso compatibile con la residenza.
Un piano casa che potrebbe consegnare alloggi in tempi contenuti, e avviare politiche del diritto all’abitare prevedendo il recupero di spazi sociali proprio per superare la desertificazione e l’inaridimento dell’abitare, caratteristica di questi ultimi decenni, valorizzando invece forme di partecipazione, protagonismo e l’auto organizzazione degli spazi collettivi e sociali.
Sono necessari ovviamente anche provvedimenti immediati, di giustizia sociale, come quello prioritario, che manca da anni, cioè una legge di riforma dei canoni di locazione, fino a provvedimenti più modesti ma di indubbia giustizia sociale come quello di cancellare l’IMU sull’edilizia economica e popolare, di proprietà dei Comuni ma gestita (per scelta dei Comuni stessi in nome alla cosiddetta efficienza) da società di gestione interamente pubbliche ma in regime giuridico privatistico (una privatizzazione della gestione fatta sull’onda delle privatizzazioni più generali, con il risultato di far pagare alle società l’IMu degli immobili di proprietà dei Comuni stessi!). Scelta tale da consentire invece anche a Ater ecc. di realizzare una quota di alloggi da affittare in social housing.
Un piano straordinario casa perché l’obiettivo è costruire risposte al bisogno e non dipendenza dall’”elemosina. Ma l’emancipazione dal bisogno è possibile solo se si realizza una risposta pubblica corrispondente alla reale esigenza. Oggi si può e si deve fare, e si può fare senza consumo di suolo ma recuperando un immenso patrimonio abbandonato e dismesso. Gli effetti della crisi economica dureranno ancora per svariati anni, il ritorno alle presenze turistiche anch’esso è rimandato per diversi anni, Il vuoto non esiste, e già si avvicina un’imprenditoria interessata ad approfittare delle difficoltà economica per rastrellare pezzi di città. Riavviare un ciclo virtuoso di economia, piccola imprenditoria edilizia, rivitalizzare pezzi di città e ridare speranza di vita dignitosa a famiglie sotto l’incudine della perdita della casa, è possibile. È indubbio che l’urgenza inderogabile, pena il rischio di rivolta sociale, è l’approvazione di un piano casa straordinario che in pochi anni consegni un aumento consistente e realistico di alloggi di edilizia popolare ed è proprio – per obbligare proprietari di case, inquilini e richiedenti casa in una lotta unitaria e coesa – vincolare alla realizzazione di questo piano che va vincolato la cogenza e la temporalità del blocco dell’esecuzione degli sfratti.
Questa è l’unica scadenza tollerabile. La riconversione di questo patrimonio abbandonato è il volano della ripartenza: se non ora quando?
*responsabile diritto alla casa, diritto all’abitare
Buona fine e miglior inizio
Testo immagine: “Che sia la pace!”, poster sovietico, 1958/1963
Care compagne e cari compagni,
nonostante la nostra ostilità per le convenzioni proprie dello stato di cose presenti è inevitabile che l’inizio di un nuovo anno porti a volgere il pensiero a quello lasciato alle spalle.
In particolare il 2020 si accompagna a un contesto pandemico il cui superamento è in realtà ancora difficile da immaginare.
La paura è un sentimento che appartiene alla nostra stessa essenza, sarebbe sbagliato volerne fare a meno. Si tratta però di renderla uno stimolo ad agire con maggiore consapevolezza e condivisione, senza lasciarsi sopraffare da chi detiene il potere.
Il sistema capitalista ci inquadra come strumento per le logiche del profitto, quando non direttamente merce: a noi sta, per quanto è possibile, dare il contributo per costruire una futura umanità che costruisca una società socialista, in cui al centro ci sia la dignità delle persone e un modello di sviluppo sostenibile per il nostro pianeta, mettendo al centro la dignità del lavoro, inteso come contributo dato alla collettività, secondo le proprie possibilità.
Rifondazione Comunista arriverà a 30 anni di vita nel 2021. Le cifre tonde aiutano a semplificare alcuni messaggi. Il livello provinciale del Partito è stato un luogo in cui abbiamo costruito insieme numerosi percorsi, in particolare sul piano delle pratiche e sullo stare insieme, accettando i limiti, le critiche e le fragilità. Sapendo che c’è un noi con il quale si può dare una dimensione storica alla propria azione, senza vuoto orgoglio o superbia, ma potendofare ciò che si può per migliorare il mondo in cui viviamo, provando a mettersi in discussione giorno dopo giorno, senza condannarsi alla resa. Abbiamo ospitato diverse edizioni della festa nazionale nel recente passato e visto rinnovato il nostro ruolo sul territorio.
Nella nostra lunga storia tante compagne e compagni hanno scelto strade diverse, altre e altri ci hanno lasciato, mentre alcune persone non possono garantire una presenza costante nella vita del Partito, che però resta uno dei principali strumenti del nostro agire politico, in cui ci ritroviamo a pensare al passato, forse troppo spesso ma che pure è tra i nostri punti di forza, nonostante gli errori, o forse proprio grazie a essi.
Immaginando un 2021 pieno di novità e cambiamenti, fuori e dentro Rifondazione, auguriamoci intensi mesi di lotte, senza ignorare la paura per i rapporti di forza presenti, ma facendo in modo che non ci faccia perdere un solo secondo per il futuro che hanno provato a dirci di non poter nemmeno immaginare.
Lo immagineremo insieme e proveremo a realizzarlo con chi incontreremo lungo la nostra strada, quindi buon inizio 2021, con una nuova veste grafica per il nostro sito.
La Segreteria provinciale PRC Firenze,
1° gennaio 2021