Torna anche quest’anno la Festa di Liberazione del Mugello. L’appuntamento dal 20 al 30 luglio presso il Foro Boario di Borgo San Lorenzo.
Tutte le sere ristorante, pizzeria, l’oramai storica birreria con lo spazio Iskra: serate piene di approfondimenti, incontri ma anche divertimento con i molti dibattiti e la musica dal palco (concerti live e ballo liscio).
Programma
Giovedì 20 luglio
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: Orchestra “The G. Band”
Venerdì 21 luglio
Spazio dibattiti ore 21:15: Ottolina TV presenta: Guerra e crisi senza fine. Il ruolo del Sud globale nella scacchiera internazionale con Giuliano Marrucci e Tommaso Nencioni. Interviene Dmitrij Palagi (Segreteria nazionale di Rifondazione Comunista – SE)
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: Le Onde Sonore
Sabato 22 luglio
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: Orchestra Argento Vivo
Domenica 23 luglio
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: Orchestra “Fabrizio Ciampi”
Lunedì 24 luglio
Spazio dibattiti ore 21:30: Problemi e prospettive della sanità locale. Prosegue il percorso di lotta, invitato il Comitato per la salvaguardia dell’ospedale del Mugello
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: solista Alberto Folk
Martedì 25 luglio
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: Orchestra Love Music
Mercoledì 26 luglio
Iskra live spazio palco ore 21:30: Video Diva (post punk)
Giovedì 27 luglio
Spazio dibattiti ore 21:15: Amministrative 2024: a sinistra vincere non è più un tabù. Con i consiglieri e le consigliere dei gruppi di Sinistra del Mugello e di Campi Bisenzio
Iskra Live spazio palco ore 21:30: Heavy Machine Gun e Hell’s Restaurant Crew (industrial hip hop)
Venerdì 28 luglio
Spazio dibattiti ore 18:30: Non è un paese per giovani: diritto allo studio e questione di genere. Dialogo tra diritti civili e diritti sociali a cura di Giovani Comuniste/i Mugello A partire dalle 18:00 aperitivo a tema
Iskra live spazio palco ore 21:30: Brigata Valibona (canti popolari di lotta) e Malasuerte (ska-punk rock)
Sabato 29 luglio
Iskra live spazio palco ore 21:30: Jailbirds (blues jazz rhythm and blues)
Domenica 30 luglio
ore 21:15: Comizio dal palco principale del Segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo
Ballo Liscio spazio palco ore 21:30: Orchestra “Montusci Folk”
La riflessione sull’autonomia differenziata al tempo del Governo Meloni, se inquadrata nell’insieme delle politiche del Governo e delle posizioni presenti nell’attuale Parlamento, aiuta a configurare il quadro complessivo dei cambiamenti strutturali della Repubblica, con lo stravolgimento definitivo dell’equilibrio dei poteri e la convalida della torsione autoritaria già in atto.
Le ripercussioni sulle condizioni di vita delle persone sono di portata devastante sul piano dei diritti sociali e delle garanzie democratiche; ogni elemento disgregatore aggrava una situazione già evidenziata da tutti gli indicatori, che ci restituiscono l’immagine di una società disgregata, intrisa di solitudine e di incertezza, dominata da un pensiero incentrato sulla competizione.
Per questo è essenziale ricucire il nesso fra l’aspetto giuridico-istituzionale, i bisogni materiali e le istanze di partecipazione alla vita democratica.
Autonomia differenziata e presidenzialismo: un’apparente contraddizione
Il regionalismo spinto è nel programma di questo Governo (ma anche dei precedenti) e ha avuto una immediata e plastica evidenza nel profilo della compagine governativa con l’affidamento del “Ministero degli Affari regionali e Autonomie” a Calderoli, “caterpillar” dell’autonomia differenziata, già ministro della “devolution” al tempo di Berlusconi, noto per le sue uscite razziste e omofobe, titolare di una legge elettorale da lui stesso definita una “porcata”. La persona giusta a cui affidare la riscrittura dell’impalcatura dello Stato.
C’è da dire che le posizioni dei partiti interni al Governo non sono del tutto sovrapponibili: Fratelli d’Italia storicamente ha una visione centralista e in passato era per l’abolizione delle regioni; Forza Italia non ha mai nutrito simpatia verso il regionalismo, tant’è che durante i suoi governi Berlusconi non ha incoraggiato né dato seguito alle mire autonomiste; a reclamare con vigore l’autonomia differenziata è la Lega, con i suoi presidenti di regione del Nord.
La sintesi è sul reciproco impegno a portare a casa (loro) il presidenzialismo in cambio del regionalismo. Se entrambi i progetti andassero in porto avremmo una Repubblica che muta la sua natura parlamentare e una serie di piccoli stati regionali in competizione fra loro e in trattativa con il governo centrale per accaparrarsi funzioni e risorse. Entrambi i disegni, in contrasto con la Costituzione nata dalla Resistenza, già manomessa in più punti sia formalmente (solo per fare due esempi, la modifica dell’art.81 che ha introdotto l’obbligo dell’“equilibrio di bilancio”, e la riforma del Titolo V, varata dal centro-sinistra, che ha spericolatamente aperto il varco allo smembramento del Paese) sia nella sostanza, con le politiche in contrasto con i principi e i diritti etico-sociali fondamentali (artt. 2,3, 11, 33…). Entrambi i livelli, nazionale e regionale, con poteri accentratori, in barba alle istanze di partecipazione democratica e di nuove forme di municipalismo.
La bozza di Legge Calderoli
Il ministro Calderoli presenta la sua bozza di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, prima privatamente in un incontro con i presidenti delle regioni del Nord firmatari delle “pre-intese” stipulate con il Governo Gentiloni nel 2018, poi al Tavolo delle Regioni, all’esito del quale riceve critiche diffuse e dure prese di posizione da parte di presidenti delle regioni meridionali e distinguo dai suoi stessi alleati di governo, al punto che il Presidente Meloni, convoca un vertice immediato nel quale ribadisce che il regionalismo non può precedere gli altri due obiettivi di riforma istituzionale del centrodestra, bandiere di Fratelli d’Italia: il semipresidenzialismo e i poteri speciali per Roma.
La bozza Calderoli viene immediatamente da lui stesso declassata ad “appunti di lavoro”; tuttavia è utile rilevarne i principali aspetti, cioè i punti dai quali partirà la discussione nel Consiglio dei Ministri, sui quali si attesta la posizione dei presidenti delle regioni Veneto e Lombardia e presumibilmente la campagna elettorale di quest’ultimo alle prossime regionali.
In particolare:
sono oggetto di assegnazione di competenze legislative e amministrative e di ulteriori particolari forme di autonomia tutte le 23 materie enunciate nella riforma del titolo V – artt. 116 e 117 (dai rapporti internazionali al commercio con l’estero, alla sanità, istruzione, infrastrutture, comunicazione, previdenza, beni culturali e ambientali, alimentazione …).
Il Parlamento è relegato al ruolo di “mera approvazione” (sic!), mentre la centralità e la titolarità del processo di autonomia sono in capo al Ministro e alle regioni stipulanti;
sono fatti salvi gli atti di intesa già siglati;
tranne per alcune materie, viene confermata la “spesa storica”, cioè il criterio truffaldino con il quale in questi anni si sono sottratti miliardi di euro al Sud, in previsione dei LEP, che tuttavia non sono condizione vincolante (c’è da dire che i LEP -livelli essenziali delle prestazioni – non garantiscono affatto l’uguaglianza delle prestazioni);
le risorse finanziarie, umane e strumentali da assegnare alla Regione per l’autonomia sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione, così come il monitoraggio e le eventuali modifiche;
l’attuazione della legge non contempla maggiori oneri a carico della finanza pubblica, quindi se una regione ottiene maggiori risorse, lo fa a discapito delle altre.
È chiaro che si tratta di un progetto fondato su una visione eversiva dei principi di eguaglianza dei diritti e della coesione sociale e territoriale.
Il fronte dell’opposizione politica e sociale
Oltre alle contraddizioni interne al Governo, per esempio le dichiarazioni di posizione del Ministro Valditara all’incontro con i sindacati della scuola (“Non è all’ordine del giorno, ci sono altre priorità”) e a qualche flebile pronunciamento dei parlamentari dell’opposizione, vi sono importanti prese di posizione da parte di presidenti di Regione, De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia, e di alcuni sindaci, prevalentemente del Sud. Il Movimento 5 Stelle stenta a farne un proprio punto di lotta politica; il PD ha una posizione ambigua con imbarazzanti uscite di alcuni suoi autorevoli esponenti che rivendicano la paternità della riforma del 2001 (Fassino in una recente intervista al Corriere della Sera); d’altra parte l’autonomia differenziata è figlia di un Governo di centrosinistra e Bonaccini è firmatario di una delle famigerate intese, in qualità di Presidente della Regione Emilia Romagna.
L’orizzonte dell’opposizione politica parlamentare è attestato sulla critica agli aspetti più devastanti dell’autonomia differenziata, raramente sull’opposizione all’impianto della riforma del titolo V e alla necessità di porvi mano in modo deciso e inequivocabile.
Sul piano sociale vi è la ripresa della mobilitazione, se pure non (ancora?) nelle forme di massa, anche per la sordina attuata da tempo dai media e dagli attori in gioco, solo di recente attenuata a seguito del cambio di governo.
Rifondazione Comunista, Unione popolare e il movimento contro il regionalismo differenziato
Rifondazione Comunista, che già nel 2001 votò contro quella modifica costituzionale, è da sempre mobilitata contro questo progetto scellerato e dal 2018 è interna alle lotte che hanno contribuito a rallentarne il processo.
Siamo tra i fondatori del “Comitato contro ogni autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti” e attivi nei comitati per la Democrazia Costituzionale e nel Tavolo No Autonomia differenziata, che raggruppa numerose sigle sindacali, della sinistra politica e di movimento.
Il contesto è estremamente problematico: la crisi economica, sociale, sanitaria e anche bellica sta impoverendo ulteriormente intere fasce sociali; i processi disgregativi sono già in stato avanzato (basti pensare alla pandemia gestita dalle Regioni); lo stesso PNRR presenta numerose distorsioni a svantaggio delle zone più deprivate; si profila la desertificazione sociale di una parte importante del Paese, quel Mezzogiorno scomparso dalla Costituzione modificata, dall’agenda politica e dalle nostre stesse priorità. Con l’autonomia differenziata sarà il primo, ma non il solo, a pagare il prezzo più duro.
Ora il rischio che la situazione precipiti in tempi brevi è notevole e richiede tutta la nostra capacità di iniziativa sugli obiettivi: nell’immediato, far naufragare la proposta governativa anche in relazione alle altre questioni istituzionali; in prospettiva, modificare le storture costituzionali.
Nella scorsa legislatura, con le deputate di ManifestA e alcuni senatori, avevamo presentato una proposta di legge per l’eliminazione secca del comma 3- art 116. Ora si tratta di verificare la possibilità di affidarla a chi potrebbe efficacemente sostenerla.
Nelle ultime settimane ha fatto irruzione anche sui mezzi d’informazione la proposta di legge d’iniziativa popolare (già presentata in primavera a cura di un gruppo di costituzionalisti, primo firmatario il prof. Villone) promossa dal Comitato per la Democrazia Costituzionale e dai sindacati della Scuola.
Il testo si pone la finalità di modificare gli artt. 116 e 117 della Costituzione in modo da limitarne i danni più gravi: si riducono a 16 le materie, escludendone alcune come scuola, trasporti nazionali, parte della sanità; si restituisce un ruolo al Parlamento, si pongono alcuni vincoli, prevedendo la possibilità di referendum e il riferimento a livelli “uniformi” delle prestazioni (LUP).
Pur apprezzando lo sforzo di ostacolare gli effetti più dannosi, non possiamo nasconderci alcuni rischi a cui la LIP si espone, a cominciare dalla scarsa possibilità che non ne esca mutata da un Parlamento fortemente connotato a destra e con un’opposizione parlamentare in parte favorevole all’autonomia differenziata. Inoltre, lasciare in capo alle regioni la potestà legislativa e amministrativa della maggior parte delle materie, alcune delle quali di non secondaria importanza, come l’alimentazione, il commercio con l’estero e i rapporti internazionali, significa aprire una breccia che potrebbe rivelarsi estremamente pericolosa.
Riconosciamo tuttavia che la LIP può contribuire a far uscire il tema dal cono d’ombra in cui era relegato, pur consapevoli della diversità di posizioni su un punto fondante: la critica all’impianto del titolo V e l’avversione alla differenziazione, che in qualsiasi forma porta in sé la disuguaglianza.
Per questo Rifondazione Comunista deve essere impegnata in tutte le iniziative in campo, a livello nazionale e territoriale, autonomamente e all’interno dei movimenti, a partire dal Tavolo No A.D., contro le politiche del Governo.
Il tema del regionalismo deve intrecciarsi con le campagne sociali promosse dal partito e da Unione popolare contro le misure antisociali e autoritarie del Governo; contemporaneamente deve diventare un punto per l’elaborazione della proposta politica complessiva, che affronti la questione dell’assetto della Repubblica e dell’equilibrio di poteri e competenze dei diversi livelli istituzionali, nella prospettiva di un allargamento della partecipazione democratica, della coesione territoriale e della perequazione sociale.
Dal Mezzogiorno può partire una campagna popolare che parli a tutto il Paese.
Tonia Guerra – responsabile campagna NO Autonomia differenziata del Partito della Rifondazione Comunista – SE
È stato presentato, in un’affollata conferenza stampa, ieri 4 agosto, a Napoli il simbolo con cui l’Unione Popolare, si presenterà alle imminenti elezioni politiche. Insieme al suo portavoce Luigi de Magistris, alle parlamentari uscenti di ManifestA, a DeMa, a Potere al Popolo e al Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea si stanno unendo centinaia di personalità, di uomini e donne che cercano un’alternativa per questo Paese.
Un’alternativa pacifista, internazionalista, ambientalista e femminista che vuole dare voce a chi è priva/o di rappresentanza da troppi anni, a chi si vede ogni giorno sottrarre spazi di democrazia, chi perde diritti, chi non ha la prospettiva di immaginarsi un futuro perché ha un lavoro precario, o un salario insufficiente o proprio non ce l’ha un lavoro. Un’alternativa realmente antifascista e antirazzista, radicalmente diversa dalle forze che oggi chiamano al voto utile e che fino a ieri con le destre hanno governato.
Il disprezzo totale per le regole democratiche impone al nostro progetto politico, appena iniziato, di dover raccogliere 40 mila firme in pochi giorni, sotto il sole d’agosto, per poter semplicemente partecipare alla competizione elettorale. Siamo certi di farcela grazie alla generosità e all’impegno di tante e tanti che non si rassegnano. Sono queste donne, questi uomini a dimostrare quotidianamente che esiste un Paese diverso e migliore della classe politica che oggi lo rappresenta e lo governa.
Maurizio Acerbo – Segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Da questo linkè possibile rivedere la conferenza stampa
Condividiamo l’appello “Verso l’Unione Popolare”, in visto dell’appuntamento di sabato 9 luglio a Roma
Siamo milioni in Italia a ripudiare la guerra e l’Italia in guerra.
Condanniamo l’aggressione del Governo russo all’Ucraina, come ogni intervento militare delle grandi potenze e della NATO, perché le guerre causano sempre distruzione, colpendo in primis la popolazione civile e portando morte, sofferenza e odio tra i popoli. Siamo contrari alla decisione del governo e della maggioranza del Parlamento di condurre l’Italia in guerra, ribaltando, attraverso l’invio di armi, l’articolo 11 della Costituzione e aprendo così al rischio di una Terza Guerra Mondiale. Rifiutiamo un’economia di guerra che porta a un aumento dei prezzi, che rende ancora più ingiusta la nostra società, favorendo la speculazione e gli affari di pochi contro i molti. Riteniamo fondamentale che il nostro Paese agisca concretamente per un immediato cessate il fuoco, veri negoziati, un ruolo centrale della diplomazia e una Conferenza di Pace, unica via. La guerra e la sua economia approfondiscono la devastazione del pianeta e impediscono che si cooperi per la soluzione dei problemi comuni.
Spetta a noi schierarsi nettamente a favore dell’ambiente, opponendoci al ritorno al fossile, costruendo una vera transizione ecologica e una reale lotta al riscaldamento climatico, non più rinviabile. Ci schieriamo contro la violenza sulle donne, il razzismo, lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, l’aumento delle spese militari, le mafie, la corruzione e l’autonomia differenziata, che distrugge il sistema pubblico e penalizza in primo luogo il mezzogiorno. Milioni di persone in tutto il mondo sono assetate di giustizia sociale e ambientale e si stanno mobilitando, ottenendo importanti vittorie.
Tocca anche a noi in Italia.
È tempo di costruire un modello di sviluppo in ferma contrapposizione alle ricette neoliberiste, ai processi di privatizzazione, e al potere economico e politico dominante, che da tempo ignora l’interesse collettivo e l’importanza dei beni comuni, e con un apparato di potere politico-economico-mediatico che comanda nell’interesse di pochi.
Il 9 luglio a Roma vogliamo cominciare a percorrere questo cammino. A mobilitarci nella società, nel mondo della cultura e anche nel sistema politico – oggi blindato dal Governo Draghi e dalla maggioranza trasversale che lo sostiene. Incontriamoci, discutiamo, costruiamo con chi soffre, si indigna, lotta. Con chi viene escluso da questo sistema. Con chi ha idee, creatività, competenze, e non si arrende.
Non è vero che “tanto non cambierà mai nulla”. Siamo noi che, congiuntamente, possiamo unire, costruire e cambiare. E noi le faremo cambiare nel senso della partecipazione, della democrazia, della solidarietà.
Insieme ce la possiamo fare! Ci vediamo sabato 9 luglio alle ore 10:00 all’hotel The Hive (via Torino 6) a Roma!
Rifondazione Comunista aderisce e partecipa allo sciopero generale proclamato unitariamente da quasi tutti i sindacati base “contro la guerra, l’economia di guerra e il governo della guerra”; per dire no all’invio delle armi in Ucraina e all’aumento delle spese militari; per chiedere l’aumento delle spese sociali e dei salari, il ripristino della scala mobile e un reddito di base per tutte e tutti.
L’invio massiccio di armi sempre più potenti sta determinando una drammatica intensificazione delle operazioni militari in Ucraina, aumenta i rischi di coinvolgimento di paesi vicini, di un prolungamento indefinito della guerra, di ricorso ad armi nucleari.
L’espansionismo della Nato e l’aumento delle spese militari a discapito di quelle sociali è benzina sul fuoco del conflitto in Ucraina, produce instabilità nelle relazioni politiche ed economiche mondiali già messe a dura prova avvicina il mondo al baratro di una terza guerra mondiale.
La guerra parallela, quella delle sanzioni è inutile al pari dell’invio di armi per fermare il massacro, ma produce effetti disastrosi sulle economie europee a causa dei rincari di energia e materie prime. Le conseguenze sui ceti popolari in Italia saranno ancora più drammatiche per la combinazione di inflazione sempre più alta e politiche fiscali e monetarie recessive che produrranno disoccupazione, ulteriore perdita del valore d’acquisto dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori e dei redditi dei ceti popolari. Il governo Draghi infatti, mentre aumenta le spese militari taglia i fondi per la sanità e i servizi sociali, ha già avviato il rientro accelerato nei parametri europei e annuncia un’altra stagione di tagli che produrranno un ulteriore riduzione dei consumi e nuove spinte recessive sull’economia.
Nel frattempo in coerenza con la sua ispirazione neoliberista elargisce ai lavoratori la cifra ridicola di 200 euro una tantum mentre tocca appena gli extraprofitti delle aziende che lucrano sugli aumenti, non utilizza il gettito extra dell’iva prodotto dai rincari, continua a non tassare le grandi ricchezze; non interviene con una norma per bloccare aumenti di bollette e carburanti per salvaguardare chi specula. Partecipiamo convintamente allo sciopero dei sindacati di base perché condividiamo i contenuti della piattaforma, perché oggi c’è bisogno di rilanciare le lotte e perché consideriamo questo un momento di un più ampio percorso di unificazione di tutti i soggetti che si oppongono alle politiche neoliberiste in un unico grande movimento per il cambiamento.
Auspichiamo che anche la CGIL decida iniziative forti come lo sciopero generale su una piattaforma di pace e giustizia sociale.
Rifondazione Comunista sarà in piazza per dire “basta guerra, no a Putin e no alla Nato” e per chiedere il blocco degli aumenti delle bollette, prezzi calmierati sui generi alimentari di prima necessità, aumenti generalizzati di salari e pensioni, una nuova scala mobile, un salario minimo legale a 10 euro netti all’ora.
A Firenze l’appuntamento è alle ore 10:00 in Piazza Adua per il concentramento del corteo che arriverà in Piazza Santissima Annunziata, dove si terrà un’assemblea pubblica contro la guerra.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea
Il Circolo di Rifondazione Comunista – SE di Firenze Sud organizza, assieme alla sezione ANPI del Galluzzo, una serie di incontri di approfondimento sulla storia che vedranno protagonista il professor Bruno D’Avanzo, del Centro Studi dell’America Latina. Ogni incontro di concentrerà su uno degli aspetti cruciali della storia degli ultimi due secoli e sarà ripetuto, in due serate consecutive, presso la Casa del Popolo del Galluzzo (via S. Francesco d’Assisi/via Senese) e presso il Circolo Arci Boncinelli (via di Ripoli 209).
Un nuovo ordine mondiale: crollo del comunismo, crisi della socialdemocrazia, trionfo del neoliberismo Prof. Bruno D’Avanzo – Centro Studi America Latina Venerdì 29 ottobre 2021 ore 18.00 Casa del Popolo del Galluzzo
…e il mondo si fece grande: l’età del colonialismo e degli imperialismo tra ‘800 e ‘900 Prof. Bruno D’Avanzo – Centro Studi America Latina Giovedì 25 novembre 2021 ore 18.00 Circolo Boncinelli Venerdì 26 novembre 2021 ore 18.00 Casa del Popolo del Galluzzo
Proiezione del film “I diari della motocicletta” introdotto dal Prof. Bruno D’Avanzo – Centro Studi America Latina alle 20:30 cena sudamericana (costo 10 euro) Venerdì 28 gennaio 2022 ore 18.00 Casa del Popolo del Galluzzo
Un nuovo ordine mondiale: crollo del comunismo, crisi della socialdemocrazia, trionfo del neoliberismo Prof. Bruno D’Avanzo – Centro Studi America Latina Giovedì 24 marzo 2022 ore 18.00 Circolo Arci Boncinelli Venerdì 25 marzo 2022 ore 18.00 Casa del Popolo del Galluzzo
La terza guerra mondiale a pezzi: c’è una luce in fondo al tunnel? Prof. Bruno D’Avanzo – Centro Studi America Latina Giovedì 28 febbraio 2022 ore 18.00 Circolo Arci Boncinelli Venerdì 29 febbraio 2022 ore 18.00 Casa del Popolo del Galluzzo
Questo anno e mezzo di pandemia ci ha purtroppo confermato ciò che oramai sapevamo da anni: l’istruzione pubblica non è tra le priorità delle forze politiche che si sono avvicendate al governo. Chi vive la scuola e l’università è tra coloro che più ha risentito della situazione emergenziale e la cosa grave è che questa non è vista come occasione per cambiare radicalmente approccio al tema.
Tutte e tutti si riempiono la bocca di diritto alla studio e istruzione e ricerca di qualità ma nei fatti solo risorse (economiche e politiche) marginali vengono destinate a sostegno di questo settore, cruciale per il futuro del paese.
I fondi che arriveranno dall’Unione europea dovrebbero essere utilizzati per intervenire strutturalmente: la scuola ha bisogno di personale retribuito adeguatamente, di edifici adatti, di eliminare la classi pollaio, di investimenti in ricerca e di trasporti adeguati per studentə e insegnanti.
Segreteria Provinciale Rifondazione Comunista Firenze Circolo Rifondazione Comunista Campi Bisenzio
La questioni degli infortuni mortali sul lavoro diventa ogni giorno più drammatica. Ben tre negli scorsi giorni, di cui 2 in Toscana. Sono numeri pesanti che confermano il tema della sicurezza sul lavoro come un tema di emergenza nazionale.
La normativa vigente non è sufficiente. Si limita a creare un complesso impianto di fogli, certificati e verbali vari, spesso privi di riscontro pratico a cui non si affianca un efficace sistema di controlli. Anzi, è il caso di dire che i controlli in questo ambito sono quasi assenti. Si interviene solo a tragedia accaduta.
Il dramma delle morti sul lavoro richiederebbe, a livello nazionale, l’assunzione urgente di migliaia di ispettori per i controlli sulla sicurezza, appunto controlli che sono praticamente scomparsi a seguito dei tagli fatti sul settore. È importante però aggiungere che aumentare i controlli non basta. Il problema ha origine nel modello di sviluppo nel quale viviamo, il capitalismo, che subordina le nostre vite, di lavoratrici e lavoratori, alla competitività delle imprese.
Le aziende per risparmiare non predispongono misure adatte per prevenire incidenti o patologie che insorgono a causa dell’attività lavorativa, le malattie professionali. Anche questa è lotta di classe, una lotta dove muoiono migliaia di persone ogni anno solo in Italia. Anche recentemente sui giornali abbiamo tutti letto di incedenti causati da una mancata manutenzione sui macchinari.
Il comune denominatore degli incidenti sul lavoro o delle malattie professionali è che a farsi male sono lavoratrici e lavoratori che svolgono lavori manuali. Operai e operaie che lavorano con macchine e strumenti non protetti, che manipolano sostanze chimiche cancerogene, che si trovano a lavorare su impianti senza manutenzione. Molto difficilmente vediamo infortuni tra dirigenti d’azienda, ovvero tra coloro che dirigono i processi di produzione e molte, troppe volte, considerano le misure di prevenzione e protezione semplicemente come un costo da abbattere.
Ciò che occorre mettere in discussione è la logica del profitto e della competizione, realizzate in un sistema produttivo che gioca sull’abbattimento del costo del lavoro. Occorre mettere in discussione il fatto che gli interessi d’impresa vengono elevati a valori universali. Per affrontare il problema seriamente, non basta limitarsi a denunciare quando succedono queste disgrazie, serve mettere al centro dell’agenda politica questo tema, occorre una pianificazione strategica per far fronte a questo problema, anche a livello locale.
Il luogo comune è che gli enti locali non possono fare molto rispetto ai grandi temi, compreso quello del lavoro. A Sesto Fiorentino ad ottobre si andrà alle elezioni. Sesto Popolare, forza appoggiata dal Partito della Rifondazione Comunista e da Potere al Popolo, ha intenzione di ribaltare questo cliché con delle proposte concrete. Viene promosso un assessorato alla buona occupazione, già proposto anche a Campi Bisenzio dalla lista Campi a Sinistra, un particolare assessorato con cui far nascere un osservatorio permanente per la qualità dell’occupazione e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, in grado di garantire in tutta la piana un’offensiva a difesa della dignità del lavoro e di chi lavora.
Negli ultimi anni assistiamo ad una progressiva mancanza di valorizzazione della figura dell’RLS (Rappresentante lavoratori per la sicurezza). La figura dell’RLS è sempre meno riconosciuta e spesso lasciata priva di strumenti, finendo per diventare molte volte un attore inconsapevole di questo sistema. Per questo motivo diventa importantissimo il progetto di una piattaforma digitale sul lavoro, per RLS e RLST dell’area di Sesto Fiorentino.
La promozione della cultura del lavoro sicuro a partire dalle scuole e la promozione del controllo sulla qualità del lavoro con tutte le realtà preposte a farlo, concludono il disegno politico di Sesto Popolare sul tema delle morti sul lavoro.
Piangere le morti e definirle inaccettabili non serve a nulla se non si pretendono comportamenti e pratiche capaci di far vivere in sicurezza le persone che devono lavorare per vivere. La risposta al dramma delle morti sul lavoro inoltre non può avere un carattere semplicemente tecnico, serve un intervento con una solida base politica che rimetta al centro gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, anche attraverso una loro partecipazione diretta. Le persone prima dei profitti.
Valentina Adduci – Comitato Politico Federale Rifondazione Comunista – SE Firenze
In questi giorni non si può non riflettere sulle morti (sul lavoro) inaccettabili che si sono verificate dall’inizio dell’anno e sul sistema della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Partendo dall’analizzare la normativa in materia di sicurezza, d.lgs. 81/2001, detto testo unico, il suo limite, è la sua astrattezza, ovvero la sicurezza viene interpretata o comunque la norma viene applicata dai datori di lavoro quasi esclusivamente sul piano formale.
Ci si limita alla produzione di documenti (spesso fatti in serie, spesso illeggibili per i non tecnici, può accadere anche che siano retrodatati), e all’espletamento delle formalità così come prescritte nella norma e così ci si sta tranquilli, ci si salva perché si può dimostrare di avere tutto in regola. Anche i corsi di formazione sulla sicurezza spesso sono svolti nell’ottica di espletare una mera formalità, obbligatoria per legge.
Per i lavoratori, centrale dovrebbe essere il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. E invece la realtà spesso è diversa. L’RLS, infatti, viene coinvolto solo al momento dell’apposizione delle firme, mentre invece la legge prescrive il coinvolgimento sostanziale dell’RLS proprio anche nella fase della stesura del DVR. E così anche nella riunione periodica l’RLS viene coinvolto sempre solo come mera formalità. Può accadere, anche, che l’RLS venga scelto o segnalato dal datore di lavoro (magari una persona di fiducia del datore di lavoro), magari non espresso dai sindacati anche se presenti in azienda, come invece prescrive la legge.
Ebbene in questo contesto il ruolo di RLS è particolarmente difficile, ovvero a fronte di continue frustrazioni, mancate convocazioni, mancati coinvolgimenti, segnalazioni senza alcuna risposta, disinteresse generale dei colleghi che spesso vivono questa figura come elemento di disturbo, riesce a portare il suo ruolo a testa bassa solo se è fortemente motivato.
E poi come non citare il grande assente dell’intero tema: i controlli! Nessun tipo di controllo mai… Se non incidenter tantum controlli di tipo formale sulla documentazione (si torna ancora sulla formalità della materia).
Venendo al nostro ruolo come Partito della Rifondazione Comunista noi abbiamo il dovere in primis di intervenire sulla coscienza dei nostri colleghi banalmente sui luoghi di lavoro, di promuovere una cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro che spesso non è percepita come questione seria, oppure sembra relegata solo ai lavori dove il tema è macroscopico come per esempio l’edilizia, ma se il datore di lavoro ti chiede di spostare un frigo perché in quel momento c’è bisogno e la movimentazione carichi non rientra nelle tue mansioni anche quella è questione di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Foto: compagni di Rifondazione Comunista – SE della Toscana in occasione della manifestazione indetta a Prato in seguito alla morte dell’operaia Luana D’Orazio.
Monica Sgherri – Responsabile casa e diritto all’abitare
Finalmente una buona notizia: la Corte Costituzionale conferma l’illegittimità di alcuni articoli discriminatori della legge regionale 34 sui criteri di assegnazione degli alloggi popolari.
Da anni denunciamo quanto hanno fatto le regioni per diminuire la platea degli aventi diritto alla casa. Nessuna risorsa aggiuntiva per rispondere alle migliaia di famiglia nelle graduatorie comunali ma per contribuire alla risoluzione del problema sceglievano di discriminare per ridurre il numero dei richiedenti!
Prima la Lombardia introduceva dei criteri premianti la storicità della residenza, come dire prima i nostri concittadini, poi i lombardi, poi ancora gli italiani e dopo i comunitari e gli extracomunitari, Se ci vogliono anni per un comunitario o un extracomunitario per avere la residenza nel Comune a questi anni se ne dovevano aggiungere altri di storicità della residenza. La legge Lombarda prevedeva 10 anni, dopo sentenza gli anni venivano ridotti a 5. Su questa scia anche la Liguria, sempre del centro destra, ma non da meno anche la Toscana di centro sinistra introduceva gli anni di residenzialità a cui si aggiungeva un punteggio premiante per gli anni di presenza in graduatoria comunale.
La Corte Costituzionale, annullando questi articoli, ha sottolineato l’irragionevolezza del criterio di storicità della residenza in quanto di per se non è significativo di maggior bisogno, e la pretestuosità della richiesta di documentazione proveniente dai paesi d’origine (non sempre possibile, non sempre esigibili o accessibili) quanto per gli italiani basta una autodichiarazione.
La Corte ha dichiarato illegittima anche la decadenza dell’alloggio per condanna penale (criterio ancora in vigore in Toscana) di un solo componente della famiglia
Grande soddisfazione per questa importante vittoria da parte dell’Unione Inquilini che aveva presentato il ricorso come si legge nel loro comunicato stampa: “Siamo soddisfatti per la sentenza della Corte perché snatura tutto l’impianto della Legge regionale”- ha detto il segretario regionale dell’Unione Inquilini Walter Rapattoni. “L’aumento del punteggio, assegnato dalla storicità della residenza, avrebbe sfavorito le persone immigrate. Sul requisito di non possidenza all’estero, discriminatorio per persone provenienti da paesi in cui è difficile ottenere questi documenti, si sancisce che è valida l’autocertificazione come per tutti i cittadini. Solo chi non ha la residenza fiscale in Italia è obbligato a fornire una documentazione ulteriore”- Il Segretario nazionale Massimo Pasquini ha aggiunto: “Con la precarietà alloggiativa peggiorata a causa della pandemia e la richiesta sempre maggiore di alloggi pubblici invitiamo la classe dirigente a evitare giochini per mettere l’uno contro l’altro le persone, ma a lavorare e seriamente per attivare politiche abitative strutturali. ”
Le case popolari mancano e il bisogno cresce. Ma la soluzione non è quella di diminuire la platea dei richiedenti con criteri pretestuosi e discriminatori ma avviando un serio piano di implementazione di alloggi di edilizia economica e popolare. Finalmente una sentenza dice basta alle discriminazioni
E ora il nostro impegno di far arrivare nei vari consigli regionali la richiesta di correggere le leggi regionali e di cancellare quanto annullato dalla Corte Costituzionale nella legge regionale 34 dell’Abruzzo.
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