PROVINCIALE
Anna Nocentini: Firenze saluta una compagna preziosa per la Città.
“Sinistra Progetto Comune ha avuto la fortuna di condividere questi anni di esperienza istituzionale”
Dmitrij Palagi – Sinistra Progetto Comune
Anna Nocentini è stata Consigliera comunale di Firenze per Rifondazione Comunista.
Il suo impegno politico è proseguito anche dopo l’esperienza istituzionale, anche nel lavoro con il gruppo di Sinistra Progetto Comune, nella consiliatura precedente e in quella in corso.
Lunedì chiederemo di poter effettuare una comunicazione per testimoniare la gratitudine della Città.
Da due anni ha dovuto affrontare la SLA. Ha fondato ed è stata presidente di ADINA – Associazione per la difesa dei Diritti delle persone Non Autosufficienti. Come ha scritto nel suo ultimo appello al voto: ha visto la sofferenza e ha dovuto imparare a soffrire.
Anche lei, così vicina ai diritti delle persone malate e anziane, si è dovuta ritrovare con piena lucidità ad attraversare una condizione di bisogno. Anche in quella condizione ha continuato a seguire i lavori del Consiglio comunale. Una dedizione politica esemplare, che non svanisce con lei, ma rimane a darci forza in tempi difficili.
Era comunista e cattolica. Le due cose non si sovrapponevano, ma arrivavano alla stessa finalità, di vicinanza alle persone, senza superficiale moralismo, ma con un’etica non scalfibile da nessuna avversità, con il senso delle comunità e dell’appartenenza.
Tra i tantissimi impegni vogliamo ricordare anche i presidi settimanali sotto la Prefettura, interrotti solo con l’arrivo della pandemia. Anche in quei momenti portava il suo corpo e la sua voce, per contestare le politiche disumane in ambito migratorio, che hanno contraddistinto tutti gli ultimi governi. Si tratta solo di un tassello che si inserisce nella militanza piena che ha portato avanti dentro il Partito della Rifondazione Comunista e la CGIL.
La sua integrità e le sue capacità sono sempre state riconosciute anche da chi la pensava in modo diverso da lei, per questo il saluto grato sentiamo di poterlo fare a nome di tutta la Città.
Un abbraccio in particolare alla famiglia e a chi vive questa giornata di dolore.
Per coloro che volessero portare un saluto estremo ad Anna, i funerali si terranno giovedì 21 novembre 2024 alle ore 10:00 presso la Comunità delle Piagge a Firenze.
19 ottobre ore 15:00 in difesa della Sanità Pubblica.
Quella che segue è una lettera scritta a luglio dalla compagna Tatiana Bertini in relazione alla situazione in sanità: la compagna, dipendente USL, è membro del CPN del Partito.
Decreto liste di attesa: Quale futuro per il Sistema Sanitario?
Quanto disposto dal Decreto Liste di attesa recentemente approvato, porta il nostro sistema sanitario verso una ulteriore accelerazione dello sviluppo del privato convenzionato, con il rischio di renderlo sempre più sostitutivo al Sistema Sanitario Pubblico.
Analizzando il decreto infatti vediamo che:
• Si prevede lavoro aggiuntivo per chi ha già un lavoro, non strutturando i servizi nel tempo con personale adeguato. Si risponde infatti all’emergenza di carenza di prestazioni (e di personale) destinando fondi che potrebbero essere utilizzati per strutturare nel tempo un aumento di offerta (con personale adeguato), all’incremento dell’orario di lavoro di professionisti già assunti; con produttività aggiuntiva, gettoni, straordinari vari (attività oltretutto che vengono detassate e che determineranno così un minore introito per il sostegno dello stato sociale, e di conseguenza, della sanità pubblica).
Come garantiremo poi dignità del lavoro e sicurezza delle cure, ricorrendo a continue ore aggiuntive di lavoro? L’addio al tetto di spesa per le assunzioni, previsto per l’anno 2025, avrebbe dovuto essere attuato subito e con risorse adeguate (le risorse ci sono, è volontà politica scegliere dove spenderle), in modo da poter strutturare i servizi e non sprecarle con risposte in grado di affrontare il problema solo dal punto di vista emergenziale.
• L’aumento della possibilità di acquistare i servizi dal privato convenzionato, non fa altro che dirottare ulteriori fondi dal pubblico verso il privato, rendendo il pubblico sempre meno competitivo e con meno possibilità di mirare all’eccellenza, anche con l’acquisto di strumentazioni all’avanguardia. Questa strada renderà il privato sempre più sostitutivo nelle prestazioni del sistema pubblico, con il rischio di poter prevedere in un futuro offerta di prestazioni (senza concorrenza del pubblico), al prezzo che vorrà, con le conseguenze che ben possiamo immaginare. Il privato poi spesso, riesce a fare profitti risparmiando sui diritti dei lavoratori e può attuare, sempre per la logica del profitto, una spinta verso un consumismo sanitario di prestazioni, senza garantire il principio di non spreco, di necessità e di appropriatezza delle stesse. Ricordiamo poi come gli operatori sanitari nel privato vi accedono senza concorso, certificazione delle competenze possedute delle quali il pubblico si avvale.
• Visto che alle regioni non vengono date risorse aggiuntive per abbattere le liste di attesa, il rischio è che queste si vedranno costrette a tagliare altri servizi per poter acquistare ulteriori prestazioni dal privato convenzionato o per pagare attività in straordinario. In questo modo ci troviamo come sempre, a rispondere all’emergenza con manovre di emergenza, che non strutturano alcun servizio stabile, ma rendono il sistema sanitario pubblico sempre più povero e carente.
Il Dlgs 124 del 1998, già prevedeva la possibilità, se l’utente non poteva accedere alla prestazione nei tempi indicati dalla priorità prevista nella richiesta, di vedersi erogare il servizio in intramoenia al solo costo del ticket. Non era meglio iniziare ad applicarlo per prevedere tempi certi di prestazione, invece di dare una ulteriore spinta allo sviluppo della sanità privata? Con tutte le pecche dell’attività erogata in intramoenia (che non rappresenta oggi infatti una libera scelta del cittadino che ha possibilità economica verso la scelta di un professionista, creando comunque divergenze sul diritto alla salute, ma una strada obbligata da percorrere sempre da chi ha possibilità economica, per avere una prestazione vicino al proprio domicilio e in tempi brevi), la stessa comunque aumentava gli introiti delle Aziende Sanitarie Pubbliche.
Le scelte che vediamo in politica sanitaria, stanno rendendo il nostro sistema sanitario pubblico sempre più povero, e se non riusciremo ad attuare una controtendenza, rischiamo di veder annullato del tutto il nostro diritto alla salute!
31Luglio2024
Giù le mani dalle montagne toscane!
Sabato 28 settembre 2024, ore 15
Piazza Duomo n. 10, Firenze
Scendiamo in piazza per opporci alla distruzione di alcune delle ultime frontiere di biodiversità e di selvaticità del territorio italiano
Apuane, Appennino Mugellano, Montagna pistoiese, Montagna lucchese, Pratomagno
Queste montagne sono sempre più sotto attacco, nell’unione di interessi tra politica e imprenditoria, per ricavare nuovi profitti in nome del presunto “progresso” che nulla ha a che fare col nostro benessere
Industria estrattiva, mega impianti eolici, nuovi impianti di risalita, nuove infrastrutture stradali a più di 1500 m di altitudine.
Uniamoci per dire NO alla malagestione, alla distruzione e al degrado di queste aree voluti per:
-sfruttarne ogni risorsa possibile per ragioni di profitto
-procedere con la loro trasformazione in siti industriali voluti da lobby finanziarie
-trasformarli in aree destinate ad un turismo consumistico e distruttivo
–urbanizzarli per renderli usabili ed accessibili senza riguardo e consapevolezza
–snaturarli della loro bellezza e del loro valore nella continuazione di un sistema socioeconomico distruttivo e disumano
DIFENDIAMO LA NATURA DA CUI DIPENDIAMO PER ESISTERE!
Unisciti a noi Sabato 28 settembre dalle 15.00 in Piazza Duomo n.10 a Firenze
Il Coordinamento delle cinque montagne
Dalla parte della Terra, senza compromessi
Chiusa la sede del Partito Comunista Israeliano ( per non far proiettare un film su Jenin).
Chiusa la sede del partito comunista israeliano per bloccare il film su Jenin
di Eliana Riva | 27 Ago 2024 | In evidenza, Medioriente
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 27 agosto 2024. La polizia israeliana ha disposto la chiusura, ad Haifa, della sede del Partito comunista (Maki) dove era in programma, per lunedì 26 agosto, la proiezione del nuovo film del regista palestinese Mohammad Bakri.
La segretaria della sezione, Reem Hazan, è stata convocata due volte dalla polizia, che l’ha interrogata sull’evento. Le autorità hanno poi deciso di chiudere la sede per dieci ore (dalle 19.00 di lunedì alle 5.00 di martedì) a causa di non meglio precisati “pericoli alla pace pubblica”, facendo riferimento a informazioni riservate e di intelligence.
Mohammad Bakri, palestinese con cittadinanza israeliana, è l’autore del film-documentario “Jenin, Jenin“, girato nel 2002 all’interno del campo profughi palestinese, immediatamente dopo l’irruzione e la violenta invasione dell’esercito israeliano che causò diverse vittime, molte delle quali civili. Attraverso le voci dei protagonisti di uno degli eventi più sanguinosi della Seconda Intifada e dell’operazione militare “Muraglia di difesa”, Bakri ha raccontato gli scontri tra l’esercito israeliano, presente con centinaia di uomini e mezzi e i combattenti palestinesi del campo profughi, avvenuti in mezzo a migliaia di civili. Tra le vittime decine di palestinesi e circa quindici soldati israeliani. Quando l’esercito andò via, metà del campo profughi era ridotto in macerie. Molti testimoni oculari parlarono di azioni violente dei militari contro la popolazione civile e Israele venne accusato di aver compiuto crimini di guerra. Accusa rigettata da Tel Aviv che anzi attaccò Bakri, portandolo in tribunale. Nel 2021 una corte ha dichiarato il film “Jenin, Jenin” illegale in Israele, vietandone la proiezione e la distribuzione e ordinando il sequestro di tutte le sue copie. Il regista è stato accusato di diffamazione da un soldato che per circa 5 secondi compariva all’interno della pellicola, ripreso in un’immagine d’archivio. Bakri è stato condannato a risarcire il militare e a pagare le spese processuali.
Dal 2002 è ritornato più volte a Jenin. Anche nel luglio 2023, quando, durante un’altra incursione israeliana, vennero uccisi 12 palestinesi e un soldato. Anche in quell’occasione, come in decine di altre, il campo venne distrutto dai mezzi militari, che rivoltano l’asfalto e fanno a pezzi la rete idrica e quella elettrica.
È stato allora che Mohammad Bakri ha deciso di realizzare un nuovo documentario per raccontare i raid e gli eventi degli ultimi 19 anni, una sorta di sequel. Il titolo è simile ma non uguale: “Janin, Jenin“. Ed era questo nuovo lavoro, per il quale in Israele non esiste, almeno fino ad ora, nessuna censura, a dover essere proiettato lunedì 26 agosto nella sede del Partito comunista di Haifa. Per l’occasione, erano stati organizzati un incontro con il regista e una raccolta fondi per la campagna “Think about Gaza”, con lo scopo di sostenere la popolazione della Striscia.
Reem Hazan, insieme al Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, Adalah, hanno inviato martedì 27 agosto una lettera urgente al procuratore generale israeliano, Gli Baharav-Miara, chiedendogli un intervento immediato “per fermare la persecuzione politica della polizia nei confronti del Partito comunista israeliano”. Il Partito comunista e il movimento politico israeliano Hadash hanno definito “fascista” la decisione della polizia. Un avvocato di Adalah presente agli interrogatori della segretaria della sezione del partito, ha definito l’ordine di chiusura “illegale”, perché “viola i diritti di espressione politica e di riunione”.
Nella lettera si fa presente che l’evento non è stato cancellato e che anzi è riprogrammato per il 9 settembre 2024. Gli avvocati di Adalah hanno quindi chiesto al procuratore generale di ordinare alla polizia di Haifa di non ostacolare nuovamente la manifestazione e di impedire “ulteriori violazioni della libertà di espressione” e di riunione politica di cittadini e residenti. “Non siamo a conoscenza – continuano i legali – di alcun caso dai tempi del governo militare in cui la polizia abbia emesso un ordine di chiusura di una sezione di un partito politico in Israele […] Questo abuso è gravemente aumentato da quando il ministro razzista di estrema destra Ben-Gvir è entrato in carica. La polizia conduce una campagna di soppressione delle critiche legittime alla brutale guerra di Israele contro Gaza, che ha portato a centinaia di arresti ingiusti volti a deterrenza e punizione. Nonostante ciò, il Procuratore di Stato e il Procuratore generale non solo non sono riusciti ad agire contro questa campagna di silenziamento e intimidazione, ma hanno anche, in alcuni casi, sostenuto attivamente la sua continuazione”.
Solo pochi giorni prima, il 7 agosto, la polizia ha bloccato la proiezione del film Gaza’s Untold Stories from Ground Zero, una raccolta di 22 cortometraggi realizzati da diversi autori durante la guerra in corso a Gaza, progetto del regista palestinese Rashid Masharawi. Le forze armate hanno fatto irruzione nel Centro Culturale Yabous di Gerusalemme pochi minuti prima dell’inizio dell’evento, annunciandone la cancellazione. La proiezione è stata poi rinviata e spostata a Betlemme, nei Territori palestinesi occupati.
Nuovo comunicato del FPLP sul genocidio e la farsa della tregua.
La visita di Blinken ha portato a un’escalation di massacri lungo la Striscia di Gaza.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha confermato che il risultato diretto della visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken nella regione è l’escalation di massacri lungo la Striscia di Gaza e un aumento del ritmo della guerra genocida contro il nostro popolo, in mezzo al supporto e all’appoggio assoluti forniti dall’amministrazione americana all’entità criminale sionista.
L’amministrazione americana sta guidando questo genocidio, mobilitando le sue flotte nella regione per continuare il genocidio del nostro popolo e l’aggressione contro i popoli della regione. Non c’è soluzione a questo brutale attacco coloniale se non la resistenza in tutta la regione.
Blinken ha concesso al governo nemico un nuovo mandato per continuare l’aggressione e la guerra genocida, che l’esercito di occupazione criminale ha tradotto in massacri e operazioni di sfollamento nella Striscia di Gaza, l’ultima delle quali è stata l’assedio di decine di migliaia di sfollati a ovest di Khan Younis con carri armati e bombardamenti.
Gli Stati Uniti non sono un mediatore e ciò che sta accadendo non è un conflitto marginale. Questo è un genocidio guidato dall’amministrazione americana, profondamente coinvolta nella sua pianificazione ed esecuzione insieme al nemico criminale. I popoli della regione devono accogliere la visita del criminale di guerra Antony Blinken con rabbia e rivolte contro i crimini di guerra sionisti-americani contro il nostro popolo.
Gli Stati Uniti hanno deciso di genocidiare il nostro popolo a Gaza per garantire il controllo dell’entità sionista sull’intera regione, senza incontrare alcuna significativa opposizione internazionale o araba a questo crimine storico. La guerra genocida ha rivelato l’entità della dipendenza e dell’umiliazione che i governi e le élite arabe hanno scelto come loro strada.
Il nostro popolo, con le sue capacità limitate, non può fermare il genocidio e ha urgente bisogno dell’aiuto di tutti i suoi alleati e amici per affrontare la coalizione genocida. Tuttavia, può trovare e attivare strumenti per infliggere costi elevati all’occupante e a tutti coloro che hanno partecipato al genocidio del nostro popolo.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Dipartimento Centrale dei Media
20 agosto 2024
Nuovo comunicato del FPLP a proposito dei colloqui di pace.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina:
—
Mettiamo in guardia contro i tentativi dell’occupazione di manipolare l’accordo e guardiamo con sospetto al ruolo americano nell’adottare la visione dell’occupazione e nell’imporre nuove condizioni.
- Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina afferma la ferma posizione delle fazioni della resistenza secondo cui rinegoziare questioni precedentemente concordate è inaccettabile. L’incontro programmato per domani dovrebbe essere dedicato alla discussione delle linee guida definitive del cessate il fuoco, concordato dalla resistenza, e a costringere l’occupazione ad aderirvi.
- Riaprire questioni concordate per la negoziazione o accettare nuove condizioni dall’occupazione è visto come una manovra volta a perdere tempo a favore del nemico. Pertanto, il Fronte mette in guardia contro nuove manipolazioni da parte del criminale di guerra Netanyahu per imporre nuove condizioni che minerebbero l’accordo precedente.
- Guardiamo con sospetto e dubitiamo delle posizioni dell’amministrazione americana, che potrebbe adottare la visione dell’occupazione e contribuire a ostacolare gli sforzi per porre fine all’aggressione, soprattutto dato il suo illimitato sostegno all’occupazione.
- La resistenza ha agito con grande responsabilità e flessibilità per raggiungere un accordo che avrebbe posto fine a questa guerra distruttiva contro il nostro popolo. Tuttavia, non accetterà nuove condizioni che svuoterebbero il precedente accordo della sua sostanza o ostacolerebbero il raggiungimento delle condizioni della resistenza, che includono la completa cessazione dell’aggressione, un ritiro completo dalla Striscia di Gaza, la garanzia del ritorno degli sfollati senza restrizioni o condizioni e altre questioni relative alle fasi di attuazione per rompere l’assedio, fornire soccorso e ricostruzione.
- La responsabilità dei mediatori è di fare pressione sull’occupazione per costringerla ad accettare l’accordo così com’è, in modo che l’incontro di domani non si trasformi in una mera perdita di tempo.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Dipartimento Centrale dei Media
14 agosto 2024
Comunicato FPLP su nuove stragi di sfollati a Gaza
L’occupazione sionista continua a oltrepassare tutte le linee rosse prendendo di mira le tende e i rifugi degli sfollati.
In un nuovo massacro sionista, il nemico ha commesso un crimine orribile prendendo di mira le tende degli sfollati attorno all’ospedale dei martiri di Al-Aqsa nel centro di Gaza, provocando il martirio e il ferimento di molti civili innocenti.
Il continuo prendere di mira tende, ospedali e scuole che danno rifugio agli sfollati, come visto ieri con la scuola Hamama a Sheikh Radwan, è una trasgressione persistente di tutti i divieti e una violazione di tutte le linee rosse. L’occupazione criminale continua a concentrare la sua aggressione prendendo di mira i civili disarmati nei rifugi e negli ospedali, intensificando i bombardamenti e le distruzioni e diffondendo devastazione, fame e malattie nella Striscia.
Il nemico commette questi massacri mentre i suoi soldati e ufficiali fuggono dal campo di battaglia quando non riescono ad affrontare i nostri coraggiosi combattenti della resistenza. Ricorrono a prendere di mira civili innocenti per compensare le sconfitte subite e le pesanti perdite subite a causa della resistenza.
I crimini commessi dalla macchina omicida sionista contro il nostro popolo, con la partecipazione americana e la palese copertura e sostegno occidentale, rivelano la vera natura delle posizioni parziali dell’Occidente e del suo disprezzo per le vite dei palestinesi. Ciò conferma che il sionismo talmudico è profondamente radicato nelle menti delle potenze occidentali che colludono e sostengono i crimini dell’occupazione.
Non importa quanto feroce diventi il nemico sionista sconfitto e codardo e non importa quanto profondamente colpisca i civili, il suo destino sarà l’estinzione come tutti i precedenti colonizzatori. Il sangue del nostro popolo oppresso a Gaza sarà un ponte verso la liberazione e il ritorno, e una maledizione che perseguita l’occupazione, i suoi alleati e tutti i traditori.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Dipartimento centrale dei media
4 agosto 2024
Comunicato FPLP ed Hamas in seguito al barbaro omicidio di Haniyeh da parte dell’Entità Sionista.
Il Movimento di Resistenza Islamica – Hamas e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina a Gaza hanno tenuto un importante incontro bilaterale oggi, mercoledì 31 luglio 2024, nel mezzo della battaglia contro l’alluvione di Al-Aqsa e della guerra genocida che ha preso di mira il nostro popolo palestinese a Gaza, in Cisgiordania, Al-Quds, i territori occupati e la diaspora, nonché il maltrattamento dei prigionieri, la giudaizzazione di Al-Quds e Al-Aqsa e il furto di terre da parte degli insediamenti sionisti.
I partecipanti hanno pianto la perdita della Palestina e del grande leader nazionale della nazione, il martire Ismail Abdul Salam Haniyeh, capo dell’ufficio politico del Movimento di resistenza islamica – Hamas. Hanno affermato che il suo sangue puro non sarà sprecato e che il nemico sionista pagherà il prezzo dei suoi crimini e delle sue aggressioni. Il sangue del leader Haniyeh illuminerà il percorso verso la liberazione, il ritorno e l’indipendenza.
Il Fronte Popolare e Hamas hanno sottolineato quanto segue:
Estendiamo saluti, gratitudine e apprezzamento al nostro popolo palestinese in tutti i luoghi in cui è presente, in particolare al nostro popolo risoluto e in lotta a Gaza, e alla nostra coraggiosa resistenza ovunque esista e ovunque operi, che sta creando una leggenda nella resistenza e lottare con il suo sangue. Salutiamo anche i nostri giusti martiri, i nostri nobili feriti e i nostri prigionieri liberi.
Affermiamo che la resistenza è un diritto legittimo, una scelta strategica e un viaggio continuo verso la liberazione, l’indipendenza e la fondazione dello Stato palestinese sull’intero suolo nazionale palestinese con Al-Quds come capitale.
Salutiamo la resistenza del nostro popolo nella Cisgiordania occupata e chiediamo al nostro popolo di fornire tutti i mezzi di protezione e sostegno ai nostri eroi della resistenza e di affrontare tutte le forme di persecuzione.
Fermare l’aggressione, proteggere il nostro popolo, il ritiro dell’occupazione da Gaza, rompere l’assedio e aprire i valichi sono priorità nazionali per il nostro popolo e la sua coraggiosa resistenza. Ciò che viene definito (il giorno dopo la guerra) è un giorno per il popolo palestinese, le sue forze vive e la sua resistenza. Qualsiasi tentativo di imporre progetti che tolgano il diritto del nostro popolo ad una decisione nazionale indipendente, indipendentemente dalla fonte, sarà affrontato proprio come affrontiamo l’occupazione sionista. Qualsiasi forza, indipendentemente dalla sua nazionalità, sarà considerata una forza occupante e condividerà lo stesso destino.
Chiediamo al nostro popolo nei territori occupati, in Cisgiordania e ad Al-Quds di intensificare lo scontro e la resistenza contro l’occupazione e di affrontare i suoi progetti criminali e le sue bande criminali.
La guerra genocida non ripristinerà il deterioramento dello status dell’occupazione o il suo potere deterrente, che si sta sgretolando sotto i piedi degli eroi della nostra valorosa resistenza.
Chiediamo al governo e alle sue agenzie specializzate di colpire con pugno di ferro chiunque osi diventare uno strumento dell’occupazione, intenzionalmente o meno. Chiediamo alle tribù e alle famiglie del nostro popolo di continuare a sostenere il governo e le agenzie di sicurezza nell’applicazione della legge, nel mantenimento dell’ordine pubblico e nel dissuadere coloro che sono indisciplinati e trasgressori.
La riforma e lo sviluppo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e del sistema politico palestinese rappresentano un interesse nazionale urgente su cui tutte le fazioni nazionali hanno concordato, più recentemente in Cina. Ciò garantisce la partecipazione di tutti i palestinesi e delle loro forze viventi, rendendola capace di realizzare le speranze e le aspirazioni del nostro popolo per la liberazione, la libertà e la creazione di uno stato palestinese indipendente con Al-Quds come capitale.
Chiediamo al nostro popolo, alla nostra nazione e ai popoli liberi del mondo di considerare il 3 agosto come una giornata globale di sostegno di massa per il nostro popolo e i nostri coraggiosi prigionieri.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Movimento di resistenza islamica – Hamas
Mercoledì 31 luglio 2024
Nella Striscia di Gaza l’esercito israeliano spara a tutti…. Anche per noia.
luglio 14, 2024 in Dal mondo Edit
Un’inchiesta di +972 sulle regole di ingaggio dell’esercito israeliano. Case incendiate inutilmente, civili uccisi, cadaveri lasciati agli animali
di Orev Ziv da il manifesto
All’inizio di giugno, Al Jazeera ha mandato in onda dei video inquietanti che rivelano quelle che ha descritto come «esecuzioni sommarie»: i soldati israeliani hanno sparato a diversi palestinesi che camminavano vicino alla strada costiera nella Striscia di Gaza, in tre diverse occasioni. In ogni caso, i palestinesi sembravano disarmati e non rappresentavano una minaccia imminente per i soldati. Questi filmati sono rari, a causa delle pesanti limitazioni a cui sono sottoposti i giornalisti dell’enclave assediata e del costante pericolo per le loro vite. Ma queste esecuzioni, che non sembrano essere motivate da questioni di sicurezza, sono coerenti con le testimonianze di sei soldati israeliani che hanno parlato con +972 Magazine e Local Call dopo il loro congedo dal servizio attivo a Gaza negli ultimi mesi. Confermando i racconti fatti da testimoni oculari e medici palestinesi durante tutta la guerra, i soldati hanno sostenuto di essere stati autorizzati ad aprire il fuoco sui palestinesi, compresi i civili, praticamente a piacimento.
Le sei fonti – tutte tranne una, che ha parlato a condizione di rimanere anonima – hanno raccontato come i soldati israeliani giustiziassero abitualmente i civili palestinesi semplicemente perché entravano in un’area che i militari definivano non accessibile. I testimoni raccontano di un paesaggio disseminato di cadaveri di civili, che vengono lasciati a marcire o ad essere mangiati da animali randagi; l’esercito si limita a nasconderli prima dell’arrivo dei convogli di aiuti internazionali, in modo che «le immagini di persone in avanzato stato di decomposizione non vengano fuori». Due dei soldati hanno anche riferito di una politica sistematica per cui le case palestinesi, dopo essere state occupate, vengono incendiate.
Diverse fonti hanno descritto la possibilità di sparare senza restrizioni come un modo per sfogarsi o alleviare il grigiore della loro routine quotidiana. «Le persone vogliono vivere l’evento», ha ricordato S., un riservista che ha prestato servizio nel nord di Gaza. «Personalmente ho sparato alcuni proiettili senza motivo, in mare, sul marciapiede o su un edificio abbandonato. Lo riportano come ‘fuoco normale’, che è un nome in codice per dire ‘mi annoio, quindi sparo’».
Dagli anni ’80, l’esercito israeliano si è rifiutato di divulgare i propri regolamenti interni su quando è consentito aprire il fuoco, nonostante le varie petizioni presentate all’Alta Corte di Giustizia.
Secondo il sociologo politico Yagil Levy, dalla Seconda Intifada «l’esercito non ha fornito ai soldati regole di combattimento scritte», lasciandole molto all’interpretazione dei soldati sul campo e dei loro comandanti. Oltre a contribuire all’uccisione di oltre 38.000 palestinesi, le fonti hanno testimoniato che queste direttive lassiste sono anche in parte responsabili dell’alto numero di soldati uccisi dal fuoco amico negli ultimi mesi. «C’era totale libertà di azione», ha detto B., un altro soldato che ha prestato servizio i a Gaza per mesi, anche nel centro di comando del suo battaglione. «Se c’è una sensazione di minaccia, non c’è bisogno di spiegare – si spara e basta». Quando i soldati vedono qualcuno avvicinarsi, «è lecito sparare» alla persona in questione , «non in aria», ha continuato B. «È lecito sparare a tutti; a una ragazza giovane, a una donna anziana».
B. ha poi descritto un incidente avvenuto a novembre, quando i soldati hanno ucciso diversi civili durante l’evacuazione di una scuola vicino al quartiere Zeitoun di Gaza City, che era servita come rifugio per i palestinesi sfollati. L’esercito aveva ordinato agli sfollati di uscire a sinistra, verso il mare, anziché a destra, dove erano appostati i soldati. Quando è scoppiato uno scontro a fuoco all’interno della scuola, coloro che hanno deviato dalla parte sbagliata sono stati immediatamente colpiti.
«C’erano informazioni sul fatto che Hamas volesse creare il panico», ha detto B. «È iniziata una battaglia all’interno; la gente è scappata. Alcuni sono fuggiti a sinistra verso il mare, ma altri sono scappati a destra, bambini compresi. Tutti quelli che andavano a destra sono stati uccisi: 15-20 persone. C’era un mucchio di corpi».
B. ha affermato che a Gaza è difficile distinguere i civili dai combattenti, sostenendo che i membri di Hamas spesso «vanno in giro senza armi». Di conseguenza, «ogni uomo tra i 16 e i 50 anni è sospettato di essere un terrorista». «È vietato andare in giro e chiunque si trovi all’aperto è sospettato», continua. «Se vediamo qualcuno alla finestra che ci guarda, è un sospetto. Si spara. La percezione è che qualsiasi contatto con la popolazione metta in pericolo l’esercito, e bisogna creare una situazione in cui è vietato avvicinarsi in qualsiasi circostanza. Hanno imparato che quando entriamo, devono scappare».
Anche in aree apparentemente non popolate o abbandonate di Gaza, i soldati hanno aperto il fuoco in una procedura nota come «dimostrazione di presenza». S. ha testimoniato che i suoi commilitoni «sparavano molto, anche senza motivo – chiunque voglia sparare, non importa per quale motivo, spara».
M., un altro riservista che ha prestato servizio nella Striscia di Gaza, ha spiegato che tali ordini provengono direttamente dai comandanti della compagnia o del battaglione sul campo. «Quando non ci sono ufficiali dell’Idf le sparatorie sono senza limiti, come impazzite. E non solo armi leggere: mitragliatrici, carri armati e mortai». Anche in assenza di ordini dall’alto, M. ha testimoniato che i soldati sul campo si fanno regolarmente giustizia da soli. «Soldati regolari, ufficiali minori, comandanti di battaglione – i ranghi minori che vogliono sparare, ottengono il permesso».
S. ha ricordato di aver sentito alla radio di un soldato stanziato in un recinto di protezione che ha sparato a una famiglia palestinese che passeggiava nelle vicinanze. «All’inizio dicono ‘quattro persone’. Poi si dice ‘due bambini più due adulti’ e alla fine si dice ‘un uomo, una donna e due bambini’. Puoi comporre l’immagine da solo».
Solo uno dei soldati intervistati per questa inchiesta ha voluto essere identificato: Yuval Green, un riservista di 26 anni di Gerusalemme che ha prestato servizio nella 55ª Brigata paracadutisti nel novembre e dicembre dello scorso anno (Green ha recentemente firmato una lettera di 41 riservisti che dichiarano il loro rifiuto a continuare a prestare servizio a Gaza in seguito all’invasione dell’esercito a Rafah). «Non c’erano restrizioni sulle munizioni», ha detto Green a +972 e Local Call. «La gente sparava solo per alleviare la noia».
Green ha descritto un incidente avvenuto una notte durante la festa ebraica di Hanukkah, a dicembre, quando «l’intero battaglione ha aperto il fuoco insieme come fuochi d’artificio, comprese le munizioni traccianti che generano una luce intensa. Ha fatto un colore pazzesco, illuminando il cielo, e poiché è la ‘festa delle luci’, è diventato simbolico».
C., un altro soldato che ha prestato servizio a Gaza, ha spiegato che, quando i soldati sentivano degli spari, si informavano via radio per capire se ci fosse un’altra unità militare israeliana nella zona, e in caso contrario aprivano il fuoco. «La gente sparava a piacimento, con tutte le sue forze». Ma, come ha sottolineato C., sparare senza restrizioni significava esporre spesso i soldati all’enorme rischio del fuoco amico, che ha descritto come «più pericoloso di Hamas». «In diverse occasioni, le forze delle Idf hanno sparato nella nostra direzione. Non abbiamo risposto, abbiamo controllato alla radio e nessuno è rimasto ferito».
Al momento della stesura di quest’articolo, 324 soldati israeliani sono stati uccisi a Gaza dall’inizio dell’invasione di terra, almeno 28 di loro da fuoco amico afferma l’esercito. Secondo l’esperienza di Green, questi incidenti erano «il problema principale» che metteva in pericolo la vita dei soldati. «C’era un bel po’ di fuoco amico; mi faceva impazzire», ha detto. Per Green, le regole di combattimento dimostravano anche una profonda indifferenza per la sorte degli ostaggi. «Mi hanno parlato della pratica di far esplodere i tunnel e ho pensato che se ci fossero stati degli ostaggi, li avrebbero uccisi». Dopo che i soldati israeliani hanno ucciso tre ostaggi a Shuja’iyya a dicembre, mentre sventolavano bandiere bianche, pensando che fossero palestinesi, Green ha raccontato di essersi arrabbiato, ma gli è stato detto che «non c’è niente da fare». I comandanti hanno affinato le procedure, dicendo: «Dovete prestare attenzione ed essere sensibili, ma siamo in una zona di combattimento e dobbiamo essere vigili”». B. ha confermato che anche dopo l’incidente di Shuja’iyya, che è stato definito come «contrario agli ordini» dell’esercito, le norme per aprire il fuoco non sono cambiate. «Per quanto riguarda gli ostaggi, non avevamo una direttiva specifica», ha ricordato. «I vertici dell’esercito hanno detto che dopo l’ uccisione degli ostaggi hanno informato i soldati sul campo. Non hanno parlato con noi». B. e i soldati che erano con lui hanno saputo dell’uccisione degli ostaggi solo due settimane e mezzo dopo l’incidente, dopo aver lasciato Gaza. «Ho sentito dire da altri soldati che gli ostaggi sono morti, che non hanno alcuna possibilità, che devono essere abbandonati», ha osservato Green. «Mi ha dato molto fastidio… il fatto che continuassero a dire: ’Siamo qui per gli ostaggi’, ma è chiaro che la guerra li danneggia. Questo era il mio pensiero allora; oggi si è rivelato vero».
A., un ufficiale che ha servito nella Direzione delle Operazioni dell’esercito, ha testimoniato che la sala operativa della sua brigata – che coordina i combattimenti dall’esterno di Gaza, approvando gli obiettivi e prevenendo il fuoco amico – non ha ricevuto ordini chiari su quando aprire il fuoco da trasmettere ai soldati sul campo. «Non ci sono mai briefing», ha detto. «Non abbiamo ricevuto istruzioni dai piani alti da trasmettere ai soldati e ai comandanti di battaglione». Ha sottolineato che la direttiva era di non sparare lungo le vie umanitarie, ma altrove «si riempiono le lacune, in assenza di altre istruzioni». Questo è l’approccio: «Se è vietato lì, allora è permesso qui».
A. ha spiegato che sparare a «ospedali, cliniche, scuole, istituzioni religiose, edifici di organizzazioni internazionali» richiede un’autorizzazione superiore. Ma in pratica, «posso contare sulle dita di una mano i casi in cui ci è stato detto di non sparare. Anche per cose delicate come le scuole, l’approvazione sembra solo una formalità». In generale, ha proseguito A., «lo spirito nella sala operativa era ’Prima spara, poi fai domande’. Nessuno verserà una lacrima se distruggiamo una casa o spariamo a qualcuno inutilmente».
A. ha dichiarato di essere a conoscenza di casi in cui i soldati israeliani hanno sparato a civili palestinesi che erano entrati nella loro area operativa, coerentemente con un’inchiesta di Haaretz sulle «zone di uccisione» nelle aree di Gaza occupate dall’esercito. «Questa è la norma. Nessun civile dovrebbe trovarsi nell’area, questa è la prospettiva. Abbiamo visto qualcuno alla finestra, così hanno sparato e lo hanno ucciso». A. ha aggiunto che spesso non era chiaro dai rapporti se i soldati avessero sparato a militanti o a civili disarmati. Ma questa ambiguità sull’identità delle vittime ha fatto sì che, per A., non ci si potesse fidare dei rapporti militari sul numero di membri di Hamas uccisi. «La sensazione nella stanza della guerra, e questa è una versione attenuata, era che ogni persona uccisa veniva contata come terrorista». «L’obiettivo era contare quanti ne avevamo uccisi oggi», ha continuato A. «La percezione era che tutti gli uomini fossero terroristi. A volte un comandante chiedeva improvvisamente dei numeri, e allora l’ufficiale di divisione correva da una brigata all’altra a scorrere l’elenco nel sistema informatico militare e a contare».
La testimonianza di A. è coerente con un recente rapporto della testata israeliana Mako, che parla di un attacco di droni da parte di una brigata responsabile della morte di palestinesi nell’area di operazione di un’altra brigata. Gli ufficiali di entrambe le brigate si sono consultati su quale dovesse registrare gli omicidi. «Che differenza fa? Registralo per entrambi», avrebbe detto uno di loro all’altro.
Nelle prime settimane dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha ricordato A., «la gente si sentiva molto in colpa per il fatto che ciò fosse accaduto sotto la nostra sorveglianza», un sentimento condiviso dall’opinione pubblica israeliana in generale – e rapidamente trasformato in desiderio di punizione. «Non c’era un ordine diretto di vendicarsi», ha detto A., «ma quando si arriva a dei nodi decisionali, le istruzioni, gli ordini e i protocolli relativi a casi “sensibili” hanno un’influenza relativa».
Quando i droni trasmettevano in diretta i filmati degli attacchi a Gaza, «nella stanza della guerra c’era esultanza», ha raccontato A. «Ogni tanto viene giù un edificio… e la sensazione è: ‘Wow, che follia, che divertimento’».
A. ha sottolineato l’ironia del fatto che parte di ciò che ha motivato le richieste di vendetta degli israeliani fosse la convinzione che i palestinesi di Gaza abbiano gioito della morte e della distruzione del 7 ottobre. Per giustificare l’abbandono della distinzione tra civili e combattenti, si ricorreva ad affermazioni come «Hanno distribuito dolci», «Hanno ballato dopo il 7 ottobre» o «Hanno eletto Hamas». «Non tutti, ma tanti , pensavano che il bambino di oggi sarà il terrorista di domani».
«Anch’io, un soldato piuttosto di sinistra, dimentico molto rapidamente che queste sono vere case », ha detto A. della sua esperienza in sala operativa. «Sembrava un gioco al computer. Solo dopo due settimane ho capito che si trattava di edifici che stavano crollando: se c’erano abitanti: se c’erano abitanti significava che gli edifici stavano crollando sulle loro teste. Anche se non erano presenti, crollavano con tutto quello che c’era dentro».
Diversi soldati hanno testimoniato che la politica permissiva rispetto a quando aprire il fuoco ha concesso alle unità israeliane di uccidere civili palestinesi anche quando erano stati precedentemente identificati come tali. D., un riservista, ha raccontato che la sua brigata era stanziata vicino a due corridoi di transito – cosiddetti «umanitari» -, uno per le organizzazioni umanitarie e uno per i civili in fuga dal nord al sud della Striscia. All’interno dell’area di operazione della sua brigata, è stata istituita una politica di «linea rossa, linea verde», delineando zone in cui era vietato l’accesso ai civili. Secondo D., le organizzazioni umanitarie potevano entrare in queste zone previo coordinamento (la nostra intervista è stata condotta prima che una serie di attacchi di precisione israeliani uccidesse sette dipendenti della World Central Kitchen), ma per i palestinesi era diverso. «Chiunque attraversasse l’area verde diventava un potenziale bersaglio», ha detto D., sostenendo che queste aree erano segnalate ai civili. «Se attraversano la linea rossa, lo si segnala alla radio e non c’è bisogno di aspettare il permesso, si può sparare». D. ha raccontato che spesso i civili si recavano nelle aree in cui passavano i convogli di aiuti per cercare i rottami che potevano cadere dai camion; ciononostante, la politica era quella di sparare a chiunque tentasse di entrare. «I civili sono chiaramente rifugiati, sono disperati, non hanno nulla», ha detto. Eppure, nei primi mesi di guerra, «ogni giorno si verificavano due o tre incidenti con persone innocenti o sospettate di essere state mandate da Hamas come osservatori», a cui i soldati del suo battaglione sparavano.
I soldati hanno testimoniato che in tutta Gaza i cadaveri di palestinesi in abiti civili sono rimasti sparsi lungo le strade e i campi. «L’intera area era piena di corpi», ha detto S., un riservista. «Ci sono anche cani, mucche e cavalli che sono sopravvissuti ai bombardamenti e non hanno un posto dove andare. Non possiamo dar loro da mangiare e non vogliamo nemmeno che si avvicinino troppo. Così, di tanto in tanto si vedono cani che vanno in giro con parti del corpo in decomposizione. C’è un orribile odore di morte».
Ma prima dell’arrivo dei convogli umanitari, ha osservato S., i corpi vengono rimossi. “Un D-9 (bulldozer Caterpillar) scende, con un carro armato, e ripulisce l’area dai cadaveri, li seppellisce sotto le macerie e li mette da parte in modo che i convogli non li vedano», ha affermato. «Ho visto molti civili – famiglie, donne, bambini”, ha continuato. «Le vittime sono più numerose di quelle riportate. Eravamo in una piccola area. Ogni giorno, almeno uno o due vengono uccisi mentre camminano in una zona vietata. Non so chi sia un terrorista e chi no, ma la maggior parte di loro non portava armi».
Green ha raccontato che quando è arrivato a Khan Younis, alla fine di dicembre, «abbiamo visto una massa indistinta fuori da una casa. Abbiamo capito che era un corpo; abbiamo visto una gamba. Di notte, i gatti l’hanno mangiato. Poi qualcuno è venuto a spostarlo».
Anche una fonte non militare che ha parlato con +972 e Local Call dopo aver visitato il nord di Gaza ha riferito di aver visto corpi sparsi nella zona. «Vicino al complesso dell’esercito tra la Striscia di Gaza settentrionale e quella meridionale, abbiamo visto circa 10 corpi colpiti alla testa, apparentemente da un cecchino, evidentemente mentre cercavano di tornare a nord», ha detto. «I corpi erano in decomposizione; c’erano cani e gatti intorno a loro».
«Non si occupano dei corpi», ha detto B. parlando dei soldati israeliani a Gaza. «Se sono d’intralcio, vengono spostati di lato. Non c’è sepoltura dei morti. I soldati calpestano i cadaveri per errore».
Il mese scorso, Guy Zaken, un soldato che ha manovrato i bulldozer D-9 a Gaza, ha testimoniato davanti a una commissione della Knesset che lui e la sua squadra «hanno investito centinaia di terroristi, vivi e morti». Un altro soldato con cui ha prestato servizio si è poi suicidato.
Due dei soldati intervistati per questo articolo hanno anche descritto come dare fuoco alle case palestinesi sia diventata una pratica comune tra i soldati israeliani, come ha riportato per la prima volta in modo approfondito Haaretz a gennaio. Green è stato testimone di due di questi casi – il primo per iniziativa indipendente di un soldato, il secondo per ordine dei comandanti – e la sua frustrazione per questa pratica è parte di ciò che lo ha portato a rifiutare il servizio militare. Quando i soldati occupavano le case, ha testimoniato, la politica era «se ti sposti, devi bruciare la casa». Ma per Green questo non aveva senso: in «nessuno scenario» il centro del campo profughi poteva far parte di una zona di sicurezza israeliana che potesse giustificare una tale distruzione. «Siamo in queste case non perché appartengono ad agenti di Hamas, ma perché ci servono dal punto di vista operativo», ha osservato. «È una casa di due o tre famiglie – distruggerla significa che resteranno senza casa».
«Ho chiesto al comandante della compagnia, che mi ha risposto che non si poteva lasciare alcun equipaggiamento militare e che non volevamo che il nemico vedesse i nostri metodi di combattimento», ha continuato Green. «Ho detto che avrei fatto una ricerca per assicurarmi che non restassero prove. Il comandante della compagnia mi ha dato spiegazioni sul mondo della vendetta. Disse che le stavano bruciando perché non c’erano D-9 o Ied di un corpo di ingegneria che avrebbe potuto distruggere la casa con altri mezzi. Ha ricevuto un ordine e non si è preoccupato».
«Prima di partire, si brucia la casa, ogni casa», ha ribadito B. «Lo sostiene il comandante di battaglione. È per evitare che possano tornare, e, se abbiamo lasciato munizioni o cibo, i terroristi non potranno usarli». Prima di andarsene, i soldati ammassavano materassi, mobili e coperte, e «con un po’ di carburante o di bombole di gas – ha osservato B. – la casa brucia facilmente, è come una fornace». All’inizio dell’invasione di terra, la sua compagnia occupava le case per alcuni giorni e poi si spostava; secondo B., «hanno bruciato centinaia di abitazioni. Ci sono stati casi in cui i soldati hanno dato fuoco a un piano e altri soldati si trovavano a un piano superiore e sono dovuti fuggire attraverso le fiamme sulle scale o soffocati dal fumo».
Green ha detto che la distruzione lasciata dall’esercito a Gaza è «inimmaginabile». All’inizio dei combattimenti, ha raccontato, avanzavano tra le case a 50 metri l’una dall’altra, e molti soldati «trattavano le case come negozi di souvenir», saccheggiando tutto ciò che i residenti non erano riusciti a portare con sé. «Alla fine si muore di noia, giorni di attesa», ha detto Green. «Si disegna sui muri, si fanno cose maleducate. Si gioca con i vestiti, si trovano le foto dei passaporti che hanno lasciato, si appende la foto di qualcuno perché è divertente. Abbiamo usato tutto quello che abbiamo trovato: materassi, cibo, uno ha trovato una banconota da 100 Nis (circa 27 dollari) e l’ha presa». «Abbiamo distrutto tutto quello che volevamo», ha testimoniato. «Non per il desiderio di distruggere, ma per la totale indifferenza verso tutto ciò che appartiene ai palestinesi. Ogni giorno, un D-9 demolisce case. Non ho scattato foto prima e dopo, ma non dimenticherò mai come un quartiere che era davvero bello… sia stato ridotto in sabbia».
Il portavoce delle Idf ha risposto alla nostra richiesta di commento con la seguente dichiarazione: «Le istruzioni per aprire il fuoco sono state date a tutti i soldati delle Idf che combattono nella Striscia e ai confini al momento dell’entrata in combattimento. Queste istruzioni riflettono il diritto internazionale a cui le Idf sono vincolate. Sono regolarmente riviste e aggiornate alla luce della mutevole situazione operativa e di intelligence, e approvate dai più alti ufficiali dell’esercito». «L’esercito indaga sulle proprie attività e trae lezioni dagli eventi sul campo, compresa la tragica uccisione accidentale di Yotam Haim, Alon Shamriz e Samer Talalka. Le lezioni apprese dalle indagini sull’incidente sono state trasferite alle forze di combattimento sul campo, al fine di prevenire il ripetersi di questo tipo di incidenti in futuro». «Nell’ambito della distruzione delle capacità militari di Hamas, sorge la necessità operativa, tra l’altro, di distruggere o attaccare gli edifici in cui l’organizzazione terroristica colloca le infrastrutture di combattimento. Questo include anche gli edifici che Hamas ha regolarmente convertito per i combattimenti. Nel frattempo, Hamas fa sistematicamente uso militare di edifici pubblici che dovrebbero essere utilizzati per scopi civili. Gli ordini dell’esercito regolano il processo di approvazione, in modo che il danneggiamento di siti sensibili debba essere approvato da comandanti di alto livello che tengano conto dell’impatto del danno alla struttura sulla popolazione civile, e questo a fronte della necessità militare di attaccare o demolire la struttura. Il processo decisionale di questi comandanti superiori avviene in modo ordinato ed equilibrato. L’incendio di edifici non necessari a scopi operativi è contrario agli ordini dell’esercito e ai valori delle Idf». «Nel contesto dei combattimenti e in base agli ordini dell’esercito, è possibile utilizzare proprietà nemiche per scopi militari essenziali, così come prendere proprietà delle organizzazioni terroristiche come bottino di guerra. Allo stesso tempo, il prelievo di proprietà per scopi privati costituisce un saccheggio ed è vietato dalla Legge sulla giurisdizione militare. Gli incidenti in cui le forze armate hanno agito in modo non conforme agli ordini e alla legge saranno oggetto di indagini».