CHI CONTROLLA IL CONTROLLORE Lunedì 27 gennaio, come ogni lunedì, si è tenuto il consiglio comunale, ma diversamente dai precedenti, l’ingresso è stato vietato da agenti della DIGOS e vigili urbani a quanti si erano ritrovati sotto Palazzo Vecchio in solidarietà con la resistenza palestinese e per sollecitare, ancora una volta, la sindaca a prendere una posizione pubblica contro il genocidio. Il 3 e 4 febbraio si è tenuto un convegno filosionista, con, tra gli altri, il console onorario e due ufficiali dell’esercito israeliano. Una zona della città per 2 giorni è stata posta sotto sequestro da polizia ed agenti della DIGOS ed è diventata zona rossa, interdetta a chiunque. Accesso a via de’ Benci vietato ad abitanti, esercenti, cittadini… Infine domenica 16 al circolo arci Vie Nuove un incontro, pubblico, di “sinistra per israele” con di nuovo la DIGOS in presenza che, oltre ad imporre l’ingresso limitato, in modo del tutto arbitrario ha identificato alcuni di coloro che erano andati ad ascoltare quanto veniva detto. Questa la cronaca. Da parte nostra possiamo dire: i sionisti ed i loro sostenitori si devono abituare a fare le proprie iniziative “sotto scorta”, non può essere diversamente. Chi è responsabile del genocidio e chi lo sostiene non dovrebbe nemmeno avere agibilità, ma tant’è. Due parole le dobbiamo spendere a proposito del circolo arci Vie Nuove che, non solo ha dato la sua disponibilità ad ospitare “sinistra per israele” sposandone i punti di vista, ma ha anche permesso che la DIGOS, all’interno del circolo, tenesse un comportamento arrogante. 18 febbraio 2025. Firenze per la Palestina
Ancora al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori di Pam Panorama del centro commerciale “I Gigli”
Martedì 11 febbraio saremo con le lavoratrici e i lavoratori panorama in presidio davanti alla Regione Toscana (Piazza Duomo)
Da decenni, le lavoratrici e i lavoratori di Pam Panorama a Campi Bisenzio portano avanti una lotta determinata per difendere i propri diritti. Dalle battaglie contro l’imposizione del lavoro domenicale e festivo, alle mobilitazioni contro gli esuberi, fino all’ultimo inaccettabile tentativo dell’azienda: licenziare sei lavoratori fragili con un’operazione sporca, chiaramente mirata ad accelerare il progressivo smantellamento del punto vendita.
Grazie alla forza e alla determinazione delle lavoratrici e dei lavoratori, organizzati in scioperi e mobilitazioni, questo attacco è stato respinto: l’azienda è stata costretta a ritirare i licenziamenti e i sei lavoratori fragili sono tornati a svolgere le loro mansioni.
Tuttavia, la lotta non si ferma. Le lavoratrici e i lavoratori di Pam Panorama continuano a battersi per difendere il proprio futuro e denunciare il progetto aziendale di smantellamento. In occasione del tavolo di crisi nazionale aperto, al quale parteciperà anche il Comune di Campi Bisenzio con l’assessora al lavoro Carla Bonora, si terrà uno sciopero sotto il Palazzo della Regione Toscana, in Piazza del Duomo 10, alle ore 14:30.
Il Partito della Rifondazione Comunista sarà al loro fianco, come sempre, sostenendo con forza questa battaglia di dignità e giustizia.
Questa vicenda mette in luce ancora una volta le profonde contraddizioni del settore del commercio, in cui, specialmente nella Piana Fiorentina, i centri commerciali rappresentano un modello economico che crea precarietà, sfruttamento e lavoro povero. Un sistema insostenibile, che sacrifica le persone in nome del profitto e che va combattuto con forza.
Circolo territoriale della Piana “Teresa Mattei” Segreteria Provinciale PRC Firenze
ORDINE DEL GIORNO PER IL RITIRO DEL DECRETO LEGGE N. 1660 “SICUREZZA”
Il Congresso della Federazione Provinciale di Firenze del Partito della Rifondazione Comunista condivide le preoccupazioni e lo sdegno espressi da larghi strati della società italiana dopo che il governo neofascista, per mano dei ministri Nordio, Piantedosi e Crosetto, ha perfezionato nel ddl “sicurezza” un insieme di norme chiaramente (e diremmo sfacciatamente) orientato alla repressione dei soggetti che questa maggioranza politica considera persone marginali e potenzialmente contrarie all‟interesse dei potenti. Solo per citare alcuni aspetti, l‟introduzione del delitto di rave party, il reinserimento del pericolo di fuga tra le esigenze cautelari idonee a motivare le misure cautelari per i minorenni nel famigerato decreto Caivano. Emerge l‟attacco alle grandi città come luoghi in cui la produzione del valore produce scintille di resistenza e persino di contropotere. Il blocco stradale diviene un reato e si prevede il divieto di accesso a determinate zone delle città a determinati “soggetti”. Dall‟altra parte si intende ampliare in modo abnorme lo spazio di manovra delle “forze dell‟ordine” Viene introdotto il reato di rivolta all‟interno di un istituto penitenziario. L‟associazione Antigone ha definito il ddl il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana. In generale, si criminalizzano fasce sociali come gli immigrati “irregolari”, i senza dimora, i rom, i detenuti, gli attivisti e le organizzazioni che organizzano dissenso. Il ddl segna, tuttavia, un momento di discontinuità perché sta emergendo pur faticosamente un fronte unito contro la tattica della destra coagulato da una strategia costituzionale. Un fronte che va dalla rete dei Negozianti italiani canapa ai collettivi studenteschi più radicali, dai Giuristi democratici, alle associazioni del volontariato carcerario, da Articolo 21 ai lavoratori organizzati della ex GKN. Un fronte meticcio che attraverso la parola d‟ordine del ritiro immediato del ddl ha evidenziato un potenziale ricompositivo di tutte le vertenze attraverso le quali i soggetti sociali declinano il conflitto capitale-lavoro, capitale-ambiente, capitale-corpi e libertà-repressione, in quanto nasce da manifestazioni territoriali e regionali, dagli scioperi, dalle occupazioni di scuole e facoltà, dall‟astensione dalle udienze dei penalisti. Il portato di tutte le manifestazioni ha già inciso significativamente: il Capo dello Stato ha richiesto – a differenza da ciò che non ha fatto col decreto Caivano – la modifica di tutte le norme più manifestamente incostituzionali. Si tratta di tre gruppi di norme: quelle norme „anti-borseggiatrici rom‟ che rendono facoltativa la esecuzione della reclusione per le donne incinta o madri di figli fino a un anno e obbligatoria l‟esecuzione penale per le madri fino a tre anni, di quella discriminatoria verso il cittadino extraUE per l‟acquisto di una sim telefonica e di quelle incriminanti la resistenza passiva nei reati di rivolta carceraria e rivolta in CPR. La battaglia, tuttavia, non è che all‟inizio dal momento che il movimento non può accettare nulla che non sia il ritiro di tutto il ddl.
ODG PALESTINA – CONGRESSO PROVINCIALE PRC FIRENZE 19 GENNAIO 2025 Quello che stiamo vivendo è un momento tragico dell’umanità. La riprese delle guerre in Europa e nel Medio Oriente, le minacce alla integrità nazionale degli stati e alla sovranità dei popoli, la riproposizione di regimi autoritari nell’America latina, la caccia aperta alle risorse dell’Africa, l’instabilità del continente asiatico, la minaccia alle libere vie di comunicazione e di rifornimento, il costituirsi di una vera “internazionale nera” che accoglie tutte le forze reazionarie, guerrafondaie e filofasciste, l’ascesa alla presidenza Usa delle tendenze più oltranziste dell’apparato industriale-militare americano minacciano di trascinare l’intero mondo in una catastrofe tale da ricondurci ai tempi del medioevo. Il rafforzamento della NATO e della carica offensiva, la crescita delle spese militari nei paesi dell’Occidente a danno dello stato sociale, sono funzionali alla costruzione di un contesto di guerra permanente, di economia di guerra, di “democrazie” autoritarie. Questa è la attuale forma sotto cui si presenta il capitalismo del XXI secolo, oligarchico, antidemocratico, che sbarazzatosi della lotta di classe e schiacciato i popoli, è in costante lotta per conquistare o mantenere gli spazi di predazione. In questa situazione il conflitto per la distruzione del popolo palestinese acquista particolare valore simbolico. Come dice Didier Fassin ” il consenso alla distruzione di Gaza ha creato una immensa frattura nell’ordine morale del mondo.(…) Questa accettazione alla devastazione di Gaza e del massacro della sua popolazione, a cui bisogna aggiungere la persecuzione degli abitanti della Cisgiordania, lascerà una traccia indelebile nella memoria delle società che ne saranno responsabili”. Siamo, infatti, ormai di fronte non soltanto alla definitiva distruzione del concetto di diritto internazionale, ma, ancora una volta, siamo silenti di fronte al genocidio di un popolo, come lo furono le classi dirigenti e gli “indifferenti” d’Europa di fronte allo sterminio del popolo ebraico operato dalle bande nazifasciste. Quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio, una distruzione di un popolo e della sua cultura, per altro iniziato più di 77 anni fa. Quando si bombardano gli ospedali e le scuole, si distruggono i cimiteri, si cancellano i pozzi, si affamano due milioni di persone, si rendono inutilizzabili interi territori coperti di macerie e quando le vittime civili raggiungono l’80% delle vittime globali della guerra, quale altro concetto è lecito utilizzare? In questo quadro, la condizione dei prigionieri politici in Israele è particolarmente vergognosa. Arresti abusivi sono all’ordine del giorno come le detenzioni amministrative senza alcun limite e spiegazione. Per questo riteniamo che il militante e resistente Marwān Barghūthī, arrestato abusivamente in quanto coperto dall’immunità parlamentare, e detenuto da 22 anni nelle prigioni israeliane costituisca una figura chiave capace di restituire credibilità all’autorità palestinese e nel contempo rappresenti pienamente la volontà indomabile del suo popolo. Per questo chiediamo al Partito della Rifondazione, di impegnarsi nella campagna per la sua liberazione, con tutti gli atti possibili, levando così alta la voce a difesa della dignità di tutti gli uomini e donne della resistenza palestinese. Marwān Barghūthī, è uno dei detenuti da difendere e da liberare dalle infami galere, come lo è Abdullah Öcalan, come lo furono Nelson Mandela, come lo furono i nostri compagni Umberto Terracini e Antonio Gramsci. LIBERTA PER BARGHUTHI, LIBERTA PER OCALAN, LIBERTA PER IL POPOLO PALESTINE E IL POPOLO CURDO.
Ordine del Giorno sulla MULTIUTILITY La Federazione provinciale di Firenze del Partito della Rifondazione Comunista porta avanti, attraverso la propria attività e quella di tutte le proprie articolazioni locali, la battaglia contro la cosiddetta Multiutility toscana dei servizi. L’incorporazione di tutta una serie di società pubbliche del settore dei servizi in ALIA SPA, si configura in modo inevitabile come un ulteriore passo verso la privatizzazione di fatto e di diritto della gestione di acqua, rifiuti e non solo. La mobilitazione portata avanti a livello politico, istituzionale e di movimento ha ottenuto in questi anni di lotta importanti risultati: la quotazione in borsa della nuova società, che sembrava inevitabile fino a poco tempo fa, è messa in discussione da alcuni degli stessi promotori dell’aggregazione e dallo stesso Partito Democratico, che pur si è reso politicamente responsabile di questa deriva. L’iniziativa di una serie di Sindaci e amministratori locali, alcuni dei quali eletti anche grazie al sostegno di Rifondazione Comunista, ha contribuito al formarsi di un fronte contrario all’operazione Multiutility, che si è guadagnato una buona visibilità ed un ampio sostegno nell’opinione pubblica. Infine, anche l’assetto della futura gestione del servizio idrico è diventato oggetto di dibattito, con la quota del soggetto gestore da assegnare al privato contestata da più parti e che sarà quantomeno ridimensionata. Il XII° Congresso di Rifondazione Comunista della Federazione di Firenze impegna il Partito a continuare a sostenere la battaglia contro la quotazione in borsa della Multiutility e per un’eLettiva ripubblicizzazione del servizio idrico, attraverso l’esclusione dei privati dalla futura gestione e favorendo la costruzione di una società in house, coerentemente con gli indirizzi espressi dai cittadini e dalle cittadine italiane in occasione del referendum del 2011. Da mandato pertanto al nuovo Comitato Politico Federale ed alla nuova Segreteria per intraprendere le necessarie azioni politiche, di concerto con i movimenti e con i rappresentanti istituzionali del Partito e quelli delle liste sostenute dal Partito.
Congresso Provinciale di Rifondazione Comunista Firenze
18 e 19 gennaio 2025
Ordine del giorno L’impegno politico e sociale, contraddistinto da tenacia e generosità, di Anna Nocentini è riconosciuto da tutte le realtà che ha attraversato. Impegno in difesa della salute, dei diritti dei lavoratori, della parità di genere, in favore degli immigrati e contro la povertà. In riconoscimento quindi della sua azione condotta con intelligenza, premura e coinvolgimento proponiamo al Congresso provinciale quanto gi votato all’unanimità dal Congresso del Circolo Firenze Università, cioè di rinominare lo stesso: “Circolo Firenze Università – Anna Nocentini”. Firmatari Monica Sgherri Luciano Malavasi John Gilbert
SOLIDARIETÀ PER LE MANIFESTANTI E I MANIFESTANTI TUTTƏ CHE A BRESCIA HANNO SUBITO UN FERMO INTIMIDATORIO DI 7 ORE IN QUESTURA, CON TRATTAMENTI LESIVI DELLA DIGNITÀ PERSONALE Esprimiamo solidarietà per i fatti avvenuti a Brescia lo scorso 13 gennaio, per quanto è accaduto a 23 attiviste, attivisti e attivistə di Extinction Rebellion, Ultima Generazione e Palestina Libera. Queste persone, durante un sit-in pacifico davanti ai cancelli della Leonardo Spa sono state identificate e tenute in Questura per ben 7 ore. Stavano manifestando, per chiedere allo Stato italiano e alla società produttrice di armamenti, di interrompere la complicità del genocidio palestinese e dei crimini di guerra contro l’umanità che si stanno consumando a Gaza. Si tratta di un’azione che può essere riconosciuta solo come intimidatoria. Non solo, le donne e le persone femminilizzate sono state costrette a spogliarsi e a fare flessioni umilianti (squat) per dei controlli. Alcune persone fermate, poi, sono state denunciate arbitrariamente per “adunanza sediziosa”, accusandole di “accensioni ed esplosioni pericolose” (per aver acceso fumogeni), o per imbrattamento (ad esempio, per aver scritto su un muro “Palestina libera”). Ad altre è stato consegnato un foglio di via. Quanto accaduto dimostra come il governo attuale, così come con la proposta del DL1660 denominata “Decreto Sicurezza”, intenda aYrontare il dissenso pacifico. La lesione del diritto a manifestare pacificamente le proprie opinioni non può che trovare la nostra solidarietà. Combatteremo con tutte le nostre forze, qualsiasi lesione al diritto democratico.
Aumentano le tensioni in Cisgiordania mentre continua l’assedio di Jenin da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese La mortale operazione militare dell’Autorità Nazionale Palestinese a Jenin continua ad alimentare le fiamme delle tensioni interne in Cisgiordania. Nel frattempo, i leader israeliani chiedono operazioni “simili a quelle di Gaza” in Cisgiordania e di tagliare tutti i legami con l’Autorità Nazionale Palestinese. Di Mondoweiss Palestine Bureau 8 gennaio 2025
Le forze di sicurezza palestinesi si radunano nel luogo di una protesta contro gli scontri tra le forze di sicurezza palestinesi e i militanti nella città di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale occupata, il 21 dicembre 2024. (Foto: Mohammed Nasser/APA Images) Le forze di sicurezza palestinesi si radunano nel luogo di una protesta contro gli scontri tra le forze di sicurezza palestinesi e i militanti nella città di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale occupata, il 21 dicembre 2024. La Cisgiordania occupata è tornata alla ribalta nelle ultime settimane, poiché le tensioni alimentate sia da Israele che dall’Autorità Nazionale Palestinese minacciano di destabilizzare una situazione già instabile nel territorio.
Martedì, le tensioni sono esplose dopo l’uccisione di tre israeliani e il ferimento di otto in un attacco con sparatoria nei pressi di Qalqilya, nel nord-est del territorio palestinese. La sparatoria ha provocato una serie di reazioni israeliane, con funzionari di alto rango che hanno chiesto azioni militari israeliane su larga scala “simili a Gaza” in Cisgiordania.
Dopo la sparatoria nei pressi di Qalqilya, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ha dichiarato che Israele dovrebbe “passare dalla difesa all’offensiva” in Cisgiordania, aggiungendo che “Jenin e Nablus devono assomigliare a Jabalia in modo che Kfar Saba non assomigli a Kfar Azza”. Jabalia è la città nel nord di Gaza che è stata oggetto di una massiccia campagna di pulizia etnica da parte dell’esercito israeliano alla fine dell’anno scorso, con conseguente spopolamento quasi totale dell’area, distruzione diffusa e uccisione e rapimento di centinaia di persone. Kfar Saba è una città nel centro di Israele, e Kfra Azza è il kibbutz israeliano nel sud che è stato attaccato il 7 ottobre 2023.
Il ministro della sicurezza nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha commentato la sparatoria a Qalqilya dicendo che “coloro che cercano di porre fine alla guerra a Gaza avranno una guerra in Cisgiordania”, e ha chiesto di “tagliare tutti i legami con l’Autorità Nazionale Palestinese”, che secondo lui “sostiene il terrore”.
Il capo dei consigli degli insediamenti israeliani, Yossi Dagan, ha invitato l’esercito israeliano ad aumentare la repressione dei palestinesi, sostenendo che “se l’esercito avesse isolato Nablus e ispezionato ogni persona che entrava e usciva, l’attacco non sarebbe avvenuto”, invitando lo stato di Israele a “confiscare tutte le armi palestinesi e combattere Abu Mazen [il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese] che permette questi atti”.
Lunedì, il governo israeliano si è riunito per discutere della situazione in Cisgiordania, su richiesta di Bezalel Smotrich. Dopo l’incontro, l’ufficio del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha annunciato che Netanyahu aveva approvato “nuove misure di difesa e attacco in Cisgiordania”. Il ministro della guerra israeliano Yizrael Katz ha anche affermato che Israele “non tollererà una realtà in Cisgiordania simile a quella di Gaza”, aggiungendo che l’esercito israeliano “condurrà ampie operazioni nelle città [palestinesi] da cui provengono i terroristi”.
Israele sta portando avanti grandi offensive militari in Cisgiordania, in particolare nella sua parte settentrionale, da più di tre anni. Tuttavia, queste nuove minacce sono particolarmente allarmanti in quanto giungono solo due settimane prima dell’insediamento dell’amministrazione Trump, ritenuta a sostegno dei piani israeliani di annettere la Cisgiordania. A novembre, Smotrich ha affermato che il 2025 sarà l’anno dell’annessione della Cisgiordania da parte di Israele .
L’Autorità Nazionale Palestinese continua l’operazione mortale di Jenin Le richieste israeliane di intensificare le tensioni in Cisgiordania giungono nel contesto di una campagna militare in corso da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’organismo che ha un governo limitato in alcune aree della Cisgiordania, contro i gruppi di resistenza armata palestinese nel campo profughi di Jenin.
Gli scontri tra le Forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (PASF) e i combattenti della Brigata Jenin hanno finora causato la morte di 14 palestinesi, tra cui sei membri delle PASF, un combattente della Brigata Jenin e sette civili, tra cui bambini e un giornalista . Durante la sua operazione, che l’AP ha lanciato all’inizio di dicembre 2024, ha tagliato l’elettricità e l’acqua al campo, suscitando reazioni negative da parte dei residenti e dei combattenti della resistenza, che hanno accusato l’AP di “imporre un assedio” a Jenin. Il portavoce delle forze di sicurezza dell’AP, Anwar Rajab, ha respinto le accuse, affermando che “la circolazione dentro e fuori dal campo” continua normalmente e ha accusato i combattenti della Brigata Jenin di aver sparato alle squadre di manutenzione dell’elettricità e dell’acqua.
“Stiamo vivendo da un mese senza elettricità”, ha detto a Mondoweiss un residente del campo di Jenin che ha chiesto l’anonimato . “La gente si riunisce di notte attorno alle stufe, mentre alcuni giovani cercano di allungare i cavi elettrici dai pali fuori dal campo”, hanno descritto. “Gli scontri scoppiano all’improvviso e poi si calmano, ma la gente preferisce restare in casa per evitare il fuoco vagante, ed evitano di salire sul tetto dopo che un uomo e suo figlio sono stati colpiti sul tetto di casa”.
“Molte persone hanno lasciato completamente il campo, e solo coloro che non hanno parenti fuori dal campo sono rimasti”, hanno continuato. “Io stesso sono andato a casa di mia zia in città, e quando sono tornato al campo per controllare la casa, le forze di sicurezza dell’AP hanno ispezionato il mio documento di identità e lo hanno conservato prima di farmi entrare, e me l’hanno restituito quando sono tornato per lasciare di nuovo il campo”, hanno detto. “La vita all’interno del campo è paralizzata, tutto è chiuso, e coloro che possono andarsene se ne vanno”, hanno aggiunto.
Secondo il comitato dei servizi popolari del campo di Jenin, circa 3.000 dei 15.000 residenti del campo se ne sono andati a causa dei combattimenti. Tali esodi di massa dal campo sono stati precedentemente osservati durante operazioni simili della durata di giorni da parte dell’esercito israeliano , che attacca frequentemente Jenin e il campo profughi per colpire i combattenti della resistenza lì.
L’escalation degli eventi a Jenin ha aumentato le tensioni in Cisgiordania, con i palestinesi indignati per le azioni dell’AP. Sui social media, molti palestinesi hanno definito l’operazione “una vergogna” e accusato l’AP di combattere la resistenza per guadagni politici, sia per rendersi rilevante per la futura amministrazione Trump, sia per Israele, al fine di mantenere un certo potere in Cisgiordania sotto una potenziale annessione, o nella governance postbellica a Gaza.
L’AP, da parte sua, ha continuato a insistere sul fatto che la sua operazione è volta a “riprendere il campo di Jenin dagli elementi fuorilegge” e “impedire di trasformare la Cisgiordania in Gaza”. Il portavoce dell’APSF Anwar Rajab ha anche affermato che “i fuorilegge di Jenin vogliono indebolire l’AP per soddisfare le agende regionali e distruggere il progetto nazionale palestinese”.
Nel frattempo, l’AP ha esteso la sua repressione ad altre aree della Cisgiordania, conducendo una serie di arresti in Cisgiordania, prendendo di mira i combattenti della resistenza e i cittadini palestinesi che hanno criticato l’operazione dell’AP a Jenin. Ammar Dweik, il capo della Commissione indipendente palestinese per i diritti umani, l’organismo ufficiale di controllo dei diritti umani palestinese, ha affermato domenica che ci sono stati “almeno 150 arresti, alcuni dei quali di membri della Brigata di Jenin, ma alcuni di loro familiari”. Dweik ha anche affermato che ci sono state segnalazioni di maltrattamenti di detenuti documentati in filmati.
L’AP ha anche ordinato la chiusura dell’ufficio di Al-Jazeera a Ramallah e ne ha vietato le attività nei territori controllati dall’AP. La mossa ampiamente criticata è avvenuta dopo che il canale ha trasmesso una copertura critica dell’operazione Jenin dell’AP. Dopo il divieto, che è stato paragonato a una chiusura simile di Al Jazeera da parte di Israele l’anno scorso , i provider Internet palestinesi hanno bloccato lo streaming di Al Jazeera dai loro servizi in conformità con l’ordine dell’AP. La decisione ha ricevuto reazioni negative dai media locali e internazionali e dalle organizzazioni per i diritti umani, tra cui Reporter senza frontiere, il Palestinian Human Rights Center e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
In risposta alla repressione dell’AP, la commissione per i diritti umani ha chiesto all’AP di aprire un’indagine su tutti i casi di palestinesi uccisi a Jenin da entrambe le parti e di divulgarne i risultati al pubblico. Nel frattempo, una coalizione di partiti politici palestinesi, organismi della società civile, sindacati e personaggi pubblici, tra cui alcuni membri di Fatah, il partito al governo dell’AP, ha lanciato un’“iniziativa sociale” per porre fine alla crisi a Jenin, invitando entrambe le parti a mostrare autocontrollo e a ricorrere al dialogo. L’iniziativa ha presentato una proposta per un “dialogo nazionale olistico” per contenere la crisi e impedirne l’espansione ad altre parti del territorio palestinese.
L’escalation interna palestinese a Jenin arriva sulla scia di diversi anni di crescenti tensioni sociali in Cisgiordania. Mentre i gruppi di resistenza armata in Cisgiordania, che hanno visto una rinascita negli ultimi tre anni, hanno ricevuto un ampio sostegno pubblico e popolarità, l’AP ha assistito al contrario. L’AP è diventata sempre più impopolare , in parte a causa di politiche come il coordinamento della sicurezza con Israele. Gli atteggiamenti sfavorevoli nei confronti dell’autorità sono cresciuti solo dal 7 ottobre 2023, e ciò che è stato percepito come inazione dall’AP per fermare il massacro dei palestinesi a Gaza.
Le tensioni interne in Cisgiordania sono state solo esacerbate dalle minacce israeliane di annessione e dall’aumento della violenza contro i palestinesi, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese aumenta i suoi sforzi. Dall’inizio del genocidio israeliano a Gaza, nell’ottobre 2023, le forze e i coloni israeliani hanno ucciso almeno 821 palestinesi, mentre i coloni israeliani hanno sfollato circa 25 comunità beduine palestinesi nelle aree rurali della Cisgiordania. Questo invito annuale all’azione è particolarmente urgente quest’anno per due motivi:
1) La collaborazione dell’infida Autorità Nazionale Palestinese, che infligge repressione al popolo palestinese per mantenere la propria posizione di privilegio e collaborazione con l’entità sionista. Con i finanziamenti e il sostegno delle potenze imperialiste, questo ha accelerato in modo particolarmente pericoloso nel contesto del genocidio in corso. Dal 7 ottobre 2023, l’Autorità Nazionale Palestinese ha tolto la vita a 18 martiri palestinesi e sta attualmente conducendo un assedio continuo contro la resistenza nel campo di Jenin. Continua a imprigionare decine di prigionieri politici palestinesi, tra cui studenti palestinesi, mentre spara alle forze di resistenza che difendono la terra palestinese.
2) Questo è un momento urgente per il potenziale scambio di prigionieri ricercato dalla Resistenza palestinese. Contrariamente alla propaganda sionista e imperialista, la Resistenza è la forza primaria che cerca uno scambio di prigionieri significativo combinato con il ritiro completo delle forze sioniste genocide dalla Striscia di Gaza. Una delle massime priorità dello scambio di prigionieri è il rilascio dei leader della resistenza detenuti nelle prigioni sioniste, con condanne elevate, che il regime ha rifiutato di rilasciare negli scambi passati, tra cui Ahmad Sa’adat, Marwan Barghouti, Abdullah Barghouti, Abbas al-Sayyed, Hassan Salameh, Ibrahim Hamed, Mahmoud al-Ardah e altri.
I prigionieri palestinesi sono leader della Resistenza, in prima linea per la giustizia e la liberazione, che sopportano scioperi della fame e lottano senza sosta con una volontà incrollabile verso la libertà in mezzo alle condizioni più terribili di tortura, abusi, negligenza medica e uccisioni deliberate. Dall’ottobre 2023, stanno affrontando una violenza esponenziale da parte dei sionisti, una violenza che ha portato al martirio di oltre 50 prigionieri palestinesi, con violenza estrema rivolta in particolare contro il numero imprecisato di palestinesi di Gaza rapiti dall’occupazione e detenuti in famigerati campi di tortura come Sde Teiman.
Ahmad Sa’adat è un leader del movimento dei prigionieri palestinesi e del movimento di liberazione nazionale palestinese, nonché un simbolo palestinese, arabo e internazionale della resistenza al sionismo, al capitalismo, al razzismo, all’apartheid e alla colonizzazione. Preso di mira per il suo ruolo politico e la sua chiarezza di visione, rimane intatto e intatto, nonostante l’oppressione imposta a lui e a migliaia di altri prigionieri politici palestinesi.
A 23 anni dal suo arresto, è giunto il momento della libertà per Ahmad Sa’adat, per i suoi compagni leader della Resistenza e per tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri sioniste, imperialiste, reazionarie e dell’Autorità Nazionale Palestinese.
32 anni dopo Oslo, è giunto il momento di denunciare la cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese e di denunciare il suo “coordinamento della sicurezza” e il tradimento nei confronti del popolo palestinese, nel campo di Jenin e ovunque.
76 anni dopo la Nakba, è giunto il momento della liberazione della Palestina, dal fiume al mare!
Chiediamo una settimana internazionale di azioni dal 15 al 22 gennaio, chiedendo la liberazione di Ahmad Sa’adat e dei suoi compagni leader della resistenza, avanzando la richiesta di uno scambio di prigionieri e la fine del genocidio a Gaza e in tutta la Palestina occupata, e sottolineando il ruolo malevolo dell'”Autorità Palestinese” nella lotta di liberazione palestinese. Agisci per intensificare l’escalation contro l’entità coloniale genocida sionista, organizza per la giustizia in Palestina ! Cosa puoi fare a livello locale?
Sostieni la settimana di azione per la liberazione di Ahmad Sa’adat e di tutti i prigionieri palestinesi. Educa attraverso le tue reti: organizza una discussione sui leader della Resistenza e sui prigionieri politici, condividi risorse su Ahmad Sa’adat e sui prigionieri palestinesi sui social media e nella tua comunità Organizza o unisciti a una protesta o manifestazione contro il genocidio sionista-imperialista in corso in Palestina con un contingente, cartelli o striscioni per Ahmad Sa’adat e i prigionieri palestinesi Organizzare una manifestazione presso l’ambasciata dell’Autorità Nazionale Palestinese o in un luogo simile per chiedere la fine delle offensive dell’Autorità Nazionale Palestinese nel campo di Jenin e in tutta la Cisgiordania contro il popolo e la resistenza. Organizza un evento, una protesta, uno stand didattico o un incontro per scrivere lettere durante la Settimana d’azione. Organizza eventi, azioni e proteste per chiedere la libertà per Ahmad Sa’adat e tutti i prigionieri palestinesi. Protesta in spazi pubblici, campus e spazi comunitari. Partecipa alla campagna sui social media. Pubblica una foto o un messaggio video che chiede la libertà per Ahmad Sa’adat e i suoi compagni prigionieri palestinesi. Sostieni la liberazione di Abla Sa’adat, la moglie di Ahmad, imprigionata dal settembre 2024. Usa gli hashtag #freeallpalestinianprisoners, #freeahmadsaadat “La lotta palestinese per la liberazione nazionale è parte integrante del movimento internazionale dei popoli per la liberazione nazionale, la giustizia razziale ed economica internazionale e la fine dell’occupazione, del colonialismo e dell’imperialismo”. – Ahmad Sa’adat
Cosa sta succedendo a Jenin?: L’operazione dell’Autorità Nazionale Palestinese per reprimere la resistenza palestinese L’Autorità Nazionale Palestinese è nel mezzo di un’operazione mortale che, a suo dire, è volta a “ripristinare la legge e l’ordine” nel campo profughi di Jenin, sede della Brigata Jenin. Ma mentre l’Autorità Nazionale Palestinese cerca di affermare il suo controllo, potrebbe rischiare di indebolire se stessa nel processo. Di Qassam Muaddi 17 dicembre 2024 1
Le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (PA) pattugliano Jenin nella Cisgiordania occupata da Israele il 16 dicembre 2024. La città di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, è stata teatro di intensa violenza per diversi giorni dopo che l’PA, che coordina le questioni di sicurezza con Israele, aveva arrestato diversi militanti, provocando scontri con i gruppi di resistenza armata locali. L’Autorità Nazionale Palestinese ha continuato la sua operazione militare nel campo profughi di Jenin per il quarto giorno consecutivo martedì, scontrandosi con i combattenti della resistenza palestinese locale . L’operazione, lanciata sabato scorso, ha finora causato la morte di due palestinesi, un ragazzino e un combattente della Brigata Jenin, il gruppo di resistenza locale di Jenin, ricercato dalle forze israeliane. Anche diversi ufficiali di sicurezza palestinesi sono rimasti feriti.
Le tensioni si sono accumulate tra i combattenti di Jenin e le forze di sicurezza palestinesi dalla scorsa settimana, quando i combattenti di Jenin hanno fermato due veicoli della polizia palestinese e li hanno confiscati, in segno di protesta contro un’ondata di arresti dei loro membri da parte delle forze di sicurezza palestinesi. La sicurezza palestinese ha quindi sigillato il campo profughi, il che ha portato a uno scoppio di scontri tra entrambe le parti.
Il portavoce delle forze di sicurezza palestinesi, Anwar Rajab, ha affermato che l’operazione “mira a riprendere il campo di Jenin da elementi al di fuori della legge che hanno privato i cittadini della loro sicurezza e del loro diritto di accedere ai servizi pubblici”. Da parte sua, il portavoce della Brigata Jenin, che ha nascosto la sua identità, ha detto ad Al Jazeera che lui e i suoi uomini “non sono fuorilegge, siamo per l’attuazione della legge, ma dov’è la legge quando l’esercito israeliano viene ad arrestarci?” aggiungendo che “l’Autorità Nazionale Palestinese vuole che Jenin sia disarmata”.
“Cosa deve fare l’occupazione affinché l’Autorità Nazionale Palestinese capisca che deve dirigere le sue armi contro l’occupazione, piuttosto che contro il suo stesso popolo?” ha detto lunedì il portavoce della Jihad Islamica Palestinese, Mohammad Mousa, in un dibattito con il portavoce delle forze di sicurezza palestinesi Anwar Rajab su Al Jazeera. “I combattenti della resistenza sono i figli del campo, che difendono se stessi, le loro famiglie e la loro comunità, in assenza di qualcuno che li difenda, e non hanno mai alzato un’arma contro il loro stesso popolo o contro l’Autorità Nazionale Palestinese”, ha detto Mousa.
“Non permetteremo ad Hamas e alla Jihad islamica di trascinarci in uno scontro totale con Israele, che porterà alla distruzione del nostro popolo”, ha risposto Anwar Rajab. “Vuoi che noi [in Cisgiordania] vediamo lo stesso destino di Gaza?” ha continuato. “Non permetteremo a forze esterne di distruggere il nostro progetto nazionale prendendo di mira la Cisgiordania tramite mercenari pagati, e le nostre forze di sicurezza continueranno a dare la caccia a quei mercenari che ricevono un sostegno sospetto”, ha detto, a cui Mousa ha risposto chiedendo se “difendere se stessi e il proprio paese è un atto sospetto?”
Contrariamente alle dichiarazioni di Rajab che definiscono i combattenti della resistenza come “mercenari” con mezzi di sostentamento “sospetti” che hanno “privato i cittadini” della loro sicurezza, i residenti del campo di Jenin hanno storicamente espresso apertamente il loro sostegno ai gruppi di resistenza armata locali.
Sebbene entrambe le posizioni si siano scontrate per anni in Cisgiordania, è la prima volta che il conflitto si è intensificato a un livello così violento ed esplicito. La Brigata Jenin è stata formata alla fine del 2021 da un piccolo gruppo di militanti di diverse affiliazioni politiche, a seguito di ripetuti raid israeliani, soprattutto dopo la cattura di due dei sei fuggitivi dalla prigione israeliana di massima sicurezza di Gilboa a Jenin, nel settembre dello stesso anno. La Brigata è cresciuta di dimensioni e ha presto iniziato a rilasciare le sue dichiarazioni come una branca di “Saraya Al-Quds”, o Battaglioni di Gerusalemme, l’ala armata della Jihad islamica.
Il modello di resistenza armata a Jenin ha trovato profonda risonanza tra i palestinesi della Cisgiordania, tanto che lo stesso modello è stato replicato in altre città della Cisgiordania settentrionale, come Tulkarem , Tubas e Nablus , dove le brigate locali hanno iniziato ad aumentare i loro scontri armati contro le forze israeliane invasori, che sono cresciuti in frequenza e violenza negli ultimi anni. Nel luglio 2022, Israele ha impiegato droni armati per colpire i combattenti palestinesi a Jenin, in un primo attacco aereo in Cisgiordania in più di 20 anni. I raid israeliani includevano enormi bulldozer militari che hanno distrutto le infrastrutture del campo, dalle condutture idriche alle reti elettriche, ai monumenti pubblici.
Nel tentativo di contrastare l’ascesa di questi gruppi, l’Autorità Nazionale Palestinese, che mantiene il coordinamento della sicurezza con Israele, ha cercato di convincere i combattenti palestinesi a consegnare le armi, in cambio della negoziazione della loro amnistia con Israele e della ricezione di somme di denaro e lavori nel servizio pubblico. Solo un numero molto esiguo di combattenti ha accettato le offerte e i gruppi di resistenza sono cresciuti in dimensioni ed esperienza.
Domenica, Axios ha riferito che gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di consentire l’assistenza militare all’Autorità Nazionale Palestinese nel corso della sua operazione in corso a Jenin. Sia gli osservatori arabi che quelli israeliani hanno considerato l’operazione dell’Autorità Nazionale Palestinese come un tentativo di dimostrare la sua capacità di controllare la Cisgiordania prima dell’insediamento di Trump, soprattutto nel mezzo dei preparativi segnalati da Israele per “uno scenario estremo” in Cisgiordania, che includerebbe “lo smantellamento dell’Autorità Nazionale Palestinese e un’ondata di violenza”, secondo il quotidiano israeliano ‘Israel Hayom’, che cita fonti dell’esercito israeliano.
Secondo altri analisti , l’AP ha agito in seguito ai timori che i militanti palestinesi avrebbero tratto ispirazione dal crollo del regime siriano e avrebbero cercato di rovesciare l’AP. Queste speculazioni giungono nonostante il fatto che i gruppi di resistenza palestinesi abbiano raramente avviato uno scontro con le forze dell’AP, concentrando i loro sforzi principalmente sul confronto con le forze israeliane.
Analisi: quale relazione c’è tra l’operazione Jenin e Gaza? La tempistica dell’operazione dell’Autorità Nazionale Palestinese a Jenin non può essere dissociata dai segnalati progressi nei colloqui di cessate il fuoco a Gaza tra Israele e Hamas, soprattutto alla luce delle segnalazioni di pressioni da parte di Donald Trump affinché concluda un accordo per liberare i prigionieri israeliani a Gaza prima del suo insediamento.
Nelle ultime settimane, l’AP ha tenuto colloqui con Hamas e il resto delle fazioni palestinesi al Cairo, contemporaneamente ai colloqui indiretti di Hamas con Israele per raggiungere un accordo sul tema dell’amministrazione di Gaza dopo la guerra. Sia Hamas che Fatah, il partito al governo dell’AP, hanno concordato di formare un comitato tecnocratico indipendente per ricevere e amministrare gli aiuti per la ricostruzione a Gaza e supervisionare gli sforzi di ricostruzione e gli affari quotidiani nella striscia.
Nel frattempo, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas ha nominato suo successore il capo del Consiglio Nazionale Palestinese, il massimo organo rappresentativo del popolo palestinese, per organizzare le elezioni nel caso in cui fosse fuori gioco.
Questi passi sono apparentemente in linea con le ripetute richieste degli Stati Uniti di vedere “un’Autorità Nazionale Palestinese rivitalizzata”, nel mezzo di una totale assenza di qualsiasi vera negoziazione di “pace” con Israele, che ha ampiamente influenzato la legittimità politica dell’ANP, poiché Israele ostenta apertamente i piani di annettere la Cisgiordania e dichiara a voce alta il suo palese rifiuto di uno stato palestinese.
Domenica, fonti israeliane hanno riferito che i responsabili dei consigli di insediamento israeliani in Cisgiordania hanno presentato una richiesta al governo israeliano prima della sua riunione settimanale, chiedendo di implementare lo stesso modello di azione praticato da Israele a Gaza in Cisgiordania, in particolare lo spostamento forzato dei campi profughi e le grandi operazioni militari contro i gruppi di resistenza palestinesi. All’inizio della scorsa settimana, i commentatori israeliani sul canale 14 di Israele hanno discusso pubblicamente la possibilità di implementare il modello di Gaza in Cisgiordania, dopo aver visto le immagini dei combattenti di Jenin che confiscavano i veicoli della polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Con questi sviluppi, e nel mezzo della perdita di influenza politica dell’Autorità Nazionale Palestinese, sembra che i suoi leader vogliano allo stesso tempo dimostrare la loro capacità di controllare la sicurezza nella Striscia di Gaza dopo la guerra e in Cisgiordania negli anni a venire sotto un’amministrazione Trump favorevole all’annessione.
Il punto cieco della strategia dell’ANP, tuttavia, risiede nelle tensioni interne palestinesi, che non faranno che aumentare man mano che i civili in Cisgiordania (generalmente favorevoli ai gruppi di resistenza armata come la Brigata di Jenin e sfavorevoli all’ANP) osserveranno gli scontri che si svolgono a Jenin.
Mentre l’attuale dimostrazione di forza da parte dell’AP potrebbe farle guadagnare un po’ di tempo e rilevanza, probabilmente non le restituirà la forza politica che cerca, che può riguadagnare solo sostenendo, sia a parole che nei fatti, una posizione unita palestinese contro l’occupazione e il genocidio di Israele. E per fare ciò, ha bisogno di avere tutti i palestinesi dalla sua parte, cosa che probabilmente non si otterrà con la sua attuale strategia a Jenin.
TUTTI I RISCHI DEL DEPOSITO ENI DI CALENZANO di Gian Luca Garetti / La Città Invisibile del 3 Novembre 2020
Intervista a Maurizio Marchi, Medicina Democratica
Quali sono secondo te i possibili rischi collegati a questa struttura? incidenti rilevanti, sversamenti di sostanze tossiche nelle acque sotterranee, impatti ambientali?
I principali rischi sono: 🚩 incidenti catastrofici (esplosioni, anche a catena, incendi)
sversamenti “silenziosi”, prolungati nel tempo. a danno delle falde idriche
l’impatto sulla salute dei lavoratori e dei cittadini circostanti gli impianti
Comunicato Stampa: Smentita delle notizie sull’apertura di un “fronte curdo” contro l’Esercito Arabo Siriano In merito alle notizie diffuse il 4 dicembre da diverse agenzie stampa, tra cui Reuters, riguardo l’apertura di un secondo fronte da parte delle Forze della Siria Democratica (SDF) contro l’Esercito Arabo Siriano (SAA) e il governo di Bashar al-Assad, desideriamo fare chiarezza sulla situazione. Le dichiarazioni riportate sono infondate. Come già annunciato dal Consiglio Militare di Deir Ezzor il 3 dicembre, le SDF hanno intrapreso azioni preventive per proteggere i villaggi di Salhiya, Tabia, Hatla, Kasham, Marrat, Mazloum e Husseiniya, situati sulla sponda est dell’Eufrate. Questa decisione è stata presa su richiesta della popolazione locale, con l’obiettivo di prevenire una possibile escalation delle attività di ISIS nell’area che, in questi giorni come in passato, stanno approfittando delle opportunità fornite loro dagli attacchi dello stato turco per organizzare operazioni significative. È importante sottolineare che l’ISIS può contare su una vasta rete di cellule nelle zone limitrofe controllate dalle forze del regime siriano che hanno eseguito innumerevoli imboscate e omicidi. l’SAA non è in grado di garantire la sicurezza, come testimoniato dagli eventi recenti di Aleppo. Le SDF, come sempre, continuano a concentrarsi sulla lotta contro l’ISIS e la difesa delle popolazioni locali, e non hanno aperto alcun fronte contro l’esercito siriano, ma piuttosto sono intervenute in un contesto di crescente minaccia. Ogni azione intrapresa dalle SDF ha avuto come obiettivo esclusivo la protezione della sicurezza della regione e dei suoi abitanti. Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia
Dopo “ DIETRO I FRONTI “ e “SUMUD”, le edizioni Sensibili alle foglie ci porta, attraverso Samah Jabr con “ IL TEMPO DEL GENOCIDIO “, dentro ciò che l’entità sionista sta compiendo nei confronti del popolo palestinese. Dire che quanto avviene è un qualcosa di mai accaduto prima, che ci fa restare frustrati ed inadeguati, che non possiamo accettare che ancora qualcuno possa dire :“non lo sapevo”; dire:“cos’altro deve accadere per scuotere la coscienza collettiva?”; voltarsi dall’altra parte, tutto questo è certamente giusto.
Allo stesso tempo leggere il contributo di Samah ci rende ancor di più consapevoli del fatto che la solidarietà internazionale verso i palestinesi è quanto mai necessaria ed indispensabile; che la solidarietà verso il popolo palestinese è terapeutica per tutti noi, è un imperativo morale ed etico, che la loro resistenza è sostegno ed aiuto anche per noi, e coniugare questi due aspetti può essere un percorso proficuo per mettere fine alla più lunga e sanguinosa occupazione attualmente in corso, la solidarietà rende i palestinesi consapevoli del non sentirsi soli.
La solidarietà ha un potere curativo reciproco. L’essere impegnata nel campo della psichiatria, Samah dirige l’unità di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese, fa sì che quanto descritto sia inserito in un contesto storico di quanto avviene. Se vi è ancora bisogno di capire che quanto ci viene raccontato dalla propaganda di guerra: “tutto è iniziato il 7 ottobre” è pura demagogia utile solo a far schierare l’opinione pubblica a sostegno dell’entità sionista delle complicità occidentali, leggere “Il tempo del genocidio” ci permette, con una descrizione lucida, di valorizzare ulteriormente il perché ci schieriamo da una parte, quella di chi non accetta di vivere da schiavi e si ribella, nonostante che Gaza venga lasciata morire. Poco sopra dicevo della sua descrizione lucida, ma mi sento di aggiungere che niente concede. Lei, del ministero della sanità palestinese, non si sottrae, con un notevole pensiero critico, al criticare quanto di negativo si annidi all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese, dall’illusione degli accordi di Oslo alla conseguente delusione, e del vivere quotidiano in Palestina, con il patriarcato, il sessismo, andando al di là dell’occupazione. Un popolo, quello palestinese, che è stretto tra il sopravvivere e la resa all’oppressore. Samah è ben cosciente del suo contributo alla lotta di liberazione e del volerne dare mano.
Samah ci rende chiaro, in tutto e per tutto, cosa significhi Gaza: una prigione a cielo aperto con le sue infrastrutture deteriorate, le strade distrutte, gli spazi abitativi sovraffollati, la povertà, l’anemia, l’insicurezza alimentare, l’assenza di carburante, di elettricità, di assistenza sanitaria, dove dire: “non ci sono luoghi sicuri” è la normalità e nei volti di chi sta sopravvivendo è fotografata la schiavitù moderna, dove si va accentuando il consumo di droghe e l’abbandono scolastico con tutto ciò che comporta, i suicidi in aumento e la perdita di un positivo desiderio tra i giovani. Samah usa la lente della psichiatria per leggere lo stato d’animo degli oppressi, mette mano a Fanon, entra dentro i meandri della salute fisica e mentale dei palestinesi, quello che i palestinesi vivono è un trauma psicologico e collettivo che è il risultato di decenni di oppressione, di violenza, umiliazione, ingiustizia. Detto questo, ovviamente Samah non può non riconoscersi nel diritto di un popolo occupato a resistere. Un diritto sia legale dal punto di vista della legge internazionale e sia un diritto umano basilare, perché dove c’è oppressione ci sarà sempre resistenza. A proposito di resistenza, Samah evidenzia il significato dello sciopero della fame portato avanti dai prigionieri politici palestinesi come ultimo tentativo di opporsi alla sopraffazione.
L’aspetto che più dobbiamo far emergere dalla lettura di queste pagine, e lo vediamo in questi lunghissimi mesi, è che i palestinesi non si considerano assolutamente vittime ma soggetti attivi e combattenti per la libertà, terminologia che piacerà sicuramente agli statunitensi come il passato ci insegna. Quanto avviene in Palestina non è la «guerra» che ci viene propinata, ma bensì la guerra alla storia palestinese, è parte della guerra alle menti, la continua, e per certi versi silenziosa pulizia etnica per riscrivere la storia. Non è un caso che l’occupazione scelga di distruggere i simboli che sono psicologicamente importanti per la resistenza e la memoria collettiva, in un odioso tentativo di memoricidio.
Ma l’occupazione non fa uso solo di questo; la fame come arma di guerra; la distruzione delle infrastrutture essenziali, del sistema sanitario, la carestia per compromettere lo sviluppo mentale e fisico dei bambini, le sepolture negate come arma psicologica per immettere una sensazione di impotenza in coloro i quali la subiscono, il sopravvivere che se può sembrare un qualcosa di positivo, in realtà è un qualcosa che trasmette profondo disagio psicologico; la tortura, attraverso le finte fucilazioni, la detenzione in condizioni umilianti e degradanti, la privazione del sonno ecc … con i traumi fisici e psicologici che trasmette per spezzare la resistenza e creare impotenza, far perdere la stima di sé e creare un clima di diffidenza all’interno della comunità di appartenenza, il bendare gli occhi non solo per non identificare i torturatori ma come deprivazione sensoriale creando, così, gravi problemi di salute mentale e conseguenze traumatiche de umanizzando la vittima; le punizioni collettive privando la popolazione dei beni di prima necessità.
Quanti immagini abbiamo visto in questi mesi che ritraggono gli occupanti in modalità festeggiante dopo aver compiuto molteplici nefandezze, ebbene non siamo in presenza di killer psicopatici ma bensì di chi prova piacere e/o gratificazione psicologica nel dare ad altri dolore e/o sofferenza. All’inizio abbiamo parlato del 7 ottobre, non potevamo non farlo visto il continuo, assillante martellante, propinare la narrazione di quel fatto; ma se vogliamo dare una corretta lettura di quei fatti, perché non dire che si è passati dall’umiliazione alla vendetta contro tutto ciò che è palestinese. Certo l’esempio è palestinese, ma la lezione non può che essere globale. Quanto avviene in Palestina è una lotta che non potrà che proseguire fino a quando la Palestina non sarà libera ed arrivare a far sì che le tendenze sadiche dell’occupante siano rimosse e trionfi l’umanità di coloro che lottano per la liberazione.
💥𝐔𝐧 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐢𝐭𝐨 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚: 𝐝𝐨𝐦𝐞𝐧𝐢𝐜𝐚 𝟏𝟕 𝐧𝐨𝐯𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞, 𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐡 𝟏𝟎.𝟑𝟎, 𝐏𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚 𝐏𝐨𝐠𝐠𝐢, 𝐅𝐢𝐫𝐞𝐧𝐳𝐞 💥Assemblea dell’azionariato popolare, rivisitazione di tre anni di lotta, evento di festa e rabbia.
🛠 Ogni azienda in crisi è una ragione in più per non perdere alla ex Gkn. Perché “loro” hanno bisogno di farci perdere, per continuare a dimostrare al mondo che non c’è alternativa. Che non c’è alternativa a licenziamenti, precariato, a una industria che ti lascia a casa disoccupato oppure ti chiama a produrre merda, con contratti di merda.
⚡E Abbiamo da spiegare, fare il punto, narrare, ricordare, denunciare, cantare, gridare. E il 17 novembre proveremo a farlo a modo nostro, facendo convergere il tutto.
👉 h A partire dalle h 10.30. E poi? Qualcosa di botto e senza senso? Dove? Piazza Poggi, Firenze, sotto la Torre di San Niccolò.
⛈ In caso di maltempo, sarà comunicato eventuale cambio di luogo sui canali social, su info Gkn, su insorgiamo.org
👉 PRENOTA LA TUA PRESENZA SUL FORM DI PARTECIPAZIONE ✍ https://forms.gle/aqHhzGfUsAyCrQNQ6
👊 h 10.30-15.30 Assemblea dell’azionariato popolare e della rete solidale e interventi artistici su tre anni di lotta.
🔥 Con (lista in aggiornamento): Kepler-452, Militanza Grafica, Benedetta Sabene (@non mi piaci), Francesca Coin, Christian Raimo Raimo, Gea Scancarello, Andrea Roventini, Wu Ming, Alberto Prunetti, Elio Germano, Niccolò Falsetti, @Francesco Turbanti, Emiliano Pagani, intervento di EMERGENCY, oltre naturalmente ad associazioni, organizzazioni sindacali e tutt_ le/gli azionisti popolari.
💣 Dalle 15.30, festa e rabbia (lista in aggiornamento…). Con Dutch Nazari, con Luca Sicket e Matteo Di Giuseppe, Gianluca Spirito, (Modena City Ramblers), Romanticismo Periferico, Errico Canta Male, ZULU 99 Posse Official, Mauràs, Gli Ultimi
Pagine Esteri, 8 novembre 2024. Il parlamento israeliano ha approvato, lo scorso 6 novembre, due leggi riguardanti nuove pene e misure detentive per i cittadini accusati di “terrorismo”, destinate cioè ai palestinesi con cittadinanza israeliana.
Le nuove norme permetteranno la deportazione di intere famiglie e la detenzione, anche con la pena dell’ergastolo, dei bambini sotto i 12 anni di età.
Le famiglie dei palestinesi d’Israele accusati di aver compiuto “atti di terrorismo” potranno infatti essere deportate al di fuori dello Stato ebraico, a Gaza o altrove. L’allontanamento forzato potrà durare dai 7 ai 15 anni per i cittadini israeliani e dai 10 ai 20 anni per i residenti.
Per applicare la nuova legge, le persone indicate dalle autorità di Tel Aviv come “agenti terroristici” non dovranno per forza di cose essere stati condannati ma basterà la formulazione dell’accusa o, addirittura, il sospetto durante la custodia sotto detenzione amministrativa. La norma consente, in questi casi, l’espulsione se si presume che un membro della famiglia sia a conoscenza o avrebbe dovuto conoscere un atto di terrorismo pianificato, lo abbia sostenuto o abbia espresso pubblicamente elogi, simpatia o incoraggiamento per l’atto. Le accuse di “terrorismo” sono rivolte agli arabi israeliani, mentre per i cittadini ebrei di Israele viene applicata la legge “standard”. Il sistema giuridico a due livelli applicato dai governi di Tel Aviv è al centro, da anni, di condanne e accuse da parte di numerose organizzazioni che si occupano di diritti umani e delle associazioni che monitorano nello specifico i diritti della comunità dei cittadini arabi di Israele.
A questi ultimi è destinata anche la seconda legge approvata mercoledì 6, dedicata nello specifico ai cittadini israeliani al di sotto dei 12 anni condannati per omicidio o tentato o tentato omicidio classificati come “atto di terrore” o collegati a una “organizzazione terroristica”. I bambini arabo-israeliani potranno ora essere detenuti e condannati all’ergastolo, mentre i minorenni ebrei israeliani sono sottoposti alle normali accuse e procedure penali, che escludono la detenzione per i minori di 14 anni (che possono essere ospitati in strutture di recupero) ed esentano i minori di 12 anni da qualsiasi tipo di responsabilità penale. Per i 12enni palestinesi dei territori occupati, al contrario, già sottoposti alla legge militare, è consentito l’arresto.
L’organizzazione indipendente per i diritti umani, il centro legale Adalah, ha dichiarato che la Knesset istituzionalizza politiche di apartheid: “Il recente passaggio di queste leggi segnala una pericolosa escalation nella repressione di Israele sui diritti palestinesi, inquadrata con il pretesto dell’antiterrorismo. Queste misure consentono allo Stato di punire collettivamente i palestinesi – sia cittadini di Israele che residenti di Gerusalemme Est occupata – autorizzando la deportazione di intere famiglie e sottoponendo minori di 12 anni a severe pene detentive. Queste leggi incarnano la punizione e la vendetta, come apertamente notato dai legislatori israeliani. Attraverso queste leggi, Israele radica ulteriormente il suo sistema giuridico a due livelli, con una serie di leggi per gli ebrei-israeliani sotto il diritto penale e un’altra, con diritti inferiori, per i palestinesi con il pretesto dell’antiterrorismo. Incorporando politiche simili all’apartheid nella legge, la Knesset ha ulteriormente istituzionalizzato l’oppressione sistemica, in violazione sia del diritto internazionale che dei diritti umani e costituzionali fondamentali”. Pagine Esteri
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