Circolo di Rifondazione Comunista di Firenze Sud – Galluzzo
Quest’anno l’11 agosto a Firenze si caratterizza assai giustamente nel sostegno agli operai GKN e, ovviamente, a tutti gli operai sottoposti ad attacco in numerose altre realtà, sebbene meno eclatanti dal punto di vista numerico.
Oggi più che mai quindi ricordare la liberazione dal fascismo significa anche lottare per la liberazione dal capitalismo che, è bene ricordarlo, si era annesso da subito il fascismo per utilizzarlo come braccio armato per reprimere un movimento operaio che stava assumendo dimensioni e forza eccezionali.
Vorrei quindi ricordare il periodo della resistenza a Firenze dal punto di vista delle fabbriche; sebbene posta al di fuori dell’allora “triangolo industriale”, Firenze era sede di almeno due delle fabbriche più importanti e all’avanguardia del paese, il Pignone e le Officine Galileo (per non parlare di una importante sede della FIAT). Ciò dava al movimento operario fiorentino una forza numerica e qualitativa ben superiore alla dimensione della città.
A partire dal 25 settembre 1943, anche Firenze non fu risparmiata dai bombardamenti. Essi miravano a colpire, in particolare, strade e le linee ferroviarie. I primi avevano interessato la zona di Campo di Marte per poi estendersi, nei mesi successivi, anche ad altre aree. Sabato 11 marzo 1944 era stata la volta di Careggi, del polo industriale di Rifredi e della zona di San Jacopino .
I bombardamenti quindi non avevano risparmiato neppure le fabbriche. Proprio in zona Rifredi erano situate alcune delle più importanti industrie cittadine: la Galileo, attiva nella produzione di materiali ottici, di puntamento e di apparecchiature elettriche per armamenti, che nel 1943 occupava più di 4.870 operai; la Pignone, da cui uscivano elmetti, macchinari, proiettili per marina e mine, la Superpila e la FIAT, a Novoli, che dava lavoro a 1.250 persone impiegate nella produzione di materiali per l’aviazione.
Fu proprio nei mesi che precedettero la ritirata dei tedeschi che emerse il malcontento degli operai, scandito dalle prime manifestazioni di dissenso. Se l’ubicazione geografica e la struttura sociale di Firenze, con agglomerati industriali più piccoli di quelli del Nord, l’avevano resa poco permeabile agli scioperi che nel marzo 1943 avevano avuto notevole successo a Torino e a Milano, ciò non vuol dire che anche nel capoluogo toscano non ci fossero segni di malcontento. I tedeschi, infatti, avevano continua necessità di produrre ed erano disposti anche a pagare somme molto alte, con grande vantaggio per gli industriali che, se da una parte incassavano di più, dall’altra tenevano comunque i salari degli operai bloccati, riducendone di giorno in giorno il potere di acquisto.
La prima mobilitazione antifascista iniziò a prendere corpo nei principali stabilimenti cittadini con la circolazione di opuscoli, fogli informativi e la raccolta di offerte a favore dei perseguitati politici e delle loro famiglie. Vennero anche messe in opera misure di sabotaggio della produzione, rallentando le fasi della lavorazione o creando pezzi fallati e incompleti.
Proprio durante l’estate 1943, su iniziativa del Partito Comunista, venne costituito a Rifredi, all’interno del locale Sottocomitato di Liberazione, il Comitato Settore industriale. Diretto dal comunista Mario Fabiani, futuro sindaco di Firenze, era formato da rappresentanti delle imprese più importanti. Sotto la spinta di questa forza di opposizione, nell’inverno fra il 1943 e il 1944, si susseguirono dimostrazioni e proteste generate dal peggioramento delle condizioni di vita. Le richieste dei lavoratori erano prevalentemente di tipo economico, ma possedevano anche un chiaro significato politico.
Le prime due fabbriche fiorentine in cui ebbero luogo, a fine di gennaio ‘44, manifestazioni organizzate dal Partito Comunista, furono proprio la Galileo e la Pignone.
Presso la Galileo, il giorno 27, il Comitato di Agitazione, diretto da Fabiani e con la collaborazione di Alfredo Mazzoni e Leo Nigro, capeggiò i lavoratori che, in segno di protesta, rallentarono la produzione e, in certi reparti, la bloccarono. Alla Pignone, sotto la guida del Comitato aziendale composto da Otello Bandini, Alviero Biagiotti, Tiberio Ciampi, Gino Lulli, Galliamo Melani, Nello Secci, Paolo Tincolini, i dipendenti iniziarono la loro mobilitazione per ottenere aumenti salariali e supplementi alla tessera del pane, incontrando un netto rifiuto da parte dei dirigenti sindacali fascisti, che spalleggiavano la proprietà.
Un mese più tardi, il 3 marzo, un grande sciopero bloccò la produzione in tutte le principali fabbriche cittadine. Esso fu preceduto da attentati incendiari a opera dei gappisti compiuti contro la sede dei sindacati fascisti, in seguito ai quali vennero distrutti gli schedari con i nomi dei lavoratori destinati a essere deportati in Germania.
In questa fase di lotta si distinse, in particolare, la Manifattura Tabacchi il primo stabilimento (dal 1940 occupava la nuova sede delle Cascine) che entrò in sciopero e le cui maestranze erano allora per il 90% femminili. Le sigaraie, attivissime nella protesta, si scagliarono contro Raffaele Manganiello, Prefetto della Provincia, giunto in fabbrica per intimare loro che fosse ripreso il lavoro: «abbiamo fame, vogliamo la pace e non vogliamo che i nostri figli siano mandati a morire per Hitler».
I nazifascisti non tardarono a punire gli operai compiendo vasti rastrellamenti con l’intenzione di creare un deterrente verso possibili e ulteriori azioni di lotta. Centinaia di lavoratori furono prelevati, soprattutto nel popolare rione di San Frediano e in modo analogo in diverse zone industriali della provincia, come Prato ed Empoli.
L’8 marzo 1944 partì da Firenze un trasporto di deportati politici con destinazione Mauthausen: il “carico” era composto da 597 uomini, 338 dei quali arrestati in Toscana. Tra questi anche Thos Bonardi, Ugo Bracci, Dino Mangini, Narciso Niccolai, tecnici della Pignone arrestati per aver partecipato allo sciopero dei primi di marzo. Nessuno di loro farà più ritorno.