Documentazione di una serie di recenti attacchi di coloni e IOF in Cisgiordania.
Tulkarem: L’occupazione ha continuato a prendere d’assalto il campo profughi di Tulkarem, provocando ingenti distruzioni di proprietà e infrastrutture. Le forze hanno bruciato la casa del martire Ahmed Salit.
Le IOF hanno impedito alle squadre della Mezzaluna Rossa di entrare nel campo profughi di Tulkarem per trasportare casi medici all’ospedale, nonostante il precedente coordinamento tramite il Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Tubas: Le IOF hanno assediato una casa nella città di Tammun e hanno impedito alle squadre mediche di raggiungere un giovane ferito nelle vicinanze. La Mezzaluna Rossa ha recuperato il ferito che era stato gravemente ferito alla coscia dagli spari dell’occupazione. Sono stati segnalati quattro feriti dagli spari delle IOF.
Le IOF hanno arrestato e aggredito i cittadini durante l’assalto alle loro case nella città di Tammun.
Ramallah: Le IOF hanno preso d’assalto il villaggio di Kharbatha Bani Harith, a ovest di Ramallah, e arrestato i cittadini.
Nablus: I coloni dell’insediamento “Rehalim” hanno attaccato le case vicine all’incrocio del villaggio di Yatma, a sud di Nablus, e hanno appiccato incendi nella zona.
Altro fronte (Libano meridionale): fonti di sicurezza europee affidabili ad Al-Mayadeen: — L’attacco condotto da Hezbollah all’Unità 8200 a “Glilot” e alla base “Ein Shemer” ha ottenuto un grande successo.
L’attacco ha causato diversi morti e feriti.
Il numero di morti dell’Unità 8200 di intelligence “israeliana” ha raggiunto quota 22.
Il numero di feriti dell’Unità 8200 di intelligence “israeliana” ha raggiunto quota 74.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: — Mettiamo in guardia contro i tentativi dell’occupazione di manipolare l’accordo e guardiamo con sospetto al ruolo americano nell’adottare la visione dell’occupazione e nell’imporre nuove condizioni.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina afferma la ferma posizione delle fazioni della resistenza secondo cui rinegoziare questioni precedentemente concordate è inaccettabile. L’incontro programmato per domani dovrebbe essere dedicato alla discussione delle linee guida definitive del cessate il fuoco, concordato dalla resistenza, e a costringere l’occupazione ad aderirvi.
Riaprire questioni concordate per la negoziazione o accettare nuove condizioni dall’occupazione è visto come una manovra volta a perdere tempo a favore del nemico. Pertanto, il Fronte mette in guardia contro nuove manipolazioni da parte del criminale di guerra Netanyahu per imporre nuove condizioni che minerebbero l’accordo precedente.
Guardiamo con sospetto e dubitiamo delle posizioni dell’amministrazione americana, che potrebbe adottare la visione dell’occupazione e contribuire a ostacolare gli sforzi per porre fine all’aggressione, soprattutto dato il suo illimitato sostegno all’occupazione.
La resistenza ha agito con grande responsabilità e flessibilità per raggiungere un accordo che avrebbe posto fine a questa guerra distruttiva contro il nostro popolo. Tuttavia, non accetterà nuove condizioni che svuoterebbero il precedente accordo della sua sostanza o ostacolerebbero il raggiungimento delle condizioni della resistenza, che includono la completa cessazione dell’aggressione, un ritiro completo dalla Striscia di Gaza, la garanzia del ritorno degli sfollati senza restrizioni o condizioni e altre questioni relative alle fasi di attuazione per rompere l’assedio, fornire soccorso e ricostruzione.
La responsabilità dei mediatori è di fare pressione sull’occupazione per costringerla ad accettare l’accordo così com’è, in modo che l’incontro di domani non si trasformi in una mera perdita di tempo.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento Centrale dei Media 14 agosto 2024
Amnesia coloniale. Riferito alla classe politica e a tanti sinceri democratici italiani ed europei intervistati dai media ufficiali, l’accostamento di queste due parole (suggerito da Francesca Albanese) segnala, come meglio non si può, la presenza costante e discreta del passato coloniale dell’Europa ogni qual volta la conversazione verte sullo Stato d’ Israele e, più in generale, sull’impresa sionista di uno Stato ebraico in Palestina.
Che si tratti del regime di apartheid o dei mandati di arresto a Netanyahu e al ministro della guerra Gallant, o del “plausibile” genocidio in corso a Gaza, sembra d’obbligo che il primo pensiero vada allo Stato d’Israele e al timore che la sua immagine possa uscirne offuscata, oppure, come variante, si evoca il processo di pace (che non c’è).
Mi chiedo se siffatta sensibilità, fortemente contrastante con l’immagine di un’Europa che si vuole fondata sui diritti umani e sul diritto internazionale non sia l’effetto, appunto, di un’amnesia coloniale che aiuta a non vedere l’analogia fra il colonialismo d’insediamento israeliano in Palestina e quello britannico in America, francese in Algeria o boero in Sud Africa. Il fatto è che considerare Israele una colonia dell’Europa – l’ultima colonia dell’uomo bianco – significherebbe compiere una formidabile scelta di classe e parteggiare con i paesi del Sud del mondo, in maggioranza ex colonie. Una scelta per taluni angosciosa perché essere fedeli ai propri principi democratici e internazionalisti comporta un colossale tradimento della propria storia e delle proprie alleanze euro- atlantiche, nonché la rinuncia ai propri interessi geostrategici.
Perciò s’impone l’uso dei due pesi due misure, perciò tutto deve partire dal 7 Ottobre per non fare i conti col passato, perciò tutto è colpa di Hamas e Israele ha il diritto di difendersi.
Con non pochi scricchiolii questa posizione scomoda ha retto fino ad oggi. Ma al 7 Ottobre sono seguiti 10 mesi di ininterrotta aggressione israeliana su Gaza via mare, via terra e dal cielo e 50.000 morti (compresi i 10.000 sotto le macerie), o forse molti di più: infatti, per la rivista medica britannica The Lancet, calcolando anche i morti per fame, per disidratazione, per le epidemie, per il non accesso alle cure, il numero più probabile di decessi si aggira intorno a 186.000. A tale abisso di devastazione umana e ambientale si aggiunge la pervicacia con cui il governo israeliano porta avanti la propria politica di guerra uccidendo d’un sol colpo il Capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh e il negoziato stesso. E lo fa violando nei cieli la sovranità dell’Iran dopo che la vigilia aveva violato quella del Libano per uccidere Fuad Choukr, comandante di Hezbollah.
In questo quadro interviene Bezalel Smotrich, ministro delle finanze del governo israeliano leader dell’estrema destra suprematista che dice: “affamare a morte due milioni di palestinesi è la cosa più morale da fare … portiamo aiuti perché non c’è scelta … Nessuno ci permetterebbe di causare la morte per fame di due milioni di civili, anche se sarebbe giustificato moralmente, fin quando i nostri ostaggi non torneranno a casa» (Il Manifesto, l6 Agosto 2024).
Viene in mente lo slogan “un baluardo di civiltà contro la barbarie” con il quale, all’inizio del secolo scorso, i sionisti presentavano il loro progetto di uno Stato ebraico in Palestina ai governi europei per ottenerne l’appoggio, un progetto genocidario in partenza dove il futuro era già tutto scritto e annunciato dallo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” e confermato a più riprese dalle parole dei dirigenti sionisti di allora; come se non bastassero, alla Conferenza di Versailles (1919), le carte della Palestina presentate dalla delegazione sionista portavano la scritta “Pasture land for nomads”, terra a pascolo per nomadi.
La prima pulizia etnica su grande scala fu la Nakba del 1948, la messa a ferro e a fuoco del territorio della Palestina, che l’Assemblea Generale dell’ONU aveva raccomandato di spartire, e la cacciata dei suoi abitanti verso sud, verso Gaza, città allora fiorente, crocevia della rotta mediterranea fra Alessandria d’Egitto e Alessandretta, oggi in Turchia. Una città tipicamente levantina dove le tre religioni monoteiste convivevano in armonia fra di loro e con gli abitanti degli 11 villaggi vicini. Nel 1948 arrivò Ben Gourion e diede ordine (Ordine numero 40 negli archivi israeliani da poco desecretati) al suo esercito di radere al suolo gli 11 villaggi e di cacciare gli abitanti verso una striscia di terra da lui appena recintata lungo il mare: la “Striscia di Gaza”.
Sulla terra bruciata degli 11 villaggi, lo Stato d’Israele costruì i kibbutz che la resistenza palestinese attaccò il 7 ottobre 2023. Con la complicità degli USA e dell’UE e il beneplacito della maggioranza degli israeliani, la risposta del governo Netanyahu è consistita nel genocidio in corso a Gaza per accelerare l’attuazione del progetto sionista di uno Stato ebraico in Palestina: “una terra senza popolo…” Sui social girano video agghiaccianti di giovani israeliani, soldatesse e soldati che ballano e cantano intorno alle loro vittime a terra.
Con ciò lo slogan “un baluardo di civiltà contro la barbarie” si è capovolto: i sionisti, complici gli europei, cercano di obliterare l’antica civiltà palestinese e levantina sostituendola con la loro barbarie contro il popolo palestinese, oggetto, da oltre un secolo, di invasioni straniere, di una brutale colonizzazione d’insediamento, di pulizia etnica, di una frammentazione estrema dentro e fuori il proprio territorio. Il tutto studiato in modo da far dimenticare la parola che li contraddistingue: “ Palestina”. I palestinesi d’Israele (oltre il 20% della popolazione) vengono chiamati “arabi d’Israele, drusi, beduini…). Nel suo Atlante della Palestina 1871-1877, lo storico e cartografo palestinese Salman Abu Sitta scrive che la lotta di liberazione del popolo palestinese è “ l’affermazione di ciò che continua a definire loro stessi e le generazioni future. Il legame collettivo con la loro terra, documentato qui con una forza dirompente, costituisce la fonte della loro legittimità nazionale e nessuno gliela potrà togliere, neppure con la morte, il diniego, la dispersione e l’occupazione.”
Civiltà e barbarie ci riguardano. Allora onoriamo lo spirito di resistenza della Striscia di Gaza e la lotta di liberazione del popolo palestinese.
*Attivista, traduttrice e scrittrice. Autrice, tra le altre opere, di “Autobiografia del novecento. Storia di una donna che ha attraversato la storia”, Il Saggiatore, 2018.
Non memorizziamo alcun dato senza l'esplicito consenso da parte dell'utente. Qui trovate la nostra Privacy Policy.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.