Dopo “ DIETRO I FRONTI “ e “SUMUD”, le edizioni Sensibili alle foglie ci porta, attraverso Samah Jabr con “ IL TEMPO DEL GENOCIDIO “, dentro ciò che l’entità sionista sta compiendo nei confronti del popolo palestinese. Dire che quanto avviene è un qualcosa di mai accaduto prima, che ci fa restare frustrati ed inadeguati, che non possiamo accettare che ancora qualcuno possa dire :“non lo sapevo”; dire:“cos’altro deve accadere per scuotere la coscienza collettiva?”; voltarsi dall’altra parte, tutto questo è certamente giusto.
Allo stesso tempo leggere il contributo di Samah ci rende ancor di più consapevoli del fatto che la solidarietà internazionale verso i palestinesi è quanto mai necessaria ed indispensabile; che la solidarietà verso il popolo palestinese è terapeutica per tutti noi, è un imperativo morale ed etico, che la loro resistenza è sostegno ed aiuto anche per noi, e coniugare questi due aspetti può essere un percorso proficuo per mettere fine alla più lunga e sanguinosa occupazione attualmente in corso, la solidarietà rende i palestinesi consapevoli del non sentirsi soli.
La solidarietà ha un potere curativo reciproco. L’essere impegnata nel campo della psichiatria, Samah dirige l’unità di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese, fa sì che quanto descritto sia inserito in un contesto storico di quanto avviene. Se vi è ancora bisogno di capire che quanto ci viene raccontato dalla propaganda di guerra: “tutto è iniziato il 7 ottobre” è pura demagogia utile solo a far schierare l’opinione pubblica a sostegno dell’entità sionista delle complicità occidentali, leggere “Il tempo del genocidio” ci permette, con una descrizione lucida, di valorizzare ulteriormente il perché ci schieriamo da una parte, quella di chi non accetta di vivere da schiavi e si ribella, nonostante che Gaza venga lasciata morire. Poco sopra dicevo della sua descrizione lucida, ma mi sento di aggiungere che niente concede. Lei, del ministero della sanità palestinese, non si sottrae, con un notevole pensiero critico, al criticare quanto di negativo si annidi all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese, dall’illusione degli accordi di Oslo alla conseguente delusione, e del vivere quotidiano in Palestina, con il patriarcato, il sessismo, andando al di là dell’occupazione. Un popolo, quello palestinese, che è stretto tra il sopravvivere e la resa all’oppressore. Samah è ben cosciente del suo contributo alla lotta di liberazione e del volerne dare mano.
Samah ci rende chiaro, in tutto e per tutto, cosa significhi Gaza: una prigione a cielo aperto con le sue infrastrutture deteriorate, le strade distrutte, gli spazi abitativi sovraffollati, la povertà, l’anemia, l’insicurezza alimentare, l’assenza di carburante, di elettricità, di assistenza sanitaria, dove dire: “non ci sono luoghi sicuri” è la normalità e nei volti di chi sta sopravvivendo è fotografata la schiavitù moderna, dove si va accentuando il consumo di droghe e l’abbandono scolastico con tutto ciò che comporta, i suicidi in aumento e la perdita di un positivo desiderio tra i giovani. Samah usa la lente della psichiatria per leggere lo stato d’animo degli oppressi, mette mano a Fanon, entra dentro i meandri della salute fisica e mentale dei palestinesi, quello che i palestinesi vivono è un trauma psicologico e collettivo che è il risultato di decenni di oppressione, di violenza, umiliazione, ingiustizia. Detto questo, ovviamente Samah non può non riconoscersi nel diritto di un popolo occupato a resistere. Un diritto sia legale dal punto di vista della legge internazionale e sia un diritto umano basilare, perché dove c’è oppressione ci sarà sempre resistenza. A proposito di resistenza, Samah evidenzia il significato dello sciopero della fame portato avanti dai prigionieri politici palestinesi come ultimo tentativo di opporsi alla sopraffazione.
L’aspetto che più dobbiamo far emergere dalla lettura di queste pagine, e lo vediamo in questi lunghissimi mesi, è che i palestinesi non si considerano assolutamente vittime ma soggetti attivi e combattenti per la libertà, terminologia che piacerà sicuramente agli statunitensi come il passato ci insegna. Quanto avviene in Palestina non è la «guerra» che ci viene propinata, ma bensì la guerra alla storia palestinese, è parte della guerra alle menti, la continua, e per certi versi silenziosa pulizia etnica per riscrivere la storia. Non è un caso che l’occupazione scelga di distruggere i simboli che sono psicologicamente importanti per la resistenza e la memoria collettiva, in un odioso tentativo di memoricidio.
Ma l’occupazione non fa uso solo di questo; la fame come arma di guerra; la distruzione delle infrastrutture essenziali, del sistema sanitario, la carestia per compromettere lo sviluppo mentale e fisico dei bambini, le sepolture negate come arma psicologica per immettere una sensazione di impotenza in coloro i quali la subiscono, il sopravvivere che se può sembrare un qualcosa di positivo, in realtà è un qualcosa che trasmette profondo disagio psicologico; la tortura, attraverso le finte fucilazioni, la detenzione in condizioni umilianti e degradanti, la privazione del sonno ecc … con i traumi fisici e psicologici che trasmette per spezzare la resistenza e creare impotenza, far perdere la stima di sé e creare un clima di diffidenza all’interno della comunità di appartenenza, il bendare gli occhi non solo per non identificare i torturatori ma come deprivazione sensoriale creando, così, gravi problemi di salute mentale e conseguenze traumatiche de umanizzando la vittima; le punizioni collettive privando la popolazione dei beni di prima necessità.
Quanti immagini abbiamo visto in questi mesi che ritraggono gli occupanti in modalità festeggiante dopo aver compiuto molteplici nefandezze, ebbene non siamo in presenza di killer psicopatici ma bensì di chi prova piacere e/o gratificazione psicologica nel dare ad altri dolore e/o sofferenza. All’inizio abbiamo parlato del 7 ottobre, non potevamo non farlo visto il continuo, assillante martellante, propinare la narrazione di quel fatto; ma se vogliamo dare una corretta lettura di quei fatti, perché non dire che si è passati dall’umiliazione alla vendetta contro tutto ciò che è palestinese. Certo l’esempio è palestinese, ma la lezione non può che essere globale. Quanto avviene in Palestina è una lotta che non potrà che proseguire fino a quando la Palestina non sarà libera ed arrivare a far sì che le tendenze sadiche dell’occupante siano rimosse e trionfi l’umanità di coloro che lottano per la liberazione.
Siamo 99 medici, chirurghi, infermieri specializzati, infermiere e ostetriche americani che hanno fatto volontariato nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023. In totale, abbiamo trascorso 254 settimane di volontariato negli ospedali e nelle cliniche di Gaza. Abbiamo lavorato con varie organizzazioni non governative e con l’Organizzazione mondiale della sanità in ospedali e cliniche in tutta la Striscia. Oltre alla nostra competenza medica e chirurgica, molti di noi hanno un background in sanità pubblica, nonché esperienza di lavoro in zone umanitarie e di conflitto, tra cui l’Ucraina durante la brutale invasione russa. Alcuni di noi sono veterani e riservisti. Siamo un gruppo multireligioso e multietnico. Nessuno di noi sostiene gli orrori commessi il 7 ottobre da gruppi armati e individui palestinesi in Israele. La Costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità afferma: «La salute di tutti i popoli è fondamentale per il raggiungimento della pace e della sicurezza e dipende dalla più completa cooperazione di individui e Stati». È con questo spirito che vi scriviamo in questa lettera aperta.
Siamo tra i soli osservatori neutrali a cui è stato permesso di entrare nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre. Data la nostra vasta competenza e l’esperienza diretta di lavoro in tutta Gaza, siamo in una posizione unica per commentare diverse questioni di importanza per il nostro Governo mentre decide se continuare a sostenere l’attacco e l’assedio di Israele nella Striscia di Gaza. In particolare, crediamo di essere ben posizionati per commentare l’enorme tributo umano dell’attacco di Israele a Gaza, in particolare il tributo che hanno pagato donne e bambini. Questa lettera raccoglie e riassume le nostre esperienze e osservazioni dirette a Gaza. La lettera è accompagnata da un’appendice dettagliata che riassume le informazioni disponibili al pubblico da fonti mediatiche, umanitarie e accademiche su aspetti chiave dell’invasione di Gaza da parte di Israele. Sia questa lettera che l’appendice sono disponibili elettronicamente su GazaHealthcareLetters.org. Questo sito web ospita anche lettere di operatori sanitari canadesi e britannici ai rispettivi governi, che fanno molte osservazioni simili a quelle qui contenute. Questa lettera e l’appendice mostrano prove evidenti che il bilancio delle vittime a Gaza da ottobre è molto più alto di quanto si creda negli Stati Uniti. È probabile che il bilancio delle vittime di questo conflitto sia già superiore a 118.908, uno sbalorditivo 5,4% della popolazione di Gaza. Il nostro Governo deve agire immediatamente per prevenire una catastrofe ancora peggiore di quella che è già capitata alla popolazione di Gaza e Israele. Un cessate il fuoco deve essere imposto alle parti in guerra, negando il supporto militare a Israele e sostenendo un embargo internazionale sulle armi a Israele e a tutti i gruppi armati palestinesi. Crediamo che il nostro Governo sia obbligato a farlo, sia in base alla legge americana che al diritto umanitario internazionale. Crediamo anche che sia la cosa giusta da fare.
«Non ho mai visto ferite così orribili, su così vasta scala, con così poche risorse. Le nostre bombe stanno falciando donne e bambini a migliaia. I loro corpi mutilati sono un monumento alla crudeltà» (dott. Feroze Sidhwa, chirurgo traumatologico e di terapia intensiva, chirurgo generale del Veterans Affairs). Con solo marginali eccezioni, tutti a Gaza sono malati, feriti o entrambi. Ciò include ogni operatore umanitario nazionale, ogni volontario internazionale e probabilmente ogni ostaggio israeliano: ogni uomo, donna e bambino. Mentre lavoravamo a Gaza abbiamo visto una malnutrizione diffusa nei nostri pazienti e nei nostri colleghi sanitari palestinesi. Ognuno di noi ha perso peso rapidamente a Gaza nonostante avesse un accesso privilegiato al cibo e avesse portato con sé il proprio cibo supplementare ricco di nutrienti. Abbiamo prove fotografiche di malnutrizione pericolosa per la vita nei nostri pazienti, in particolare nei bambini, che siamo ansiosi di condividere con voi. Praticamente ogni bambino di età inferiore ai cinque anni che abbiamo incontrato, sia dentro che fuori dall’ospedale, aveva sia tosse che diarrea acquosa. Abbiamo riscontrato casi di ittero (che indicano un’infezione da epatite A in tali condizioni) in quasi tutte le stanze degli ospedali in cui abbiamo prestato servizio e in molti dei nostri colleghi sanitari a Gaza. Una percentuale sorprendentemente alta delle nostre incisioni chirurgiche si è infettata a causa della combinazione di malnutrizione, condizioni operatorie impossibili, mancanza di forniture igieniche di base come il sapone e mancanza di forniture chirurgiche e farmaci, compresi gli antibiotici. La malnutrizione ha portato ad aborti spontanei diffusi, neonati sottopeso e all’incapacità delle neo mamme di allattare al seno. Ciò ha lasciato i loro neonati ad alto rischio di morte data la mancanza di accesso all’acqua potabile in qualsiasi parte di Gaza. Molti di quei bambini sono morti. A Gaza abbiamo visto madri malnutrite nutrire i loro neonati sottopeso con latte artificiale fatto con acqua inquinata. Non potremo mai dimenticare che il mondo ha abbandonato queste donne e questi bambini innocenti. «Ogni giorno vedevo morire dei bambini. Erano nati sani. Le loro madri erano così malnutrite che non potevano allattare al seno e noi non avevamo latte artificiale o acqua pulita per nutrirli, quindi morivano di fame» (Asma Taha, infermiera pediatrica).
Vi esortiamo a rendervi conto che a Gaza imperversano epidemie. Il continuo e ripetuto spostamento da parte di Israele della popolazione malnutrita e malata di Gaza, metà della quale è composta da bambini, verso aree senza acqua corrente o persino servizi igienici disponibili è assolutamente traumatico. Era e rimane destinato a causare una morte diffusa per malattie diarroiche virali e batteriche e polmoniti, in particolare nei bambini di età inferiore ai cinque anni. In effetti, persino il temuto virus della poliomielite è riemerso a Gaza a causa di una combinazione di distruzione sistematica delle infrastrutture igienico-sanitarie, malnutrizione diffusa che indebolisce il sistema immunitario e bambini piccoli che hanno saltato le vaccinazioni di routine per quasi un anno intero. Temiamo che migliaia di persone siano già morte a causa della combinazione letale di malnutrizione e malattie e che decine di migliaia di altre moriranno nei prossimi mesi, soprattutto con l’inizio delle piogge invernali a Gaza. La maggior parte di loro saranno bambini piccoli.I bambini sono universalmente considerati innocenti nei conflitti armati. Tuttavia, ogni singolo firmatario di questa lettera ha visto bambini a Gaza che hanno subito violenze che devono essere state deliberatamente dirette contro di loro. In particolare, ognuno di noi che ha lavorato in un pronto soccorso, in terapia intensiva o in un ambiente chirurgico ha curato bambini preadolescenti che sono stati colpiti alla testa o al petto regolarmente o addirittura quotidianamente. È impossibile che una sparatoria così diffusa di bambini piccoli in tutta Gaza, sostenuta nel corso di un anno intero, sia accidentale o sconosciuta alle massime autorità civili e militari israeliane. Presidente Biden e vicepresidente Harris, vorremmo che poteste vedere gli incubi che affliggono così tanti di noi da quando siamo tornati: sogni di bambini mutilati e mutilati dalle nostre armi e delle loro madri inconsolabili che ci implorano di salvarli. Vorremmo che poteste sentire le grida e le urla che le nostre coscienze non ci faranno dimenticare. Non riusciamo a capire perché continuate ad armare il paese che sta deliberatamente uccidendo questi bambini in massa.
«Ho visto così tanti nati morti e morti materne che avrebbero potuto essere facilmente evitati se gli ospedali avessero funzionato normalmente» (dott. ssa Thalia Pachiyannakis, ostetrica e ginecologa). Le donne incinte e che allattavano che abbiamo curato erano particolarmente malnutrite. Quelle di noi che lavoravano con donne incinte vedevano regolarmente nati morti e morti materne che erano facilmente evitabili nel sistema sanitario di qualsiasi paese in via di sviluppo. Il tasso di infezione nelle incisioni del taglio cesareo era sorprendente. Le donne hanno subito parti vaginali e persino cesarei senza anestesia e non hanno ricevuto altro che Tylenol in seguito perché non erano disponibili altri antidolorifici. Abbiamo tutti osservato i reparti di emergenza sopraffatti da pazienti che cercavano cure per condizioni mediche croniche come insufficienza renale, ipertensione e diabete. A parte i pazienti traumatizzati, la maggior parte dei letti di terapia intensiva era occupata da pazienti con diabete di tipo 1 che non avevano più accesso all’insulina. La mancanza di disponibilità di farmaci, la perdita diffusa di elettricità e refrigerazione e l’accesso incostante al cibo hanno reso impossibile la gestione di questa malattia. Israele ha distrutto più della metà delle risorse sanitarie di Gaza e ha ucciso quasi mille operatori sanitari palestinesi, più di uno su 20 operatori sanitari di Gaza. Allo stesso tempo, le esigenze sanitarie sono aumentate enormemente a causa della combinazione letale di violenza militare, malnutrizione, malattie e sfollamento. Gli ospedali in cui lavoravamo erano privi di forniture di base, dal materiale chirurgico al sapone. Erano regolarmente tagliati fuori dall’elettricità e dall’accesso a Internet, negavano acqua pulita e operavano con quattro o sette volte la loro capacità di posti letto. Ogni ospedale era sopraffatto oltre il punto di rottura da sfollati in cerca di sicurezza, dal flusso costante di pazienti malati e malnutriti in cerca di cure e dall’enorme afflusso di pazienti gravemente feriti che di solito arrivavano in eventi di vittime di massa.
Queste osservazioni e il materiale disponibile al pubblico dettagliato nell’appendice ci portano a credere che il bilancio delle vittime di questo conflitto sia molte volte superiore a quanto riportato dal Ministero della Salute di Gaza. Crediamo anche che questa sia una prova evidente di diffuse violazioni delle leggi americane che regolano l’uso di armi americane all’estero e del diritto umanitario internazionale. Non possiamo dimenticare le scene di insopportabile crudeltà verso donne e bambini, a cui il nostro Governo è direttamente partecipe.
Quando abbiamo incontrato i nostri colleghi sanitari a Gaza, era chiaro che erano malnutriti e devastati sia fisicamente che mentalmente. Abbiamo rapidamente appreso che i nostri colleghi sanitari palestinesi erano tra le persone più traumatizzate a Gaza, e forse nel mondo intero. Come praticamente tutte le persone a Gaza avevano perso familiari e le loro case. La maggior parte viveva dentro e intorno ai loro ospedali con i familiari sopravvissuti in condizioni inimmaginabili. Sebbene continuassero a lavorare con un programma massacrante, non venivano pagati dal 7 ottobre. Tutti erano perfettamente consapevoli che il loro lavoro come operatori sanitari li aveva segnati come obiettivi per Israele. Ciò rende una presa in giro lo status protetto concesso agli ospedali e agli operatori sanitari dalle più antiche e ampiamente accettate disposizioni del diritto internazionale umanitario. Abbiamo incontrato personale sanitario a Gaza che lavorava in ospedali che erano stati saccheggiati e distrutti da Israele. Molti di questi nostri colleghi sono stati arrestati da Israele durante gli attacchi. Ci hanno tutti raccontato una versione leggermente diversa della stessa storia: durante la prigionia venivano a malapena nutriti, continuamente abusati fisicamente e psicologicamente e infine abbandonati nudi sul ciglio di una strada. Molti ci hanno detto di essere stati sottoposti a finte esecuzioni e altre forme di maltrattamento e tortura. Troppi dei nostri colleghi sanitari ci hanno detto che stavano semplicemente aspettando di morire. I 99 firmatari di questa lettera hanno trascorso complessivamente 254 settimane all’interno dei più grandi ospedali e cliniche di Gaza. Vogliamo essere assolutamente chiari: nessuno di noi ha mai visto alcun tipo di attività militante palestinese in uno qualsiasi degli ospedali o altre strutture sanitarie di Gaza. Vi esortiamo a vedere che Israele ha sistematicamente e deliberatamente devastato l’intero sistema sanitario di Gaza e che Israele ha preso di mira i nostri colleghi a Gaza per torturarli, farli sparire e ucciderli.
Presidente Biden e vicepresidente Harris, qualsiasi soluzione a questo problema deve iniziare con un cessate il fuoco immediato e permanente. Apprezziamo il fatto che stiate lavorando a un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, ma avete trascurato un fatto ovvio: gli Stati Uniti possono imporre un cessate il fuoco alle parti in guerra semplicemente interrompendo le spedizioni di armi a Israele e annunciando che parteciperemo a un embargo internazionale sulle armi sia a Israele che a tutti i gruppi armati palestinesi. Sottolineiamo ciò che molti altri vi hanno ripetutamente detto nell’ultimo anno: la legge americana è perfettamente chiara su questa questione, continuare ad armare Israele è illegale.
Presidente Biden e vicepresidente Harris, vi esortiamo a sospendere immediatamente il supporto militare, economico e diplomatico allo Stato di Israele e a partecipare a un embargo internazionale sulle armi di Israele e di tutti i gruppi armati palestinesi fino a quando non verrà stabilito un cessate il fuoco permanente a Gaza, incluso il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e palestinesi e fino a quando non verrà negoziata una risoluzione permanente del conflitto israelo-palestinese tra le due parti. Vicepresidente Harris, come probabile prossimo presidente degli Stati Uniti, vi esortiamo ad annunciare pubblicamente il vostro sostegno a tale politica e a dichiarare pubblicamente che siete tenuti a rispettare le leggi degli Stati Uniti anche quando farlo è politicamente scomodo.
Presidente Biden e Vicepresidente Harris, siamo 99 medici e infermieri americani che hanno assistito a crimini oltre ogni comprensione. Crimini che non possiamo credere che vogliate continuare a sostenere. Vi preghiamo di incontrarci per discutere di ciò che abbiamo visto e del perché riteniamo che la politica americana in Medio Oriente debba cambiare immediatamente.
Nel frattempo, ribadiamo quanto scritto nella nostra lettera del 25 luglio 2024:
Il valico di Rafah tra Gaza ed Egitto deve essere immediatamente riaperto e deve consentire la consegna di aiuti senza restrizioni da parte di organizzazioni umanitarie internazionali riconosciute. I controlli di sicurezza delle consegne di aiuti devono essere condotti da un regime di ispezione internazionale indipendente anziché dalle forze israeliane. Questi controlli devono essere basati su un elenco chiaro, inequivocabile e pubblicato di articoli proibiti e con un chiaro meccanismo internazionale indipendente per contestare gli articoli proibiti, come verificato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari nel territorio palestinese occupato.
Una dotazione minima di acqua di 15 litri di acqua potabile a persona al giorno, il minimo del Manuale Sphere in un’emergenza umanitaria, deve essere assegnata alla popolazione di Gaza, come verificato da UN Water.
Deve essere ripreso l’accesso completo e senza restrizioni di professionisti medici e chirurgici e di attrezzature mediche e chirurgiche alla Striscia di Gaza. Ciò deve includere gli articoli portati nei bagagli personali degli operatori sanitari per salvaguardarne la corretta conservazione, sterilità e consegna tempestiva, come verificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Incredibilmente, Israele continua a impedire agli operatori sanitari di origine palestinese di lavorare a Gaza, persino ai cittadini americani. Ciò prende in giro l’ideale americano secondo cui “tutti gli uomini sono creati uguali” e degrada sia i nostri ideali nazionali che la nostra professione. Il nostro lavoro salva vite. I nostri colleghi sanitari palestinesi a Gaza sono disperatamente alla ricerca di sollievo e protezione, e meritano entrambe le cose.
Non siamo politici. Non pretendiamo di avere tutte le risposte. Siamo semplicemente professionisti della guarigione che non possono rimanere in silenzio su ciò che abbiamo visto a Gaza. Ogni giorno in cui continuiamo a fornire armi e munizioni a Israele è un altro giorno in cui le donne vengono fatte a pezzi dalle nostre bombe e i bambini vengono assassinati dai nostri proiettili.
Presidente Biden e vicepresidente Harris, vi esortiamo: ponete fine a questa follia ora! Sinceramente
Il nemico estende la guerra di sterminio contro il Libano con la partnership americana, la collusione internazionale e l’assenza di una posizione araba.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha confermato che i crimini dell’occupazione contro il popolo libanese fraterno oggi hanno deliberatamente preso di mira civili innocenti per infliggere il maggior numero possibile di vittime, come parte della guerra di genocidio in corso condotta dall’occupante criminale e dal suo esercito terroristico contro i nostri popoli in Palestina e Libano.
Il Fronte ha affermato che questo crimine brutale scatenato è alimentato dal completo supporto e dalla partnership americana, dalla collusione internazionale e dal silenzio e dal tradimento dell’assenza di una posizione araba ufficiale, che si estende fino al punto di partnership con l’aggressione nel caso dei regimi di normalizzazione arabi.
Il Fronte ha sottolineato che il nostro popolo in Libano e Palestina, insieme alle forze di resistenza nella regione, è impegnato in una giusta battaglia per difendere la propria esistenza e il proprio destino contro un nemico criminale. Ha osservato che l’impegno della resistenza in Libano a limitare gli attacchi alle basi militari e alle forze di occupazione è stato recepito dall’occupazione con massacri che hanno colpito civili, case e strutture in Libano.
Il Fronte ha affermato che la posizione araba ufficiale e popolare deve andare oltre le sue posizioni attuali e sollevarsi in difesa dell’esistenza della nazione, in un modo che corrisponda alla portata della sfida nella battaglia per l’esistenza.
Il Fronte ha anche sottolineato che le forze di resistenza, che rappresentano i figli e i popoli della nazione, sono unite e determinate a difendere le loro terre d’origine e i loro popoli da questo nemico criminale.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento Centrale dei Media 23 settembre 2024
Pagine Esteri, 27 agosto 2024. La polizia israeliana ha disposto la chiusura, ad Haifa, della sede del Partito comunista (Maki) dove era in programma, per lunedì 26 agosto, la proiezione del nuovo film del regista palestinese Mohammad Bakri.
La segretaria della sezione, Reem Hazan, è stata convocata due volte dalla polizia, che l’ha interrogata sull’evento. Le autorità hanno poi deciso di chiudere la sede per dieci ore (dalle 19.00 di lunedì alle 5.00 di martedì) a causa di non meglio precisati “pericoli alla pace pubblica”, facendo riferimento a informazioni riservate e di intelligence.
Mohammad Bakri, palestinese con cittadinanza israeliana, è l’autore del film-documentario “Jenin, Jenin“, girato nel 2002 all’interno del campo profughi palestinese, immediatamente dopo l’irruzione e la violenta invasione dell’esercito israeliano che causò diverse vittime, molte delle quali civili. Attraverso le voci dei protagonisti di uno degli eventi più sanguinosi della Seconda Intifada e dell’operazione militare “Muraglia di difesa”, Bakri ha raccontato gli scontri tra l’esercito israeliano, presente con centinaia di uomini e mezzi e i combattenti palestinesi del campo profughi, avvenuti in mezzo a migliaia di civili. Tra le vittime decine di palestinesi e circa quindici soldati israeliani. Quando l’esercito andò via, metà del campo profughi era ridotto in macerie. Molti testimoni oculari parlarono di azioni violente dei militari contro la popolazione civile e Israele venne accusato di aver compiuto crimini di guerra. Accusa rigettata da Tel Aviv che anzi attaccò Bakri, portandolo in tribunale. Nel 2021 una corte ha dichiarato il film “Jenin, Jenin” illegale in Israele, vietandone la proiezione e la distribuzione e ordinando il sequestro di tutte le sue copie. Il regista è stato accusato di diffamazione da un soldato che per circa 5 secondi compariva all’interno della pellicola, ripreso in un’immagine d’archivio. Bakri è stato condannato a risarcire il militare e a pagare le spese processuali.
Dal 2002 è ritornato più volte a Jenin. Anche nel luglio 2023, quando, durante un’altra incursione israeliana, vennero uccisi 12 palestinesi e un soldato. Anche in quell’occasione, come in decine di altre, il campo venne distrutto dai mezzi militari, che rivoltano l’asfalto e fanno a pezzi la rete idrica e quella elettrica.
È stato allora che Mohammad Bakri ha deciso di realizzare un nuovo documentario per raccontare i raid e gli eventi degli ultimi 19 anni, una sorta di sequel. Il titolo è simile ma non uguale: “Janin, Jenin“. Ed era questo nuovo lavoro, per il quale in Israele non esiste, almeno fino ad ora, nessuna censura, a dover essere proiettato lunedì 26 agosto nella sede del Partito comunista di Haifa. Per l’occasione, erano stati organizzati un incontro con il regista e una raccolta fondi per la campagna “Think about Gaza”, con lo scopo di sostenere la popolazione della Striscia.
Reem Hazan, insieme al Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, Adalah, hanno inviato martedì 27 agosto una lettera urgente al procuratore generale israeliano, Gli Baharav-Miara, chiedendogli un intervento immediato “per fermare la persecuzione politica della polizia nei confronti del Partito comunista israeliano”. Il Partito comunista e il movimento politico israeliano Hadash hanno definito “fascista” la decisione della polizia. Un avvocato di Adalah presente agli interrogatori della segretaria della sezione del partito, ha definito l’ordine di chiusura “illegale”, perché “viola i diritti di espressione politica e di riunione”.
Nella lettera si fa presente che l’evento non è stato cancellato e che anzi è riprogrammato per il 9 settembre 2024. Gli avvocati di Adalah hanno quindi chiesto al procuratore generale di ordinare alla polizia di Haifa di non ostacolare nuovamente la manifestazione e di impedire “ulteriori violazioni della libertà di espressione” e di riunione politica di cittadini e residenti. “Non siamo a conoscenza – continuano i legali – di alcun caso dai tempi del governo militare in cui la polizia abbia emesso un ordine di chiusura di una sezione di un partito politico in Israele […] Questo abuso è gravemente aumentato da quando il ministro razzista di estrema destra Ben-Gvir è entrato in carica. La polizia conduce una campagna di soppressione delle critiche legittime alla brutale guerra di Israele contro Gaza, che ha portato a centinaia di arresti ingiusti volti a deterrenza e punizione. Nonostante ciò, il Procuratore di Stato e il Procuratore generale non solo non sono riusciti ad agire contro questa campagna di silenziamento e intimidazione, ma hanno anche, in alcuni casi, sostenuto attivamente la sua continuazione”.
Solo pochi giorni prima, il 7 agosto, la polizia ha bloccato la proiezione del film Gaza’s Untold Stories from Ground Zero, una raccolta di 22 cortometraggi realizzati da diversi autori durante la guerra in corso a Gaza, progetto del regista palestinese Rashid Masharawi. Le forze armate hanno fatto irruzione nel Centro Culturale Yabous di Gerusalemme pochi minuti prima dell’inizio dell’evento, annunciandone la cancellazione. La proiezione è stata poi rinviata e spostata a Betlemme, nei Territori palestinesi occupati.
Perché non si fermano i massacri in Ucraina e Gaza? Agli Usa conviene la guerra permanente. Da mesi e mesi siamo chiamati a convivere con un massacro quotidiano di migliaia di persone. La situazione più insopportabile è in Palestina dove l’esercito israeliano sta compiendo da mesi un genocidio del popolo palestinese, un orribile massacro dove bambini e ragazzi – che sono la maggioranza della popolazione palestinese a Gaza – muoiono ogni giorno a causa delle bombe e della mancanza di acqua e di cibo. Insopportabile perché le sofferenze che si consumano in questo campo di concentramento a cielo aperto che è diventata Gaza avvengono in mondovisione, sotto gli occhi di tutti e tutte.
Di Auschwitz l’umanità ha saputo dopo: qui lo sappiamo in tempo reale e sappiamo che domani accadranno nuovamente le atrocità che sono accadute oggi. Sappiamo tutto di questa mattanza che solo la falsa coscienza ci può far chiamare guerra: le azioni di decimazione della popolazione palestinese non hanno nulla a che vedere con la guerra ma sono un genocidio finalizzato alla pulizia etnica della striscia di Gaza. A questa situazione inumana a cui partecipiamo con la fornitura di armi al governo israeliano – l’Italia è al terzo posto nella classifica di fornitura delle armi con cui vengono massacrati i palestinesi – si accompagna la nostra compartecipazione al massacro in corso in Donbass. Una guerra che l’Ucraina ha già abbondantemente perso ma che il governo ucraino – supportato dalla Nato – non vuole chiudere con una trattativa. Una guerra che vede centinaia e centinaia di ucraini mandati al macello quotidianamente.
Accanto al genocidio in corso in Palestina e il massacro che non si vuole interrompere in Ucraina, vengono messi i presupposti per vari altri focolai di guerra: in Moldavia, in Georgia, tra Filippine e Cina, tra Taiwan e la Cina e così via. Anche a casa nostra, i governanti parlano di reintrodurre il servizio militare obbligatorio e la presenza di ben pasciuti generali nelle scuole diventa sempre più frequente. La domanda che dovrebbe sorgere spontanea, in ogni persona dotata di buon senso, è “perché?”. Come mai la Cina 20 anni fa veniva fatta entrare nel WTO e la Russia invitata ala G8 e adesso queste nazioni – e i loro relativi popoli – sono diventati nemici mortali della nostra civiltà? Come mai nei decenni passati, in nome della libera concorrenza e dei benefici per i consumatori sono stati tolti i dazi e la concorrenza su scala mondiale tra i lavoratori è diventata la regola e adesso vengono messi dazi in ogni settore? Addirittura si parla di dazi del 100% sulle auto elettriche cinesi (cioè raddoppiandone i prezzi), mettendo definitivamente in soffitta l’idea di combattere il cambio climatico con la sostituzione di auto a combustione interna con auto elettriche. Perché questo rovesciamento non motivato di posizioni politiche ed economico?
La risposta è tragicamente semplice: perché gli Stati Uniti si sono resi conto che se il mondo fosse rimasto in pace per i prossimi vent’anni, loro avrebbero perso la loro posizione di rendita sul piano economico – vivono con un tenore di vita superiore del 20% a quello che potrebbero unicamente grazie alle ruberie finanziarie ed economiche che fanno a livello mondiale – e avrebbero visto annullarsi il maggior potere che hanno in termini militari. Non sarebbero più la potenza egemone e il mondo diventerebbe multipolare.
Per questo le classi dominanti degli Usa hanno deciso che la guerra sia il modo migliore per difendere i loro interessi e questo stanno facendo con una dedizione degna di miglior causa.
I negazionisti non sono cattivi, ma il prodotto di sistemi didattici che li hanno disegnati così Questo vuol dire che vedremo in tempi rapidi una guerra atomica dispiegata con la Russia o la Cina? Ovviamente giocando tutti i giorni con i fiammiferi è sempre possibile appiccare un incendio. Quindi noi viviamo nel perenne pericolo che anche solo per incidente avvenga una escalation che porti alla distruzione del mondo. L’incidente nucleare è possibile ma a mio parere non è l’obiettivo delle classi dominanti degli Usa: sanno benissimo che Russia e Cina sono in grado di resistere al “first strike” e quindi di distruggere gli Usa – e quindi la possibilità di vita sulla terra – anche se attaccati per primi.
L’obiettivo delle elites statunitensi non è la “bomba fine di mondo” ma piuttosto instaurare uno stato di guerre locali in tutto il mondo, possibilmente agite per procura in modo che gli ordini siano statunitensi ma i morti siano poveracci dei paesi alleati, come l’Ucraina e – domani – l’Europa. Guerre “decentrate” contro Russia e Cina, che sono i nemici da indebolire e possibilmente mettere in crisi e frantumare in modo da riprendere il dominio unipolare sul mondo stesso. La guerra permanente come strada per riprendere il comando del mondo e poter continuare a comandare e mangiare sulle spalle degli altri: questo il disegno delle elites statunitensi che ha il pieno consenso della Meloni come della Schlein. Contro questo disegno dobbiamo costruire un movimento di massa nel nostro paese e in tutta Europa.
La visita di Blinken ha portato a un’escalation di massacri lungo la Striscia di Gaza.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha confermato che il risultato diretto della visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken nella regione è l’escalation di massacri lungo la Striscia di Gaza e un aumento del ritmo della guerra genocida contro il nostro popolo, in mezzo al supporto e all’appoggio assoluti forniti dall’amministrazione americana all’entità criminale sionista.
L’amministrazione americana sta guidando questo genocidio, mobilitando le sue flotte nella regione per continuare il genocidio del nostro popolo e l’aggressione contro i popoli della regione. Non c’è soluzione a questo brutale attacco coloniale se non la resistenza in tutta la regione.
Blinken ha concesso al governo nemico un nuovo mandato per continuare l’aggressione e la guerra genocida, che l’esercito di occupazione criminale ha tradotto in massacri e operazioni di sfollamento nella Striscia di Gaza, l’ultima delle quali è stata l’assedio di decine di migliaia di sfollati a ovest di Khan Younis con carri armati e bombardamenti.
Gli Stati Uniti non sono un mediatore e ciò che sta accadendo non è un conflitto marginale. Questo è un genocidio guidato dall’amministrazione americana, profondamente coinvolta nella sua pianificazione ed esecuzione insieme al nemico criminale. I popoli della regione devono accogliere la visita del criminale di guerra Antony Blinken con rabbia e rivolte contro i crimini di guerra sionisti-americani contro il nostro popolo.
Gli Stati Uniti hanno deciso di genocidiare il nostro popolo a Gaza per garantire il controllo dell’entità sionista sull’intera regione, senza incontrare alcuna significativa opposizione internazionale o araba a questo crimine storico. La guerra genocida ha rivelato l’entità della dipendenza e dell’umiliazione che i governi e le élite arabe hanno scelto come loro strada.
Il nostro popolo, con le sue capacità limitate, non può fermare il genocidio e ha urgente bisogno dell’aiuto di tutti i suoi alleati e amici per affrontare la coalizione genocida. Tuttavia, può trovare e attivare strumenti per infliggere costi elevati all’occupante e a tutti coloro che hanno partecipato al genocidio del nostro popolo.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento Centrale dei Media 20 agosto 2024
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: — Mettiamo in guardia contro i tentativi dell’occupazione di manipolare l’accordo e guardiamo con sospetto al ruolo americano nell’adottare la visione dell’occupazione e nell’imporre nuove condizioni.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina afferma la ferma posizione delle fazioni della resistenza secondo cui rinegoziare questioni precedentemente concordate è inaccettabile. L’incontro programmato per domani dovrebbe essere dedicato alla discussione delle linee guida definitive del cessate il fuoco, concordato dalla resistenza, e a costringere l’occupazione ad aderirvi.
Riaprire questioni concordate per la negoziazione o accettare nuove condizioni dall’occupazione è visto come una manovra volta a perdere tempo a favore del nemico. Pertanto, il Fronte mette in guardia contro nuove manipolazioni da parte del criminale di guerra Netanyahu per imporre nuove condizioni che minerebbero l’accordo precedente.
Guardiamo con sospetto e dubitiamo delle posizioni dell’amministrazione americana, che potrebbe adottare la visione dell’occupazione e contribuire a ostacolare gli sforzi per porre fine all’aggressione, soprattutto dato il suo illimitato sostegno all’occupazione.
La resistenza ha agito con grande responsabilità e flessibilità per raggiungere un accordo che avrebbe posto fine a questa guerra distruttiva contro il nostro popolo. Tuttavia, non accetterà nuove condizioni che svuoterebbero il precedente accordo della sua sostanza o ostacolerebbero il raggiungimento delle condizioni della resistenza, che includono la completa cessazione dell’aggressione, un ritiro completo dalla Striscia di Gaza, la garanzia del ritorno degli sfollati senza restrizioni o condizioni e altre questioni relative alle fasi di attuazione per rompere l’assedio, fornire soccorso e ricostruzione.
La responsabilità dei mediatori è di fare pressione sull’occupazione per costringerla ad accettare l’accordo così com’è, in modo che l’incontro di domani non si trasformi in una mera perdita di tempo.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento Centrale dei Media 14 agosto 2024
Amnesia coloniale. Riferito alla classe politica e a tanti sinceri democratici italiani ed europei intervistati dai media ufficiali, l’accostamento di queste due parole (suggerito da Francesca Albanese) segnala, come meglio non si può, la presenza costante e discreta del passato coloniale dell’Europa ogni qual volta la conversazione verte sullo Stato d’ Israele e, più in generale, sull’impresa sionista di uno Stato ebraico in Palestina.
Che si tratti del regime di apartheid o dei mandati di arresto a Netanyahu e al ministro della guerra Gallant, o del “plausibile” genocidio in corso a Gaza, sembra d’obbligo che il primo pensiero vada allo Stato d’Israele e al timore che la sua immagine possa uscirne offuscata, oppure, come variante, si evoca il processo di pace (che non c’è).
Mi chiedo se siffatta sensibilità, fortemente contrastante con l’immagine di un’Europa che si vuole fondata sui diritti umani e sul diritto internazionale non sia l’effetto, appunto, di un’amnesia coloniale che aiuta a non vedere l’analogia fra il colonialismo d’insediamento israeliano in Palestina e quello britannico in America, francese in Algeria o boero in Sud Africa. Il fatto è che considerare Israele una colonia dell’Europa – l’ultima colonia dell’uomo bianco – significherebbe compiere una formidabile scelta di classe e parteggiare con i paesi del Sud del mondo, in maggioranza ex colonie. Una scelta per taluni angosciosa perché essere fedeli ai propri principi democratici e internazionalisti comporta un colossale tradimento della propria storia e delle proprie alleanze euro- atlantiche, nonché la rinuncia ai propri interessi geostrategici.
Perciò s’impone l’uso dei due pesi due misure, perciò tutto deve partire dal 7 Ottobre per non fare i conti col passato, perciò tutto è colpa di Hamas e Israele ha il diritto di difendersi.
Con non pochi scricchiolii questa posizione scomoda ha retto fino ad oggi. Ma al 7 Ottobre sono seguiti 10 mesi di ininterrotta aggressione israeliana su Gaza via mare, via terra e dal cielo e 50.000 morti (compresi i 10.000 sotto le macerie), o forse molti di più: infatti, per la rivista medica britannica The Lancet, calcolando anche i morti per fame, per disidratazione, per le epidemie, per il non accesso alle cure, il numero più probabile di decessi si aggira intorno a 186.000. A tale abisso di devastazione umana e ambientale si aggiunge la pervicacia con cui il governo israeliano porta avanti la propria politica di guerra uccidendo d’un sol colpo il Capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh e il negoziato stesso. E lo fa violando nei cieli la sovranità dell’Iran dopo che la vigilia aveva violato quella del Libano per uccidere Fuad Choukr, comandante di Hezbollah.
In questo quadro interviene Bezalel Smotrich, ministro delle finanze del governo israeliano leader dell’estrema destra suprematista che dice: “affamare a morte due milioni di palestinesi è la cosa più morale da fare … portiamo aiuti perché non c’è scelta … Nessuno ci permetterebbe di causare la morte per fame di due milioni di civili, anche se sarebbe giustificato moralmente, fin quando i nostri ostaggi non torneranno a casa» (Il Manifesto, l6 Agosto 2024).
Viene in mente lo slogan “un baluardo di civiltà contro la barbarie” con il quale, all’inizio del secolo scorso, i sionisti presentavano il loro progetto di uno Stato ebraico in Palestina ai governi europei per ottenerne l’appoggio, un progetto genocidario in partenza dove il futuro era già tutto scritto e annunciato dallo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” e confermato a più riprese dalle parole dei dirigenti sionisti di allora; come se non bastassero, alla Conferenza di Versailles (1919), le carte della Palestina presentate dalla delegazione sionista portavano la scritta “Pasture land for nomads”, terra a pascolo per nomadi.
La prima pulizia etnica su grande scala fu la Nakba del 1948, la messa a ferro e a fuoco del territorio della Palestina, che l’Assemblea Generale dell’ONU aveva raccomandato di spartire, e la cacciata dei suoi abitanti verso sud, verso Gaza, città allora fiorente, crocevia della rotta mediterranea fra Alessandria d’Egitto e Alessandretta, oggi in Turchia. Una città tipicamente levantina dove le tre religioni monoteiste convivevano in armonia fra di loro e con gli abitanti degli 11 villaggi vicini. Nel 1948 arrivò Ben Gourion e diede ordine (Ordine numero 40 negli archivi israeliani da poco desecretati) al suo esercito di radere al suolo gli 11 villaggi e di cacciare gli abitanti verso una striscia di terra da lui appena recintata lungo il mare: la “Striscia di Gaza”.
Sulla terra bruciata degli 11 villaggi, lo Stato d’Israele costruì i kibbutz che la resistenza palestinese attaccò il 7 ottobre 2023. Con la complicità degli USA e dell’UE e il beneplacito della maggioranza degli israeliani, la risposta del governo Netanyahu è consistita nel genocidio in corso a Gaza per accelerare l’attuazione del progetto sionista di uno Stato ebraico in Palestina: “una terra senza popolo…” Sui social girano video agghiaccianti di giovani israeliani, soldatesse e soldati che ballano e cantano intorno alle loro vittime a terra.
Con ciò lo slogan “un baluardo di civiltà contro la barbarie” si è capovolto: i sionisti, complici gli europei, cercano di obliterare l’antica civiltà palestinese e levantina sostituendola con la loro barbarie contro il popolo palestinese, oggetto, da oltre un secolo, di invasioni straniere, di una brutale colonizzazione d’insediamento, di pulizia etnica, di una frammentazione estrema dentro e fuori il proprio territorio. Il tutto studiato in modo da far dimenticare la parola che li contraddistingue: “ Palestina”. I palestinesi d’Israele (oltre il 20% della popolazione) vengono chiamati “arabi d’Israele, drusi, beduini…). Nel suo Atlante della Palestina 1871-1877, lo storico e cartografo palestinese Salman Abu Sitta scrive che la lotta di liberazione del popolo palestinese è “ l’affermazione di ciò che continua a definire loro stessi e le generazioni future. Il legame collettivo con la loro terra, documentato qui con una forza dirompente, costituisce la fonte della loro legittimità nazionale e nessuno gliela potrà togliere, neppure con la morte, il diniego, la dispersione e l’occupazione.”
Civiltà e barbarie ci riguardano. Allora onoriamo lo spirito di resistenza della Striscia di Gaza e la lotta di liberazione del popolo palestinese.
*Attivista, traduttrice e scrittrice. Autrice, tra le altre opere, di “Autobiografia del novecento. Storia di una donna che ha attraversato la storia”, Il Saggiatore, 2018.
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