Il Movimento di Resistenza Islamica – Hamas e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina a Gaza hanno tenuto un importante incontro bilaterale oggi, mercoledì 31 luglio 2024, nel mezzo della battaglia contro l’alluvione di Al-Aqsa e della guerra genocida che ha preso di mira il nostro popolo palestinese a Gaza, in Cisgiordania, Al-Quds, i territori occupati e la diaspora, nonché il maltrattamento dei prigionieri, la giudaizzazione di Al-Quds e Al-Aqsa e il furto di terre da parte degli insediamenti sionisti.
I partecipanti hanno pianto la perdita della Palestina e del grande leader nazionale della nazione, il martire Ismail Abdul Salam Haniyeh, capo dell’ufficio politico del Movimento di resistenza islamica – Hamas. Hanno affermato che il suo sangue puro non sarà sprecato e che il nemico sionista pagherà il prezzo dei suoi crimini e delle sue aggressioni. Il sangue del leader Haniyeh illuminerà il percorso verso la liberazione, il ritorno e l’indipendenza.
Il Fronte Popolare e Hamas hanno sottolineato quanto segue:
Estendiamo saluti, gratitudine e apprezzamento al nostro popolo palestinese in tutti i luoghi in cui è presente, in particolare al nostro popolo risoluto e in lotta a Gaza, e alla nostra coraggiosa resistenza ovunque esista e ovunque operi, che sta creando una leggenda nella resistenza e lottare con il suo sangue. Salutiamo anche i nostri giusti martiri, i nostri nobili feriti e i nostri prigionieri liberi. Affermiamo che la resistenza è un diritto legittimo, una scelta strategica e un viaggio continuo verso la liberazione, l’indipendenza e la fondazione dello Stato palestinese sull’intero suolo nazionale palestinese con Al-Quds come capitale.
Salutiamo la resistenza del nostro popolo nella Cisgiordania occupata e chiediamo al nostro popolo di fornire tutti i mezzi di protezione e sostegno ai nostri eroi della resistenza e di affrontare tutte le forme di persecuzione.
Fermare l’aggressione, proteggere il nostro popolo, il ritiro dell’occupazione da Gaza, rompere l’assedio e aprire i valichi sono priorità nazionali per il nostro popolo e la sua coraggiosa resistenza. Ciò che viene definito (il giorno dopo la guerra) è un giorno per il popolo palestinese, le sue forze vive e la sua resistenza. Qualsiasi tentativo di imporre progetti che tolgano il diritto del nostro popolo ad una decisione nazionale indipendente, indipendentemente dalla fonte, sarà affrontato proprio come affrontiamo l’occupazione sionista. Qualsiasi forza, indipendentemente dalla sua nazionalità, sarà considerata una forza occupante e condividerà lo stesso destino.
Chiediamo al nostro popolo nei territori occupati, in Cisgiordania e ad Al-Quds di intensificare lo scontro e la resistenza contro l’occupazione e di affrontare i suoi progetti criminali e le sue bande criminali.
La guerra genocida non ripristinerà il deterioramento dello status dell’occupazione o il suo potere deterrente, che si sta sgretolando sotto i piedi degli eroi della nostra valorosa resistenza.
Chiediamo al governo e alle sue agenzie specializzate di colpire con pugno di ferro chiunque osi diventare uno strumento dell’occupazione, intenzionalmente o meno. Chiediamo alle tribù e alle famiglie del nostro popolo di continuare a sostenere il governo e le agenzie di sicurezza nell’applicazione della legge, nel mantenimento dell’ordine pubblico e nel dissuadere coloro che sono indisciplinati e trasgressori.
La riforma e lo sviluppo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e del sistema politico palestinese rappresentano un interesse nazionale urgente su cui tutte le fazioni nazionali hanno concordato, più recentemente in Cina. Ciò garantisce la partecipazione di tutti i palestinesi e delle loro forze viventi, rendendola capace di realizzare le speranze e le aspirazioni del nostro popolo per la liberazione, la libertà e la creazione di uno stato palestinese indipendente con Al-Quds come capitale.
Chiediamo al nostro popolo, alla nostra nazione e ai popoli liberi del mondo di considerare il 3 agosto come una giornata globale di sostegno di massa per il nostro popolo e i nostri coraggiosi prigionieri.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Movimento di resistenza islamica – Hamas Mercoledì 31 luglio 2024
luglio 14, 2024 in Dal mondo Edit Un’inchiesta di +972 sulle regole di ingaggio dell’esercito israeliano. Case incendiate inutilmente, civili uccisi, cadaveri lasciati agli animali
di Orev Ziv da il manifesto
All’inizio di giugno, Al Jazeera ha mandato in onda dei video inquietanti che rivelano quelle che ha descritto come «esecuzioni sommarie»: i soldati israeliani hanno sparato a diversi palestinesi che camminavano vicino alla strada costiera nella Striscia di Gaza, in tre diverse occasioni. In ogni caso, i palestinesi sembravano disarmati e non rappresentavano una minaccia imminente per i soldati. Questi filmati sono rari, a causa delle pesanti limitazioni a cui sono sottoposti i giornalisti dell’enclave assediata e del costante pericolo per le loro vite. Ma queste esecuzioni, che non sembrano essere motivate da questioni di sicurezza, sono coerenti con le testimonianze di sei soldati israeliani che hanno parlato con +972 Magazine e Local Call dopo il loro congedo dal servizio attivo a Gaza negli ultimi mesi. Confermando i racconti fatti da testimoni oculari e medici palestinesi durante tutta la guerra, i soldati hanno sostenuto di essere stati autorizzati ad aprire il fuoco sui palestinesi, compresi i civili, praticamente a piacimento.
Le sei fonti – tutte tranne una, che ha parlato a condizione di rimanere anonima – hanno raccontato come i soldati israeliani giustiziassero abitualmente i civili palestinesi semplicemente perché entravano in un’area che i militari definivano non accessibile. I testimoni raccontano di un paesaggio disseminato di cadaveri di civili, che vengono lasciati a marcire o ad essere mangiati da animali randagi; l’esercito si limita a nasconderli prima dell’arrivo dei convogli di aiuti internazionali, in modo che «le immagini di persone in avanzato stato di decomposizione non vengano fuori». Due dei soldati hanno anche riferito di una politica sistematica per cui le case palestinesi, dopo essere state occupate, vengono incendiate.
Diverse fonti hanno descritto la possibilità di sparare senza restrizioni come un modo per sfogarsi o alleviare il grigiore della loro routine quotidiana. «Le persone vogliono vivere l’evento», ha ricordato S., un riservista che ha prestato servizio nel nord di Gaza. «Personalmente ho sparato alcuni proiettili senza motivo, in mare, sul marciapiede o su un edificio abbandonato. Lo riportano come ‘fuoco normale’, che è un nome in codice per dire ‘mi annoio, quindi sparo’». Dagli anni ’80, l’esercito israeliano si è rifiutato di divulgare i propri regolamenti interni su quando è consentito aprire il fuoco, nonostante le varie petizioni presentate all’Alta Corte di Giustizia.
Secondo il sociologo politico Yagil Levy, dalla Seconda Intifada «l’esercito non ha fornito ai soldati regole di combattimento scritte», lasciandole molto all’interpretazione dei soldati sul campo e dei loro comandanti. Oltre a contribuire all’uccisione di oltre 38.000 palestinesi, le fonti hanno testimoniato che queste direttive lassiste sono anche in parte responsabili dell’alto numero di soldati uccisi dal fuoco amico negli ultimi mesi. «C’era totale libertà di azione», ha detto B., un altro soldato che ha prestato servizio i a Gaza per mesi, anche nel centro di comando del suo battaglione. «Se c’è una sensazione di minaccia, non c’è bisogno di spiegare – si spara e basta». Quando i soldati vedono qualcuno avvicinarsi, «è lecito sparare» alla persona in questione , «non in aria», ha continuato B. «È lecito sparare a tutti; a una ragazza giovane, a una donna anziana». B. ha poi descritto un incidente avvenuto a novembre, quando i soldati hanno ucciso diversi civili durante l’evacuazione di una scuola vicino al quartiere Zeitoun di Gaza City, che era servita come rifugio per i palestinesi sfollati. L’esercito aveva ordinato agli sfollati di uscire a sinistra, verso il mare, anziché a destra, dove erano appostati i soldati. Quando è scoppiato uno scontro a fuoco all’interno della scuola, coloro che hanno deviato dalla parte sbagliata sono stati immediatamente colpiti.
«C’erano informazioni sul fatto che Hamas volesse creare il panico», ha detto B. «È iniziata una battaglia all’interno; la gente è scappata. Alcuni sono fuggiti a sinistra verso il mare, ma altri sono scappati a destra, bambini compresi. Tutti quelli che andavano a destra sono stati uccisi: 15-20 persone. C’era un mucchio di corpi». B. ha affermato che a Gaza è difficile distinguere i civili dai combattenti, sostenendo che i membri di Hamas spesso «vanno in giro senza armi». Di conseguenza, «ogni uomo tra i 16 e i 50 anni è sospettato di essere un terrorista». «È vietato andare in giro e chiunque si trovi all’aperto è sospettato», continua. «Se vediamo qualcuno alla finestra che ci guarda, è un sospetto. Si spara. La percezione è che qualsiasi contatto con la popolazione metta in pericolo l’esercito, e bisogna creare una situazione in cui è vietato avvicinarsi in qualsiasi circostanza. Hanno imparato che quando entriamo, devono scappare».
Anche in aree apparentemente non popolate o abbandonate di Gaza, i soldati hanno aperto il fuoco in una procedura nota come «dimostrazione di presenza». S. ha testimoniato che i suoi commilitoni «sparavano molto, anche senza motivo – chiunque voglia sparare, non importa per quale motivo, spara». M., un altro riservista che ha prestato servizio nella Striscia di Gaza, ha spiegato che tali ordini provengono direttamente dai comandanti della compagnia o del battaglione sul campo. «Quando non ci sono ufficiali dell’Idf le sparatorie sono senza limiti, come impazzite. E non solo armi leggere: mitragliatrici, carri armati e mortai». Anche in assenza di ordini dall’alto, M. ha testimoniato che i soldati sul campo si fanno regolarmente giustizia da soli. «Soldati regolari, ufficiali minori, comandanti di battaglione – i ranghi minori che vogliono sparare, ottengono il permesso». S. ha ricordato di aver sentito alla radio di un soldato stanziato in un recinto di protezione che ha sparato a una famiglia palestinese che passeggiava nelle vicinanze. «All’inizio dicono ‘quattro persone’. Poi si dice ‘due bambini più due adulti’ e alla fine si dice ‘un uomo, una donna e due bambini’. Puoi comporre l’immagine da solo».
Solo uno dei soldati intervistati per questa inchiesta ha voluto essere identificato: Yuval Green, un riservista di 26 anni di Gerusalemme che ha prestato servizio nella 55ª Brigata paracadutisti nel novembre e dicembre dello scorso anno (Green ha recentemente firmato una lettera di 41 riservisti che dichiarano il loro rifiuto a continuare a prestare servizio a Gaza in seguito all’invasione dell’esercito a Rafah). «Non c’erano restrizioni sulle munizioni», ha detto Green a +972 e Local Call. «La gente sparava solo per alleviare la noia». Green ha descritto un incidente avvenuto una notte durante la festa ebraica di Hanukkah, a dicembre, quando «l’intero battaglione ha aperto il fuoco insieme come fuochi d’artificio, comprese le munizioni traccianti che generano una luce intensa. Ha fatto un colore pazzesco, illuminando il cielo, e poiché è la ‘festa delle luci’, è diventato simbolico».
C., un altro soldato che ha prestato servizio a Gaza, ha spiegato che, quando i soldati sentivano degli spari, si informavano via radio per capire se ci fosse un’altra unità militare israeliana nella zona, e in caso contrario aprivano il fuoco. «La gente sparava a piacimento, con tutte le sue forze». Ma, come ha sottolineato C., sparare senza restrizioni significava esporre spesso i soldati all’enorme rischio del fuoco amico, che ha descritto come «più pericoloso di Hamas». «In diverse occasioni, le forze delle Idf hanno sparato nella nostra direzione. Non abbiamo risposto, abbiamo controllato alla radio e nessuno è rimasto ferito».
Al momento della stesura di quest’articolo, 324 soldati israeliani sono stati uccisi a Gaza dall’inizio dell’invasione di terra, almeno 28 di loro da fuoco amico afferma l’esercito. Secondo l’esperienza di Green, questi incidenti erano «il problema principale» che metteva in pericolo la vita dei soldati. «C’era un bel po’ di fuoco amico; mi faceva impazzire», ha detto. Per Green, le regole di combattimento dimostravano anche una profonda indifferenza per la sorte degli ostaggi. «Mi hanno parlato della pratica di far esplodere i tunnel e ho pensato che se ci fossero stati degli ostaggi, li avrebbero uccisi». Dopo che i soldati israeliani hanno ucciso tre ostaggi a Shuja’iyya a dicembre, mentre sventolavano bandiere bianche, pensando che fossero palestinesi, Green ha raccontato di essersi arrabbiato, ma gli è stato detto che «non c’è niente da fare». I comandanti hanno affinato le procedure, dicendo: «Dovete prestare attenzione ed essere sensibili, ma siamo in una zona di combattimento e dobbiamo essere vigili”». B. ha confermato che anche dopo l’incidente di Shuja’iyya, che è stato definito come «contrario agli ordini» dell’esercito, le norme per aprire il fuoco non sono cambiate. «Per quanto riguarda gli ostaggi, non avevamo una direttiva specifica», ha ricordato. «I vertici dell’esercito hanno detto che dopo l’ uccisione degli ostaggi hanno informato i soldati sul campo. Non hanno parlato con noi». B. e i soldati che erano con lui hanno saputo dell’uccisione degli ostaggi solo due settimane e mezzo dopo l’incidente, dopo aver lasciato Gaza. «Ho sentito dire da altri soldati che gli ostaggi sono morti, che non hanno alcuna possibilità, che devono essere abbandonati», ha osservato Green. «Mi ha dato molto fastidio… il fatto che continuassero a dire: ’Siamo qui per gli ostaggi’, ma è chiaro che la guerra li danneggia. Questo era il mio pensiero allora; oggi si è rivelato vero».
A., un ufficiale che ha servito nella Direzione delle Operazioni dell’esercito, ha testimoniato che la sala operativa della sua brigata – che coordina i combattimenti dall’esterno di Gaza, approvando gli obiettivi e prevenendo il fuoco amico – non ha ricevuto ordini chiari su quando aprire il fuoco da trasmettere ai soldati sul campo. «Non ci sono mai briefing», ha detto. «Non abbiamo ricevuto istruzioni dai piani alti da trasmettere ai soldati e ai comandanti di battaglione». Ha sottolineato che la direttiva era di non sparare lungo le vie umanitarie, ma altrove «si riempiono le lacune, in assenza di altre istruzioni». Questo è l’approccio: «Se è vietato lì, allora è permesso qui».
A. ha spiegato che sparare a «ospedali, cliniche, scuole, istituzioni religiose, edifici di organizzazioni internazionali» richiede un’autorizzazione superiore. Ma in pratica, «posso contare sulle dita di una mano i casi in cui ci è stato detto di non sparare. Anche per cose delicate come le scuole, l’approvazione sembra solo una formalità». In generale, ha proseguito A., «lo spirito nella sala operativa era ’Prima spara, poi fai domande’. Nessuno verserà una lacrima se distruggiamo una casa o spariamo a qualcuno inutilmente».
A. ha dichiarato di essere a conoscenza di casi in cui i soldati israeliani hanno sparato a civili palestinesi che erano entrati nella loro area operativa, coerentemente con un’inchiesta di Haaretz sulle «zone di uccisione» nelle aree di Gaza occupate dall’esercito. «Questa è la norma. Nessun civile dovrebbe trovarsi nell’area, questa è la prospettiva. Abbiamo visto qualcuno alla finestra, così hanno sparato e lo hanno ucciso». A. ha aggiunto che spesso non era chiaro dai rapporti se i soldati avessero sparato a militanti o a civili disarmati. Ma questa ambiguità sull’identità delle vittime ha fatto sì che, per A., non ci si potesse fidare dei rapporti militari sul numero di membri di Hamas uccisi. «La sensazione nella stanza della guerra, e questa è una versione attenuata, era che ogni persona uccisa veniva contata come terrorista». «L’obiettivo era contare quanti ne avevamo uccisi oggi», ha continuato A. «La percezione era che tutti gli uomini fossero terroristi. A volte un comandante chiedeva improvvisamente dei numeri, e allora l’ufficiale di divisione correva da una brigata all’altra a scorrere l’elenco nel sistema informatico militare e a contare». La testimonianza di A. è coerente con un recente rapporto della testata israeliana Mako, che parla di un attacco di droni da parte di una brigata responsabile della morte di palestinesi nell’area di operazione di un’altra brigata. Gli ufficiali di entrambe le brigate si sono consultati su quale dovesse registrare gli omicidi. «Che differenza fa? Registralo per entrambi», avrebbe detto uno di loro all’altro.
Nelle prime settimane dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha ricordato A., «la gente si sentiva molto in colpa per il fatto che ciò fosse accaduto sotto la nostra sorveglianza», un sentimento condiviso dall’opinione pubblica israeliana in generale – e rapidamente trasformato in desiderio di punizione. «Non c’era un ordine diretto di vendicarsi», ha detto A., «ma quando si arriva a dei nodi decisionali, le istruzioni, gli ordini e i protocolli relativi a casi “sensibili” hanno un’influenza relativa». Quando i droni trasmettevano in diretta i filmati degli attacchi a Gaza, «nella stanza della guerra c’era esultanza», ha raccontato A. «Ogni tanto viene giù un edificio… e la sensazione è: ‘Wow, che follia, che divertimento’».
A. ha sottolineato l’ironia del fatto che parte di ciò che ha motivato le richieste di vendetta degli israeliani fosse la convinzione che i palestinesi di Gaza abbiano gioito della morte e della distruzione del 7 ottobre. Per giustificare l’abbandono della distinzione tra civili e combattenti, si ricorreva ad affermazioni come «Hanno distribuito dolci», «Hanno ballato dopo il 7 ottobre» o «Hanno eletto Hamas». «Non tutti, ma tanti , pensavano che il bambino di oggi sarà il terrorista di domani». «Anch’io, un soldato piuttosto di sinistra, dimentico molto rapidamente che queste sono vere case », ha detto A. della sua esperienza in sala operativa. «Sembrava un gioco al computer. Solo dopo due settimane ho capito che si trattava di edifici che stavano crollando: se c’erano abitanti: se c’erano abitanti significava che gli edifici stavano crollando sulle loro teste. Anche se non erano presenti, crollavano con tutto quello che c’era dentro».
Diversi soldati hanno testimoniato che la politica permissiva rispetto a quando aprire il fuoco ha concesso alle unità israeliane di uccidere civili palestinesi anche quando erano stati precedentemente identificati come tali. D., un riservista, ha raccontato che la sua brigata era stanziata vicino a due corridoi di transito – cosiddetti «umanitari» -, uno per le organizzazioni umanitarie e uno per i civili in fuga dal nord al sud della Striscia. All’interno dell’area di operazione della sua brigata, è stata istituita una politica di «linea rossa, linea verde», delineando zone in cui era vietato l’accesso ai civili. Secondo D., le organizzazioni umanitarie potevano entrare in queste zone previo coordinamento (la nostra intervista è stata condotta prima che una serie di attacchi di precisione israeliani uccidesse sette dipendenti della World Central Kitchen), ma per i palestinesi era diverso. «Chiunque attraversasse l’area verde diventava un potenziale bersaglio», ha detto D., sostenendo che queste aree erano segnalate ai civili. «Se attraversano la linea rossa, lo si segnala alla radio e non c’è bisogno di aspettare il permesso, si può sparare». D. ha raccontato che spesso i civili si recavano nelle aree in cui passavano i convogli di aiuti per cercare i rottami che potevano cadere dai camion; ciononostante, la politica era quella di sparare a chiunque tentasse di entrare. «I civili sono chiaramente rifugiati, sono disperati, non hanno nulla», ha detto. Eppure, nei primi mesi di guerra, «ogni giorno si verificavano due o tre incidenti con persone innocenti o sospettate di essere state mandate da Hamas come osservatori», a cui i soldati del suo battaglione sparavano.
I soldati hanno testimoniato che in tutta Gaza i cadaveri di palestinesi in abiti civili sono rimasti sparsi lungo le strade e i campi. «L’intera area era piena di corpi», ha detto S., un riservista. «Ci sono anche cani, mucche e cavalli che sono sopravvissuti ai bombardamenti e non hanno un posto dove andare. Non possiamo dar loro da mangiare e non vogliamo nemmeno che si avvicinino troppo. Così, di tanto in tanto si vedono cani che vanno in giro con parti del corpo in decomposizione. C’è un orribile odore di morte». Ma prima dell’arrivo dei convogli umanitari, ha osservato S., i corpi vengono rimossi. “Un D-9 (bulldozer Caterpillar) scende, con un carro armato, e ripulisce l’area dai cadaveri, li seppellisce sotto le macerie e li mette da parte in modo che i convogli non li vedano», ha affermato. «Ho visto molti civili – famiglie, donne, bambini”, ha continuato. «Le vittime sono più numerose di quelle riportate. Eravamo in una piccola area. Ogni giorno, almeno uno o due vengono uccisi mentre camminano in una zona vietata. Non so chi sia un terrorista e chi no, ma la maggior parte di loro non portava armi».
Green ha raccontato che quando è arrivato a Khan Younis, alla fine di dicembre, «abbiamo visto una massa indistinta fuori da una casa. Abbiamo capito che era un corpo; abbiamo visto una gamba. Di notte, i gatti l’hanno mangiato. Poi qualcuno è venuto a spostarlo». Anche una fonte non militare che ha parlato con +972 e Local Call dopo aver visitato il nord di Gaza ha riferito di aver visto corpi sparsi nella zona. «Vicino al complesso dell’esercito tra la Striscia di Gaza settentrionale e quella meridionale, abbiamo visto circa 10 corpi colpiti alla testa, apparentemente da un cecchino, evidentemente mentre cercavano di tornare a nord», ha detto. «I corpi erano in decomposizione; c’erano cani e gatti intorno a loro». «Non si occupano dei corpi», ha detto B. parlando dei soldati israeliani a Gaza. «Se sono d’intralcio, vengono spostati di lato. Non c’è sepoltura dei morti. I soldati calpestano i cadaveri per errore».
Il mese scorso, Guy Zaken, un soldato che ha manovrato i bulldozer D-9 a Gaza, ha testimoniato davanti a una commissione della Knesset che lui e la sua squadra «hanno investito centinaia di terroristi, vivi e morti». Un altro soldato con cui ha prestato servizio si è poi suicidato. Due dei soldati intervistati per questo articolo hanno anche descritto come dare fuoco alle case palestinesi sia diventata una pratica comune tra i soldati israeliani, come ha riportato per la prima volta in modo approfondito Haaretz a gennaio. Green è stato testimone di due di questi casi – il primo per iniziativa indipendente di un soldato, il secondo per ordine dei comandanti – e la sua frustrazione per questa pratica è parte di ciò che lo ha portato a rifiutare il servizio militare. Quando i soldati occupavano le case, ha testimoniato, la politica era «se ti sposti, devi bruciare la casa». Ma per Green questo non aveva senso: in «nessuno scenario» il centro del campo profughi poteva far parte di una zona di sicurezza israeliana che potesse giustificare una tale distruzione. «Siamo in queste case non perché appartengono ad agenti di Hamas, ma perché ci servono dal punto di vista operativo», ha osservato. «È una casa di due o tre famiglie – distruggerla significa che resteranno senza casa».
«Ho chiesto al comandante della compagnia, che mi ha risposto che non si poteva lasciare alcun equipaggiamento militare e che non volevamo che il nemico vedesse i nostri metodi di combattimento», ha continuato Green. «Ho detto che avrei fatto una ricerca per assicurarmi che non restassero prove. Il comandante della compagnia mi ha dato spiegazioni sul mondo della vendetta. Disse che le stavano bruciando perché non c’erano D-9 o Ied di un corpo di ingegneria che avrebbe potuto distruggere la casa con altri mezzi. Ha ricevuto un ordine e non si è preoccupato».
«Prima di partire, si brucia la casa, ogni casa», ha ribadito B. «Lo sostiene il comandante di battaglione. È per evitare che possano tornare, e, se abbiamo lasciato munizioni o cibo, i terroristi non potranno usarli». Prima di andarsene, i soldati ammassavano materassi, mobili e coperte, e «con un po’ di carburante o di bombole di gas – ha osservato B. – la casa brucia facilmente, è come una fornace». All’inizio dell’invasione di terra, la sua compagnia occupava le case per alcuni giorni e poi si spostava; secondo B., «hanno bruciato centinaia di abitazioni. Ci sono stati casi in cui i soldati hanno dato fuoco a un piano e altri soldati si trovavano a un piano superiore e sono dovuti fuggire attraverso le fiamme sulle scale o soffocati dal fumo». Green ha detto che la distruzione lasciata dall’esercito a Gaza è «inimmaginabile». All’inizio dei combattimenti, ha raccontato, avanzavano tra le case a 50 metri l’una dall’altra, e molti soldati «trattavano le case come negozi di souvenir», saccheggiando tutto ciò che i residenti non erano riusciti a portare con sé. «Alla fine si muore di noia, giorni di attesa», ha detto Green. «Si disegna sui muri, si fanno cose maleducate. Si gioca con i vestiti, si trovano le foto dei passaporti che hanno lasciato, si appende la foto di qualcuno perché è divertente. Abbiamo usato tutto quello che abbiamo trovato: materassi, cibo, uno ha trovato una banconota da 100 Nis (circa 27 dollari) e l’ha presa». «Abbiamo distrutto tutto quello che volevamo», ha testimoniato. «Non per il desiderio di distruggere, ma per la totale indifferenza verso tutto ciò che appartiene ai palestinesi. Ogni giorno, un D-9 demolisce case. Non ho scattato foto prima e dopo, ma non dimenticherò mai come un quartiere che era davvero bello… sia stato ridotto in sabbia».
Il portavoce delle Idf ha risposto alla nostra richiesta di commento con la seguente dichiarazione: «Le istruzioni per aprire il fuoco sono state date a tutti i soldati delle Idf che combattono nella Striscia e ai confini al momento dell’entrata in combattimento. Queste istruzioni riflettono il diritto internazionale a cui le Idf sono vincolate. Sono regolarmente riviste e aggiornate alla luce della mutevole situazione operativa e di intelligence, e approvate dai più alti ufficiali dell’esercito». «L’esercito indaga sulle proprie attività e trae lezioni dagli eventi sul campo, compresa la tragica uccisione accidentale di Yotam Haim, Alon Shamriz e Samer Talalka. Le lezioni apprese dalle indagini sull’incidente sono state trasferite alle forze di combattimento sul campo, al fine di prevenire il ripetersi di questo tipo di incidenti in futuro». «Nell’ambito della distruzione delle capacità militari di Hamas, sorge la necessità operativa, tra l’altro, di distruggere o attaccare gli edifici in cui l’organizzazione terroristica colloca le infrastrutture di combattimento. Questo include anche gli edifici che Hamas ha regolarmente convertito per i combattimenti. Nel frattempo, Hamas fa sistematicamente uso militare di edifici pubblici che dovrebbero essere utilizzati per scopi civili. Gli ordini dell’esercito regolano il processo di approvazione, in modo che il danneggiamento di siti sensibili debba essere approvato da comandanti di alto livello che tengano conto dell’impatto del danno alla struttura sulla popolazione civile, e questo a fronte della necessità militare di attaccare o demolire la struttura. Il processo decisionale di questi comandanti superiori avviene in modo ordinato ed equilibrato. L’incendio di edifici non necessari a scopi operativi è contrario agli ordini dell’esercito e ai valori delle Idf». «Nel contesto dei combattimenti e in base agli ordini dell’esercito, è possibile utilizzare proprietà nemiche per scopi militari essenziali, così come prendere proprietà delle organizzazioni terroristiche come bottino di guerra. Allo stesso tempo, il prelievo di proprietà per scopi privati costituisce un saccheggio ed è vietato dalla Legge sulla giurisdizione militare. Gli incidenti in cui le forze armate hanno agito in modo non conforme agli ordini e alla legge saranno oggetto di indagini».
L’occupazione intensifica la sua aggressione contro Gaza City e bombarda i civili utilizzando armi americane proibite a livello internazionale, e non raccoglierà altro che vergogna e sconfitta.
Gaza City è testimone di una serie di continui attacchi aerei e cinture di fuoco “israeliani”, i più intensi degli ultimi mesi. Questi attacchi mirano a spianare la strada ai veicoli “israeliani” per tentare di entrare nelle aree della città, in particolare nei quartieri di Al-Daraj e Al-Tuffah, che non erano riusciti a prendere d’assalto nelle precedenti invasioni.
L’obiettivo principale dell’occupazione è continuare la distruzione sistematica e uccidere il maggior numero possibile di civili disarmati, creando ulteriori crisi umanitarie dopo aver chiesto a migliaia di civili di evacuare le loro case e fuggire sotto il fuoco dell’artiglieria pesante, dovendo dormire per terra e per strada senza poter portare via nulla dalle loro case.
L’occupazione continua ad assediare le aree di Tal Al-Hawa e Al-Rimal, mentre le famiglie sono intrappolate attorno alle università e alle rotonde industriali, utilizzando tutti i tipi di armi di fabbricazione americana proibite a livello internazionale contro il nostro popolo nella Striscia nel disperato tentativo di imporre la sua volontà e raggiungere i suoi obiettivi aggressivi.
L’unica cosa rimasta a questo nemico fascista è usare armi nucleari, rivelando la portata della sua brutalità e disponibilità a oltrepassare tutte le linee rosse e a violare tutte le leggi e norme internazionali senza responsabilità.
Questa escalation sionista mira anche a fare pressione sulla resistenza affinché ammorbidisca la sua posizione nei negoziati. È un metodo vile e codardo che si basa sul prendere di mira e uccidere i civili e distruggere le loro case come mezzo di ricatto; tuttavia, la resistenza è pienamente consapevole di questi tentativi sionisti, determinata a soddisfare tutte le sue richieste, ad affrontare la nuova escalation sionista e a contrastare i suoi obiettivi dannosi, avendo in mano le carte della pressione e della forza per raggiungere questo obiettivo.
Da questi crimini il nemico sionista non raccoglierà altro che vergogna e sconfitta; il nostro popolo e la resistenza hanno dimostrato la loro capacità di resistere e sfidare un’aggressione brutale e codarda, e questa nuova aggressione a Gaza City senza dubbio fallirà, con l’occupazione che uscirà sconfitta e umiliata dopo aver ricevuto colpi significativi dalla resistenza.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento centrale dei media 8 luglio 2024
Gli Stati Uniti e l’Occidente sono responsabili del più orribile disastro umanitario della storia moderna, commesso dal nemico sionista nella Striscia di Gaza.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ritiene l’America e l’Occidente responsabili delle condizioni catastrofiche senza precedenti vissute dal nostro popolo nella Striscia di Gaza nel mezzo della continuazione della guerra sionista di genocidio e della distruzione sistematica di tutti gli aspetti della vita.
Oggi, la Striscia di Gaza sta vivendo il peggior disastro umanitario della storia moderna, commesso contro di essa con la partecipazione diretta americana, la collusione internazionale e il silenzio arabo. La chiusura completa dei valichi ha portato a conseguenze catastrofiche per la vita dei cittadini, con una grave carenza di beni essenziali, tra cui latte per neonati, integratori alimentari e medicinali. Migliaia di feriti dall’aggressione e pazienti affetti da malattie croniche rischiano di morire a causa della chiusura dei valichi.
Il Fronte avverte che lo spettro della carestia e della morte per sete minaccia tutte le aree della Striscia di Gaza, in particolare nel nord della Striscia e nelle zone affollate da migliaia di sfollati, soprattutto alla periferia della città di Rafah, che soffre la crisi mancanza di beni di prima necessità e grave carenza d’acqua a causa degli attacchi ai pozzi d’acqua e agli impianti di desalinizzazione, e al diretto attacco sionista alle tende degli sfollati nonostante le abbiano dichiarate aree sicure. La Striscia di Gaza e i civili innocenti si sono trasformati in un banco di prova aperto per varie armi americane bandite a livello internazionale.
Il silenzio del mondo di fronte a queste atrocità è sospetto e rivela la caduta delle maschere del cosiddetto mondo libero e di chi piange sui diritti umani. I detenuti della Striscia di Gaza, come rivelato dai prigionieri rilasciati, sperimentano livelli orribili di tortura, mutilazione e altri metodi brutali.
Chiediamo urgentemente alle persone libere del mondo di espandere l’intifada globale contro la guerrasionista di genocidio sulla Striscia e contro tutte le entità occidentali coinvolte in questi crimini, in particolare America, Gran Bretagna e Germania. È diventato chiaro che c’è il via libera occidentale all’occupazione per distruggere tutti gli aspetti della vita, le infrastrutture e lanciare una guerra di fame sulla Striscia alla luce del fallimento degli obiettivi militari.
Chiediamo ai paesi arabi di attuare le loro decisioni per imporre la rottura dell’assedio e portare materiali di soccorso e forniture essenziali nella Striscia senza alcuna condizione o decisione da parte dell’occupazione. Eventuali carenze o ritardi porteranno al proseguimento e all’aggravamento di questo disastro.
Nonostante tutte queste atrocità, Gaza rimarrà salda, un cimitero per i sionisti e i loro scagnozzi, e continuerà a lottare per la sua esistenza e la sua vita. Siamo fiduciosi che trionferà in questa guerra globale sionista-occidentale contro di essa.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento centrale dei media 21 giugno 2024
Questo crimine è un messaggio per ogni individuo in questo mondo sulla propria responsabilità personale nell’affrontare un’escalation senza precedenti di brutalità, criminalità e terrorismo che minaccia ogni significato dei valori umani e scatena il completo dominio della ferocia su questo mondo.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha affermato che l’esercito di occupazione ha commesso uno dei massacri più atroci della storia umana, bombardando le tende affollate di sfollati a Rafah, che avevano montato le loro tende accanto a uno dei centri dell’UNRWA, cercando di ripararsi dalle guerra di genocidio in corso.
Il Fronte ha confermato che questo crimine è il risultato della copertura americana che Joseph Biden, criminale di guerra e architetto del genocidio, ha assicurato di fornire all’esercito di occupazione e al suo governo, e del suo continuo sostegno allo sterminio del nostro popolo e della sua piena collaborazione in tutte le questioni. crimini di guerra.
Il Fronte Popolare ha invitato tutti coloro che si lasciano ingannare dalla possibilità che l’occupazione ascolti gli appelli e le condanne internazionali ad abbandonare queste illusioni e menzogne, che il nostro popolo paga con il sangue versato ogni ora. Tutte queste decisioni non hanno senso a meno che i criminali di guerra dell’entità sionista non vengano puniti e non vengano prese misure dirette per assediare l’occupazione e sostenere il nostro popolo nello scontro.
Il Fronte ha chiarito nella sua dichiarazione:
Il crimine dell’occupazione esprime la sua decisione di violare deliberatamente tutte le leggi e i trattati e di contestare direttamente le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia emesse il 24 maggio 2024, quando gli aerei dell’occupazione hanno bombardato l’area con bombe americane, che l’occupante ha classificato e annunciato come zona sicura nel nord-ovest della città di Rafah, costringendo gli sfollati a spostarsi e ad affollarsi lì. Questa zona è piena di centinaia di migliaia di sfollati che hanno cercato di salvare se stessi e i loro figli dai massacri commessi dall’occupazione in tutte le zone della Striscia e si sono rifugiati in questa zona, che attualmente ospita decine di istituzioni internazionali.
Il crimine rappresenta una chiara insistenza nel commettere un crimine di guerra e un crimine di genocidio annunciato. L’occupazione si è assicurata che tutte le specifiche legali relative ai crimini di guerra e al genocidio si applicassero ad essa, il che invalida le sue bugie, i suoi inganni e le bugie dei suoi alleati e di chiunque cerchi di coprire i suoi crimini di guerra.
L’amministrazione americana, che ha fornito all’occupante le bombe e gli aerei utilizzati per commettere questo massacro e altri, è il partner principale e la parte accusata che deve essere processata per tutti i crimini di guerra e i genocidi commessi dall’occupazione, in particolare Joseph Biden e i membri della sua amministrazione. La responsabilità di attuare le decisioni della Corte internazionale di giustizia e della Corte penale internazionale ricade su ogni stato del mondo. Ogni individuo nel nostro mondo ha anche la responsabilità personale di lavorare per fermare i crimini di genocidio.
Ciò che è stato emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalla Corte Penale Internazionale non è più affatto sufficiente. Chiediamo alle parti interessate e ai paesi amici di presentare denunce chiare e dirette contro il governo degli Stati Uniti e il suo presidente come partner nei crimini di guerra contro il nostro popolo.
La resistenza palestinese, di fronte a questa brutale insistenza nello sterminio del nostro popolo, è obbligata a continuare e ad intensificare la sua difesa dell’esistenza del popolo palestinese, con tutti i mezzi e le forme di lotta contro i criminali genocidi.
L’esercito di occupazione sceglie di bombardare i raduni di sfollati e le loro tende con tonnellate di bombe incendiarie: se questo non scuote il mondo intero e non spinge ogni persona in piazza per protestare, rabbia e intifada contro l’entità sionista, allora questo non può che significare un clamoroso collasso dell’umanità nel suo insieme.
Chiediamo alla nazione araba, in nome del sangue puro e versato degli innocenti, dei corpi bruciati dei suoi figli e delle loro anime sofferenti nella salda Gaza, di sollevarsi e smettere di restare inattiva. Non c’è significato per l’arabismo se non è nell’unità di preoccupazione e destino, e nel rifiuto e nell’esplosione di rabbia di fronte a questi crimini e ai loro autori e sostenitori.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento centrale dei media 26 maggio 2024
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: — Viva il Primo Maggio come giornata di lotta dei lavoratori e dei popoli liberi del mondo contro i nemici dell’umanità.
O nostro grande popolo palestinese, O popolo della classe operaia palestinese e dei lottatori di tutto il mondo, O tutti coloro che sono liberi e onorevoli nella nostra nazione e nel mondo,
Ogni anno, il primo maggio, i popoli del mondo, in particolare la classe operaia globale, e tutti i poveri, gli oppressi e gli oppressi di questo mondo, festeggiano di fronte alle pratiche brutali, selvagge e schiavizzanti perpetrate contro di loro da una feroce élite finanziaria, che ignora tutti i valori e i principi umani, lottando con tutte le sue forze per perpetuare il proprio controllo e dominio sui popoli del mondo e sulle loro risorse, utilizzando per i propri obiettivi politici, economici e sociali tutto ciò che le industrie militari e le moderne hanno sviluppato la tecnologia e tutti i metodi di tradimento e inganno per raggiungere i propri scopi e interessi, senza alcuno scrupolo o coscienza morale o umana.
Il nostro popolo, insieme a tutti i lavoratori e le persone libere del mondo, commemora quest’anno il primo maggio, nel momento in cui è sottoposto alla più brutale e feroce campagna di genocidio e pulizia etnica, superando in ferocia e sangue i fascistie i nazisti, per mano di un gruppo di assassini che si autodefiniscono esercito per un’entità sostitutiva invasiva, sotto la guida, la partnership, il sostegno, la copertura e la complicità dell’amministrazione americana e delle potenze imperiali coloniali occidentali, i nemici dell’umanità. Credono che, con i loro crimini e la loro brutalità, possono spezzare la volontà del nostro popolo e imporgli la resa e la sconfitta. In un tentativo frenetico non solo di uccidere esseri umani, distruggere pietre e sradicare alberi, ma anche di cancellare l’identità, la storia e la civiltà del nostro popolo, e di rendere impossibile al nostro popolo rimanere nella propria terra.
In un momento in cui i massacri e i crimini commessi dall’alleanza sionista-imperialista continuano e si intensificano, il nostro popolo risoluto, credendo nella giustizia della propria causa, in tutte le sue città, villaggi e paesi, in tutta la terra della Palestina storica, e in tutti i luoghi della loro presenza, in particolare il nostro popolo risoluto nella Striscia di Gaza, scrivono ogni giorno una nuova pagina di eroismo e miracolo, di cui la storia raramente ha assistito. Nonostante le ferite e il dolore, nonostante il sangue e le parti del corpo, e il torrente di sangue che scorre, e la pulizia etnica nelle sue forme più brutte, il nostro popolo emerge sempre da sotto le macerie e i detriti, portando con sé le proprie ferite e marciando verso la vittoria e la libertà, sollevando la bandiera della resistenza, con maggiore determinazione e fiducia nella giustizia della loro causa e nell’inevitabilità della vittoria, le loro armi sono la pazienza, la fermezza e la resistenza, e il sostegno di tutte le persone libere e onorevoli nella nostra nazione e nel mondo. Mentre ci inchiniamo con riverenza e stupore davanti ai sacrifici, alla fermezza e alla determinazione del nostro popolo, dobbiamo sottolineare l’importanza di rafforzare e fortificare il fronte interno, e l’unità di posizione e di performance, attraverso vari livelli politici, sul campo e sociali, e privare il nemico della capacità di ottenere attraverso l’inganno e le manovre politiche ciò che non è riuscito a ottenere sui campi di battaglia. Chiediamo inoltre di rafforzare la solidarietà sociale e il sostegno tra le varie componenti politiche e sociali del nostro popolo, per superare questa prova con maggiore forza e resilienza di fronte alle cospirazioni e contrastarle.
Alla luce dell’intensificarsi del confronto tra le forze dell’aggressione, dell’ingiustizia e degli approfittatori della guerra, e le forze della pace, della giustizia, della libertà e dell’umanità nel mondo, nonostante tutte le capacità finanziarie, militari e l’egemonia economica che il possiedono le forze di aggressione, le forze della libertà e della giustizia diventano più consapevoli e discernenti nel difendere i propri interessi contro i piani imperialisti che mirano ad eliminare tutti i nobili valori umani ed etici. In questo contesto, estendiamo le nostre più alte espressioni di ringraziamento e apprezzamento a tutte le persone libere e onorevoli del mondo, che oggi sono al fianco del nostro popolo e della sua giusta causa, di fronte ai crimini imperialisti-sionisti.
Inviamo un saluto di rispetto e orgoglio agli studenti universitari di tutto il mondo, in particolare agli studenti delle università americane, che protestano contro i crimini dell’occupazione e il sostegno dell’amministrazione americana ad essa, e che chiedono la fine dell’occupazione l’aggressione contro il popolo palestinese. Salutiamo anche tutte le organizzazioni sindacali e femminili che sono solidali con il nostro popolo e la sua causa, e tutti gli uomini liberi e onorevoli che riempiono le piazze e i campi delle capitali e delle città del mondo a sostegno del nostro popolo e della loro giusta causa. .
Gloria ed eternità ai martiri, libertà ai prigionieri e guarigione ai feriti. Un saluto al nostro popolo risoluto in tutta la terra della Palestina storica e in tutti i luoghi in cui è presente. Un saluto di amore e lealtà ai nostri coraggiosi lavoratori mentre, insieme a tutte le componenti del nostro popolo – politiche e sociali – conducono la battaglia per la liberazione nazionale, economica e sociale. Un saluto alla classe operaia globale di fronte all’ingiustizia, all’aggressione e all’assalto dell’imperialismo globale. Un saluto a tutte le persone onorevoli e libere del mondo che si oppongono all’ingiustizia e all’aggressione.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Dipartimento centrale dei media 1 maggio 2024
Anche quest’anno, come negli ultimi anni, alle manifestazioni del 25 si è presentata la Brigata ebraica. Con la pretesa di accreditarsi come soggetto combattente di pari dignità con le altre BRIGATE partigiane. È necessario conoscere la storia e giudicare. Intanto la Brigata ebraica NON È stata una brigata partigiana. È stato un battaglione regolare dell’esercito britannico che ha agito al servizio della corona britannica e non dell’Italia. Non rispondeva al CLN, tanto per intenderci. Era composto da ebrei palestinesi in prevalenza, e di altra provenienza estera, nessun italiano. Tutti sudditi di sua maestà britannica. Ha agito solo per 50 giorni sul suolo italiano fra febbraio e aprile del ’45. Ha subito perdite di circa 30/50 uomini. Finita la guerra se ne è andata dall’ Italia. Non ha avuto nessun ruolo nel dopoguerra, nel processo politico costituente e repubblicano, come tutti i partiti usciti dalla Resistenza. Nulla a che fare quindi con la LOTTA di RESISTENZA e LIBERAZIONE Partigiana. Ma pretende di sfilare il 25 aprile. Pretende di aggredire, come ha fatto a Roma, i manifestanti con bandiere palestinesi. Anche su questo argomento ANPI dovrebbe chiarire, per non lasciare spazio ad equivoci e strumentalizzazioni. Gli ebrei della Brigata ebraica, erano sionisti interessati all’ occupazione militare della Palestina. Ed è ciò che hanno fatto appena ripartiti dall’ Europa con la fine della guerra. Hanno servito la corona britannica in cambio della terra palestinese. SIONISTI, NON PARTIGIANI ANPI ha il dovere di chiarire questo aspetto per non alimentare il FALSO storico
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