(ANSA) – PESCARA, 03 AGO – “Il divieto sulla produzione di cannabis light che il governo ha inserito nel ddl sicurezza è una follia oscurantista che, se approvata, colpirebbe una filiera produttiva importante e in crescita”, dichiara Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista. “Per questo ho invitato due operatori del settore a intervenire in conferenza stampa per dare voce a chi lavora e investe”. Acerbo ha poi aggiunto che “Qui siamo di fronte ad un fatto abnorme con il Governo che conduce una crociata ideologica contro la filiera della canapa che ricordo che ricordo a questi signori era una grande produzione agricola proprio nel periodo fascista e finì agli anni Quaranta e Cinquanta con l’Italia leader mondiale. Oggi viene messa fuori legge la cannabis light e tutte le infiorescenze che sono prive di principio attivo e che dunque non hanno nulla a che fare con le droghe leggere. È come se mettessimo fuori legge la camomilla. È una assurdità che metterà in crisi centinaia di imprese in Italia che danno lavoro a migliaia di persone che lavorano nel settore agricolo. Una intera filiera messa in crisi per fare propaganda e demagogia. Bisogna fermare questo provvedimento e chiediamo ai parlamentari abruzzesi di informarsi prima di votare questo provvedimento”. Mario Muzii, produttore di cannabis light in una azienda del pescarese spiega che “senza nessun tipo di considerazione ideologica possiamo dire, parlando di numeri, che questo settore da lavoro in Italia ad oltre 11mila persone e la mia azienda nel periodo della raccolta da lavoro ad oltre 100 lavoratori stagionali tutti assunti secondo il Contratto nazionale di lavoro per l’agricoltura. Parliamo di padri e madri di famiglia con conseguenze facilmente immaginabili”. (ANSA).
A cosa pensi se ti dicono Firenze? Al Rinascimento, ai Medici o forse ai milioni di turisti che sperano di trovare un alloggio sotto i 200 euro a notte. Pensi al Duomo, alla Fiorentina e magari pensi al progetto del nuovo stadio, ti chiedi quanto costerà e se ce ne sia davvero il bisogno. Pensi al giglio, al calcio storico, al vino rosso e al lampredotto. Dopo un po’ che abiti a Firenze inizi a pensare a chi ci vive. E magari pensi se Leonardo avesse previsto tutti questi Airbnb nella sua Città Ideale. Pensi a come in mezzo alle piazze ci sia sempre qualcuno che fotografa o riprende qualcosa. Pensi ai selfie, alle macchine fotografiche e alle telecamere. Ecco alle telecamere che ti riprendono sempre forse non ci pensi. Ma quando te le fanno notare ti accorgi che sono ovunque. Firenze è la città più sorvegliata per numero di abitanti in tutto il territorio Italiano.
Con l’installazione della Smart Control Room la polizia municipale è in grado di controllare le attività urbane h24. Sensori intelligenti per la sicurezza, per l’anti-terrorismo, per il traffico, per l’ambiente, per i rifiuti. La città ti guarda, registra e risponde in autonomia. Nel 2019, annunciando l’installazione della millesima telecamera Nardella dichiarava “avanti tutta con la sperimentazione della Control Room attraverso il nuovo software, modello Tel Aviv, che rileva azioni sospette, pur rispettando la privacy dei cittadini”. A completare il pacchetto promozionale erano presenti Lorenzo Perra e Liora Schchter, assessori per il comune di Firenze e Tel Aviv, i quali, in un tentativo malriuscito di revisionismo storico, hanno tentato di tracciare le origini della ‘smart city’ alla Città Ideale di Leonardo, sostenendo: “È credenza popolare che il termine “smart city” sia nato negli ultimi anni, ma in realtà risale già al 1488, quando uno dei più grandi inventori e imprenditori della sua epoca, Leonardo da Vinci, concepì “la città ideale”.
Dietro alla campagna promozionale dei due comuni si nasconde però una verità più amara: Firenze si ispira a quel modello di sorveglianza urbana che alimenta il sistema di apartheid Israeliano. Nel settore della sorveglianza Israele si è sempre distinta nella sua visione tanto avanguardista quanto distopica. Un settore che ha trovato a Tel Aviv un’oasi in cui programmare e testare strumenti di sorveglianza degni di un romanzo Orwelliano. La campagna promozionale si è impegnata a omettere che Israele, prima di esportare i suoi modelli di sorveglianza, utilizza i palestinesi come cavie umane per testare l’efficacia e assicurare l’affidabilità dei suoi prodotti. Gli stessi ‘software’ che si trovano nella Smart Control Room di Palazzo Vecchio sono stati testati in pratiche di profiling razziale sulla popolazione palestinese.
Nel 2020, con l’installazione della millesima telecamera, Bar Paleg, corrispondente per il giornale israeliano Hareetz, scriveva ‘Il Grande Fratello arriva a Tel Aviv’, avvisando la popolazione locale di come la retorica che prevede più telecamere ai sensi della sicurezza urbana potesse similmente violare la privacy dei cittadini. Tanti, troppi, i casi in cui la sorveglianza a Tel Aviv si è rivelata inaffidabilmente guidata da un algoritmo addestrato per scovare il ‘terrorista’ anche dove il terrorista non c’è: nel 2017 un ragazzo palestinese è stato arrestato perché appariva sotto l’occhio di una telecamera con la dicitura ‘Buongiorno’. Peccato che l’intelligenza artificiale avesse sbagliato a leggere l’arabo traducendo la dicitura in ‘Li colpiremo’.
Gli algoritmi dei sistemi di sorveglianza sono addestrati con un’impostazione politica, rendendoli pericolosamente faziosi nel ‘rilevare azioni sospette’. I dataset utilizzati per programmare gli algoritmi sono spesso raccolti e annotati da esseri umani, che possono inconsapevolmente (o consapevolmente) infondere i propri pregiudizi nei dati. La retorica sull’anti-terrorismo, ad esempio, influenza profondamente la programmazione di questi algoritmi, portando a una sorveglianza sproporzionata per alcune comunità e a una sottovalutazione delle minacce provenienti da altre fonti. Non a caso, mentre le telecamere di sorveglianza possono essere estremamente sensibili a rilevare simboli o comportamenti associati all’antisemitismo, potrebbero non reagire con la stessa prontezza di fronte a segni di islamofobia o altri tipi di discriminazione.
Alla domanda “come mai più telecamere in una città dove i crimini sono in diminuzione”? Nardella ha risposto che la sorveglianza può contribuire alle misure anti-terrorismo e alla lotta al degrado urbano. A Firenze la percezione di insicurezza non è dovuta a un potenziale attacco terroristico, tantomeno a una storia di criminalità urbana degna di attenzione, ma è invece inseparabile dalla vulnerabilità economica, lavorativa e abitativa, generata dalla gestione del budget comunale. Gli investimenti per installare la Smart Control Room sono capitali che se implementati su una linea di welfare avrebbero almeno attenuato la crisi abitativa e lavorativa dei residenti fiorentini. La sorveglianza urbana è un rimedio temporaneo, un palliativo a una sensazione di insicurezza che deriva più dalla precarietà economica dei residenti che da una reale minaccia terroristica.
La domanda da porsi allora è come mai tutte queste telecamere? E se il modello Tel Aviv ha come target i palestinesi, quali sono i ‘nemici’ verso cui vieni diretta la sorveglianza urbana a Firenze? E qui si apre una discussione che va ben oltre al terrorismo, alla lotta al degrado e all’incolmabile percezione di insicurezza dei residenti Fiorentini. Oltre ai poveri, ai lavoratori precari, alle comunità gypsy e rom, ai richiedenti asilo, e a tutti quelli che non conformano con le sembianze angeliche del decoro urbano, i target della control room sono anche i professori, gli studenti e gli attivisti fiorentini. Sono stati infatti identificati e perquisiti gli attivisti scesi accanto agli studenti per sottolineare che in Palestina non è in atto una guerra ma un genocidio frutto di un sistema letale di apartheid coloniale.
La sorveglianza urbana serve anche e soprattutto a questo: depoliticizzare e ripulire le strade del centro da tutte quelle attività considerate ‘indecorose’ o incompatibili con la linea politica del comune. Nel sistema smart di sorveglianza urbana emerge la sfumatura autoritaria omessa nella campagna promozionale Firenze-Tel Aviv. È quindi importante notare che le pratiche di sorveglianza usate a Tel Aviv per segregare i palestinesi conversano con le tecniche del comune di Firenze per reprimere il dissenso politico e silenziare le manifestazioni pacifiche a favore della Palestina.
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